Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20298 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20298 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29577/2021 R.G. proposto da:
UNIVERSITÀ DEGLI RAGIONE_SOCIALE DI CAGLIARI, in persona del Rettore pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
-ricorrente –
contro
LEGENDRE COGNOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente/ricorrente incidentale –
Oggetto:
ex
lettore università
trattamento
ricercatore
confermato a tempo pieno
avverso la sentenza n. 117/2021 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 26/05/2021 R.G.N. 8/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME quale lettrice di lingua francese presso l’ateneo cagliaritano dal 1982, aveva ottenuto con precedente sentenza (n. 486/2012 del Tribunale di Cagliari), l’accertamento della illegittima reiterazione dei contratti a termine e la conseguente esistenza di un contratto di lavoro continuativo di natura subordinata con il conseguente diritto della ricorrente a percepire il trattamento economico spettante ai ricercatori universitari confermati, come previsto dal d.l. n. 2/2004.
Trattandosi di condanna generica, la lavoratrice aveva adito nuovamente il tribunale perché l’Università, in esecuzione della predetta sentenza, aveva pagato somme inferiori basandosi sul presupposto che il citato d.l. n. 2/2004, convertito in legge n. 63/2004, fosse da interpretare alla luce dell’art. 26, comma 2, legge n. 240/2010, secondo cui il suddetto trattamento spettante ai ricercatori universitari è da applicare anche ai lettori di lingua straniera ma solo fino alla loro assunzione quali ‘collaboratori esperti linguistici’.
La Legendre aveva invece rilevato che, essendo intervenuta tra le parti una sentenza passata in giudicato, non era possibile applicare la detta disposizione in quanto violativa del ‘giudicato’ formatosi sul punto.
Il Tribunale locale, nel contraddittorio con l’Università (che aveva dato atto di aver corrisposto alla Legendre la somma di euro 127.416,416,05, comprensiva di oneri assistenziali), aveva accolto la domanda della Legendre e condannato l’Università al pagamento in suo favore della somma lorda di euro 296.560,22, da cui dovevano essere
detratti i pagamenti parziali effettuati (euro 43.489,60 nel giugno 2012, a titolo di t.f.r.; euro 43.971,64, nell’ottobre 2012, a titolo di differenze retributive; euro 21.760,74, nel luglio 2013, a titolo di ulteriori differenze retributive) e, dunque, per un totale ancora dovuto, a titolo di quota capitale, di euro 187.338,24.
La Corte di appello di Cagliari con la sentenza n. 241/2017 aveva rigettato l’appello proposto dall’Università degli Studi di Cagliari.
Decidendo sul ricorso dell’Università questa Corte con ordinanza n. 27752/2019 ha cassato con rinvio tale pronuncia.
Ha ritenuto che dovesse applicarsi la nuova normativa, di fonte legale e contrattuale, nella sua interezza, senza che potesse essere a ciò ostativo il precedente giudicato, sia perché nella fattispecie non risultava che lo stesso avesse riguardato anche la disciplina del rapporto, sia perché, fermi i limiti posti dalle sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia e recepiti dal legislatore con la previsione del necessario riconoscimento dì « eventuali trattamenti più favorevoli » (d.l. n. 2/2004), «i n un rapporto di durata come quello di lavoro si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o di una fase del rapporto già esaurita » (Cass. n. 15079/2018).
Ha escluso, quindi, la presenza di un giudicato nella fattispecie in esame evidenziando, peraltro, che la sentenza n. 486/2012 aveva anche negato la assimilabilità delle mansioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE con la posizione di professore ordinario o associato, così dovendosi ritenere inesistente un diritto alle maggiori retribuzioni in virtù di mansioni differenti e superiori rispetto a quelle di collaboratori linguistici.
Pronunciando in sede di rinvio la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 117/2021, ha accolto parzialmente l’appello dell’Università e, sulla base della disposta consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto che, diversamente da quanto affermato dall’Università, l’importo che quest’ultima aveva corrisposto all’esito della ricostruzione della carriera effettuata dopo il primo
giudicato non fosse interamente satisfattivo ed ha quantificato l’ulteriore differenza ancora in euro 31.170,70; ha anche condannato l’appellata alla restituzione della differenza tra quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado e la minor somma riconosciuta alla medesima spettante .
L’Università degli Studi di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo, successivamente illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorso principale denuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 26 della legge n. 240/2010.
Si addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto non riassorbibile l’assegno ad personam valorizzando la motivazione di Cass. n. 12877/2020 che a sua volta aveva richiamato l’art. 51 del CCNL 1996, nella parte in cui prevedeva la non riassorbibilità del trattamento integrativo. Assume che le sentenze richiamate dalla Corte d’appello in realtà nulla dicono sul tema specifico (ossia sul rapporto fra la disciplina contrattuale e la successiva legge di interpretazione autentica) e aggiunge che la non riassorbibilità riguarda unicamente i trattamenti integrativi di ateneo. Rileva infine che in sostanza la Corte d’appello ha finito per riconoscere il definitivo aggancio alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito.
Con il secondo motivo il ricorso principale denuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 26 della legge n. 240/2010.
Si assume che il CTU, nel quantificare la retribuzione dovuta per il periodo antecedente all’anno 1987, in mancanza di una disciplina specifica che distinguesse il tempo pieno dal tempo definito, aveva applicato la normativa all’epoca vigente per i ricercatori sebbene questa
non tenesse conto della richiamata distinzione, introdotta dal d.l. n. 57/1987.
Aggiunge la ricorrente che, a fronte della espressa previsione della legge, occorreva riparametrate il dato al minor impegno orario e, quindi, dividere per 350 la retribuzione spettante all’epoca al ricercatore, ottenere così il dato unitario e moltiplicare poi per 200 quest’ultimo.
Con il terzo motivo il ricorso principale denuncia: carente motivazione in ordine al conteggio delle somme percepite a titolo di t.f.r . – violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.
Si sostiene che i calcoli sarebbero stati erroneamente effettuati perché l’importo complessivo detratto era quello corrisposto a titolo di arretrati al quale andava sommata la somma versata per trattamento di fine rapporto.
Con il quarto motivo il ricorso principale denuncia, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.: erroneo conteggio delle somme percepite a titolo di t.f.r .
Si ripropone la medesima censura del motivo che precede riconducendola all’omesso fatto decisivo per il giudizio.
In premessa va evidenziato che dall’irretrattabilità del principio di diritto già affermato nel medesimo processo discende che la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perché l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico -giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno, viene meno solo a fronte di ius superveniens dotato di efficacia retroattiva ( cfr. Cass. n. 35974/2023 che, fra le tante decisioni richiamate al punto 7.1., rinvia anche a Cass. n. 27155/2017, la quale specifica che la Corte di legittimità nel medesimo caso deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza
possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, e a Cass. n. 1163/2017, secondo cui non rileva neppure l’intervento delle Sezioni Unite, a composizione di un contrasto di giurisprudenza). Sono inammissibili, pertanto, le deduzioni sviluppate dalla ricorrente incidentale nella memoria difensiva, volte a censurare l’ordinanza rescindente.
6. È fondato il primo motivo.
L’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010 così prevede: «3 . L’art. 1, comma 1, del decreto -legge 14 gennaio 2004, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2004, n. 63, si interpreta nel senso che, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 26 giugno 2001, nella causa C -212/99, ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. A decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato decreto -legge n. 2 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 63 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del decreto -legge 21 aprile
1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236. Sono estinti i giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge» .
La disposizione in parole non specifica in che termini il trattamento debba rimanere conservato e, pertanto, opera la regola generale del riassorbimento, consolidata nella giurisprudenza della Corte e richiamata in plurime pronunce.
La norma, inoltre, nello specificare quali debbano essere i due elementi da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno, se da un lato cristallizza la retribuzione spettante secondo i criteri indicati dal d.l. 2/2004 alla data di stipula del primo contratto, non altrettanto fa per quella prevista dalla contrattazione collettiva che, quindi, varia nel tempo determinando una modifica del minuendo.
Sul punto Cass. n. 20483/2023 ha affermato che la ricostruzione del trattamento economico dovuto va effettuata secondo le seguenti modalità: -applicazione, ab origine , del trattamento di cui al d.l. n. 2/2004 (come interpretato dall’art. 26 della legge n. 240/2010) con valorizzazione, altresì, dell’anzianità di servizio maturata in forza dei contratti stipulati ai sensi dell’art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980 ai fini dell’applicazione degli istituti contrattuali che contemplano l’anzianità medesima ed ai connessi profili previdenziali, ivi compresa però la clausola di salvaguardia (che fa salvi nei limiti del riassorbimento i trattamenti di miglior favore, da intendere anche come eventualmente conseguenti ai giudicati tra le parti) e tutto ciò fino al momento della stipula dei contratti CEL, attribuendosi ogni eventuale differenza retributiva in proposito maturata; -attribuzione, da quel momento in poi, sempre del trattamento secondo i parametri retributivi di cui al d.l. n. 2/2004 (come interpretato dall’art. 26 della legge n. 240/2010), con gli incrementi di anzianità e con l’aggiunta, ad personam , del maggior trattamento eventualmente individuabile nel differenziale tra quello come calcolato ai sensi del punto che precede in ragione della clausola
di salvaguardia e quello determinato in base ai menzionati parametri retributivi, fino al riassorbimento con gli incrementi dei trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva.
Il trattamento economico di cui all’art. 26, comma 3, della legge n. 240 del 2010, dunque, va raffrontato con quanto percepito o dovuto anche in forza di sentenze passate in giudicato tra le parti e quindi, se questi ultimi importi siano comunque ed in ipotesi maggiori, la differenza va conservata, per residuo effetto favorevole del giudicato, sia prima della stipula dei contratti CEL, sia successivamente, ad personam , per effetto della clausola di salvaguardia di cui all’art. 26 cit ., fino a quando l’ammontare del corrispettivo fissato dalla contrattazione collettiva per i CEL non colmi il differenziale esistente.
Nel medesimo senso si sono espresse Cass. n. 13490/2024 ed anche Cass. n. 16462/2022. Quest’ultima, in particolare, ha evidenziato che il legislatore, da un lato, ha impedito che il passaggio dal lettorato alla collaborazione linguistica potesse risolversi in una reformatio in peius del livello retributivo raggiunto, dall’altro ha ribadito la specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente; si tratta, sostanzialmente, di un assegno ad personam , non dissimile da quello garantito nell’impiego pubblico contrattualizzato in caso di mobilità o di modificazioni del rapporto di impiego e da quello che le parti collettive avevano previsto con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996 per consentire ai collaboratori esperti linguistici assunti prima della stipula dello stesso contratto di conservare il trattamento più favorevole concordato a livello di Ateneo.
D’altro canto non si ravvisa alcuna violazione dei principi fissati dalla Corte di Giustizia perché, come hanno chiarito le Sezioni Unite con
la sentenza n. 21972/2017, la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto va limitata «a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (t.f.r.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale».
Né la regola della non riassorbibilità può trarsi dall’art. 51 del CCNL 1996 che, al comma 3, così prevede: « 3. Il trattamento economico del personale di cui al presente articolo è costituito dal trattamento fondamentale di cui al successivo comma e dal trattamento integrativo di Ateneo. Gli incrementi previsti in sede di rinnovo del contratto collettivo nazionale di comparto non riassorbono i trattamenti integrativi di Ateneo, salva diversa disposizione contrattuale ».
Tale previsione, infatti, si riferisce al rapporto tra contratto nazionale e contratto integrativo di Ateneo.
Inoltre, interpretando la stessa nel senso auspicato dalla controricorrente, si determinerebbe un aggancio pressoché definitivo (sia pure cristallizzato) alla retribuzione di ricercatore che la legge di interpretazione autentica ha inteso evitare.
7. Parimenti fondato è il secondo motivo.
L’art. 1, comma 1, del d.l. n. 2/2004 (poi interpretato autenticamente dall’art. 26 della legge n. 240 del 2010) così prevede: « 1. In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C -212/99, ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera delle Università degli studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, La Sapienza di Roma e de L’Orientale di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica, 11 luglio 1980, n. 382, abrogato dall’articolo 4, comma 5, del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni,
dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente ».
La disposizione, come è stato da questa Corte più volte affermato, non comporta il riconoscimento dell’equiparazione al ricercatore universitario ma indica solo un criterio di determinazione della retribuzione adeguata, che viene rapportata all’impegno orario del lettore (sulla diversità delle prestazioni a confronto e sul fatto che il d.l. n. 2/2004 ha fatto riferimento alla retribuzione del ricercatore confermato a tempo definito solo in via parametrica (v. ex multis Cass. n. 13886/2023; Cass. n. 14108/2023; Cass. n. 20483/2023) prevedendo un divisore orario (500 ore) diverso e superiore rispetto a quello previsto per la categoria dei ricercatori confermati a tempo definito (200 ore).
Il legislatore, peraltro, non ha inteso utilizzare il diverso parametro del ricercatore per il periodo antecedente al 1987, quando non esisteva il ricercatore a tempo definito perché alla categoria non era stata ancora consentita l’opzione.
La Corte territoriale avrebbe dovuto, dunque, utilizzare per il calcolo lo stesso rapporto di cui all’art. 1, comma 2, del d.l. n. 57/1987 per l’attività didattica dei ricercatori a tempo pieno e a tempo definito (vale a dire dividere per 350 ore e moltiplicare per 200 ore).
Il terzo e il quarto motivo sono assorbiti.
Il ricorso incidentale con l’unico motivo denuncia la violazione dell’art. 1 del d.l. n. 2/2004 e dell’art. 26 della legge n. 240/2010 e
sostiene che ha errato il giudice d’appello nell’escludere la maggiorazione derivante dalla maggiore orario osservato dalla lettrice.
10. Il motivo è fondato.
Come già affermato da questa Corte (v. Cass. n. 16449/2022) il trattamento retributivo, che va commisurato anche alla quantità del lavoro svolto, deve essere quantificato tenendo conto « dell’impegno orario assolto », ossia della dimensione quantitativa della prestazione effettivamente resa sicché, fermo restando che l’onere di provare l’orario osservato grava sul lettore, non appare giustificata la limitazione operata dalla Corte territoriale, che ha tenuto conto delle sole pattuizioni contrattuali.
Da tanto consegue che vanno accolti il primo e il secondo motivo del ricorso principale nonché il ricorso incidentale, assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame tenendo conto di quanto sopra evidenziato e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale nonché il ricorso incidentale, assorbiti il terzo e il quarto motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione