Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11941 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 11941 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 23014-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA DI PARMA, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
Docenti universitari Trattamento economico ex art. 6 d.lgs. n. 517/1999
R.G.N. 23014/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 18/03/2025
PU
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA;
– intimata – avverso la sentenza n. 1085/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/02/2019 R.G.N. 905/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Bologna, adita da NOME COGNOME, ha confermato la sentenza del Tribunale di Parma che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti dell’Università degli Studi e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, volta ad ottenere la condanna dei resistenti, eventualmente in via solidale, al pagamento della indennità di esclusività, dell’indennità di specificità medica, delle retribuzioni di posizione e di risultato nella misura stabilita dal C.C.N.L. per la dirigenza medica del Servizio Sanitario Nazionale in favore dei dirigenti medici di pari incarico e anzianità, previa detrazione di quanto già eventualmente percepito per i titoli sopra indicati.
La Corte territoriale ha premesso che l’appellante, docente universitario, svolgeva attività assistenziale presso l’Azienda Ospedaliera ed aveva agito in giudizio sul presupposto che il trattamento aggiuntivo espressamente riconosciuto dall’art. 6 del d.lgs. n. 517/1999 non potesse essere inferiore, quanto all’ammontare dei singoli emolumenti, a quello erogato al
dirigente medico impegnato nella medesima attività assistenziale in ragione del passaggio dal sistema dal sistema perequativo previgente, disciplinato dall’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980, a quello retributivo attuale.
3. Il giudice d’appello, respinte le eccezioni di carenza di interesse all’azione e di difetto di legittimazione passiva della Azienda Ospedaliera, ha ritenuto condivisibili gli argomenti sviluppati nella memoria difensiva dell’Università, richiamata per relationem , e ha fatto leva sulla continuità della disciplina dettata dal combinato disposto dell’art. 102 del citato d.P.R. e dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1974 rispetto a quella contenuta nel d.lgs. n. 517 del 1999 per sostenere che anche il trattamento aggiuntivo, al pari della indennità perequativa, può essere erogato solo nei limiti delle disponibilità finanziarie assicurate dal relativo fondo, che resta autonomo e distinto rispetto a quelli destinati al finanziamento del trattamento fondamentale ed accessorio della dirigenza medica, ai quali va solo parametrato in termini di congruità e proporzionalità, non di eguaglianza o parità.
Ha aggiunto che a detto principio, desumibile dalla disciplina dettata dall’art. 6 del d.lgs. n. 517 del 1999, si erano attenute le intese intercorse fra la Regione Emilia Romagna e le Università di Bologna, Ferrara, Modena e Parma che non avevano individuato nel dettaglio le effettive risorse di cui avrebbero beneficiato i medici universitari ma avevano ribadito la necessità della esistenza e capienza del fondo, da adeguare anche in relazione a decrementi o aumenti del personale destinatario del trattamento aggiuntivo.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi, ai quali ha opposto difese l’Azienda
Ospedaliero Universitaria di Parma, mentre è rimasta intimata l’Università degli Studi.
Con ordinanza interlocutoria n. 31791 del 10 dicembre 2024 la causa, inizialmente fissata per l’adunanza camerale del 23 ottobre 2024, è stata rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica, congiuntamente al ricorso iscritto al n. 12583/2019.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente illustrate nel corso della discussione orale, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 517/1999, dell’art. 102, co. 2, del d.p.r. n. 382/1980 e dell’art. 3 del d.p.c.m. 24.05.2001» e sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nel ritenere che la sola limitazione delle risorse disponibili potesse giustificare il rigetto della domanda. Deduce che l’autonomia dei fondi non autorizza a ritenere che il fondo da destinare ai docenti universitari che prestano anche attività assistenziale debba essere di importo inferiore a quello della dirigenza medica ed aggiunge che, superata la logica perequativa, implicante un raffronto fra i trattamenti economici complessivi, il «nuovo» fondo deve essere determinato in sede pattizia, ossia dai protocolli di intesa e dai relativi accordi attuativi, che possono riconoscere il trattamento aggiuntivo in misura pari a quella prevista dai CCNL per il personale dirigente del S.S.N. Aggiunge, poi, che ha errato la Corte territoriale, sia nel ritenere che il fondo dovesse essere quello destinato a finanziare
l’indennità perequativa ex art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980 e adeguato in relazione agli incrementi riconosciuti dalla contrattazione dell’area IV dirigenziale, sia nell’affermare che la parificazione, invocata a fondamento della domanda, non era stata prevista dalle intese intercorse fra la Regione e le Università.
2. La seconda critica, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. Riprendendo l’argomento già anticipato nel primo motivo quanto alla rilevanza delle fonti pattizie, il ricorrente deduce che la Corte territoriale dall’accordo sottoscritto il 27 marzo 2001 dalla Regione e dalle Università ha estrapolato solo due stralci, dei quali ha fornito un’interpretazione che contrasta con il sens o letterale delle parole e con il principio secondo cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre. Richiama e trascrive nel corpo del motivo altri punti dell’intesa (punto 8.1.b, 8.2, 8.1.a) che contengono un espresso richiamo alla contrattazione collettiva della dirigenza medica e sanitaria del RAGIONE_SOCIALE e sostiene che le parti in sede attuativa hanno delineato un sistema incentrato «sull’eguale valore dei trattamenti aggiuntivi dei medici universitari rispetto agli ospedalieri, in quanto determinati entrambi nella misura prevista dal C.C.N.L. della dirigenza medica». Analoghe argomentazioni il ricorrente sviluppa in relazione al verbale del 26 novembre 2007 con riferimento al quale addebita al giudice d’appello di avere erroneame nte affermato che con lo stesso erano stati forniti solo alcuni indirizzi alle Aziende ospedaliere, non vincolanti e non sufficienti a far ritenere superati i limiti derivanti dallo stanziamento delle risorse. Richiama singoli punti dell’intesa ( punto 4 d i pag. 2, capoverso di pag. 3, punto 6 di
pagg. 2-3, punto 1 di pag. 1, punto 3 di pag. 2) per sostenere, ancora una volta, che dai continui richiami contenuti nel testo ai C.C.N.L. della dirigenza medica, doveva essere desunta la volontà delle parti stipulanti di estenderne la disciplina al personale universitario.
Infine con il terzo motivo il ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2948 c.c. in relazione all’art. 360, co.1, n. 3 c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in rel azione all’art. 360, co.1, n. 5 c.p.c.». Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur ritenendo ogni questione assorbita dal rigetto nel merito della domanda, accenna alla fondatezza della eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla difesa delle resistenti. Evidenzia che la Corte territoriale non ha valutato gli atti interruttivi depositati nel giudizio di primo grado, ossia la diffida stragiudiziale del 20 giugno 2007 e l’atto di messa in mora del 18 giugno 2012 con i quali erano state espressamente richieste tutte le somme aggiuntive spettanti a partire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 517 del 1999. Aggiunge che in tal modo era stato interrotto il decorso della prescrizione e, pertanto, la Corte, che di tale atto non ha tenuto conto, è incorsa nel vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.
Il primo motivo di ricorso è infondato e va rigettato.
Occorre richiamare in premessa l’evoluzione del quadro normativo, dalla quale non si può prescindere nel risolvere la questione controversa, che chiama questa Corte innanzitutto a pronunciare sulle finalità che il legislatore ha inteso perseguire nel riconoscere al personale universitario impegnato nelle attività assistenziali un trattamento economico aggiuntivo rispetto a quello erogato dall’Università.
4.1. Riprendendo le argomentazioni già svolte da Cass. 22 aprile 2022 n. 12952, va detto che sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 517 del 1999 la giurisprudenza costituzionale, amministrativa e di questa Corte è stata concorde nell’evidenziare l’intent o perequativo perseguito dalla disciplina all’epoca vigente.
L ‘art. 4 della legge n. 213/1971 , infatti, aveva stabilito, da un lato, che gli enti ospedalieri dovessero versare alle Università le somme necessarie per dotare di personale le unità a direzione universitaria e, dall’altro, che gli importi dovessero essere destinati al pagamento di un’indennità di ammontare non superiore a quanto necessario per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità ( art. 4, comma 2, l. n. 213/1971: tale indennità non potrà essere superiore a quella necessaria per equiparare il trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianità. Ove lo consenta lo ammontare dei fondi disponibili, l’indennità dovrà essere uguale a quella necessaria per ottenere l’equiparazione dei trattamenti economici ).
Il criterio perequativo, emerso all’esito di un articolato iter parlamentare della richiamata legge n. 213/1971 (cfr. Corte Cost. n. 136/1997 che quell’ iter valorizza per affermare che « non è esatto che l’indennità prevista dalle norme in oggetto abbia un contenuto corrispettivo dell’attività assistenziale prestata dai medici universitari» in quanto aggiuntiva rispetto alla didattica ed alla ricerca, essendo, invece, le diverse « funzioni fra loro nient’affatto incompatibili, sebbene, al contrario, suscettibili di ottimale collegamento o addirittura compenetrazione» ), è stato poi ribadito dall’art. 31 del d.P.R. n. 761/1979 e, per quel che più specificamente rileva in questa sede, dall’art. 102 del d.P.R. n. 382/1980 che, affermato il
principio di carattere generale secondo cui i docenti universitari ed i ricercatori impegnati nell’attività assistenziale assumono «per quanto concerne l’assistenza i diritti e i doveri previsti per il personale di corrispondente qualifica del ruolo regionale », al comma 2 aggiunge che al predetto personale « è assicurata l’equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità secondo le vigenti disposizioni ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 ».
4.2. Mentre per il restante personale il legislatore ha ritenuto di dover rinviare l’individuazione delle corrispondenze a successive tabelle (art. 31, comma 4, d.P.R. n. 761/1979), per i docenti ed i ricercatori è lo stesso art. 102 che indica il criterio di equiparazione e stabilisce, al comma 4, che « il professore ordinario e straordinario è equiparato al medico appartenente alla posizione apicale; il professore associato è equiparato al medico appartenente alla posizione intermedia; l’assistente ordinario del ruolo ad esaurimento ed i ricercatori sono equiparati al medico appartenente alla posizione iniziale ».
Si tratta, quindi, di corrispondenze pensate alla luce dei sistemi di classificazione all’epoca vigenti, che, quanto alla professione medica, evocano la distinzione fra le posizioni di primario, aiuto e assistente indicate dall’art. 63 e dalla tabella alle gata al d.P.R. n. 761/1979, poi ripresa dal d.P.R. n. 384/1990, che inserisce le medesime posizioni nelle qualifiche funzionali comprese dalla nona all’undicesima (assistente IX qualifica, aiuto X qualifica, primario XI qualifica).
4.3. Questo quadro è mutato a seguito del riordino della disciplina in materia sanitaria perché con l’art. 15 del d.lgs. n. 502/1992, più volte modificato, il legislatore inizialmente ha
previsto l’inquadramento dei dirigenti medici in soli due livelli (e non tre come in passato) e poi, a partire dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 229/1999, ha inserito la dirigenza medica in un ruolo unico, differenziando gli incarichi in relazione all’a nzianità posseduta ed alla natura, semplice o complessa, della struttura diretta (art. 15, commi da 4 e 6, del d.lgs. n. 502/1992 come modificato dal d.lgs. n. 229/1999).
L’evoluzione normativa è stata seguita di pari passo dalla contrattazione collettiva che, dapprima, ha modulato il trattamento economico del dirigente medico sulla base dell’inquadramento in due livelli e in funzione della graduazione delle strutture secondo i parametri indicati dall’art. 51 del CCNL 5.12.1996. Successivamente, a partire dal CCNL 8.6.2000, ha previsto, all’art. 27, quattro diverse tipologie di incarico conferibile al dirigente medico; ha indicato le caratteristiche proprie delle strutture semplici e complesse; ha commisurato il trattamento economico spettante al dirigente medico alle maggiori o minori responsabilità connesse alla natura dell’incarico ricoperto.
4.4. In questo mutato contesto si è inserito il d.lgs. n. 517/1999 con il quale il legislatore, nel dettare una nuova disciplina dei rapporti fra Servizio Sanitario Nazionale e Università, quanto al trattamento economico del personale universitario ha previsto, all’art. 6: « 1. Fermo restando l’obbligo di soddisfare l’impegno orario minimo di presenza nelle strutture aziendali per le relative attività istituzionali, al personale di cui al comma 1 dell’art. 5 si riconosce, oltre ai compensi legati alle particolari condizioni di lavoro, ove spettanti, oltre al trattamento economico erogato dall’università: a) un trattamento aggiuntivo graduato in relazione alle responsabilità connesse ai diversi tipi di incarico; b) un trattamento aggiuntivo graduato in relazione
ai risultati ottenuti nell’attività assistenziale e gestionale, valutati secondo parametri di efficacia, appropriatezza ed efficienza, nonché all’efficacia nella realizzazione della integrazione tra attività assistenziale, didattica e di ricerca. 2. I trattamenti di cui al comma 1 sono erogati nei limiti delle risorse da attribuire ai sensi dell’art. 102, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, globalmente considerate e sono definiti secondo criteri di congruità e proporzione rispetto a quelle previste al medesimo scopo dai contratti collettivi nazionali di lavoro di cui all’art. 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni. Tali trattamenti sono adeguati in base agli incrementi previsti dai contratti collettivi nazionali per il personale sanitario del servizio sanitario nazionale. Il trattamento economico di equiparazione in godimento all’atto dell’entrata in vigore del presente decreto è conservato fino all’applicazione delle disposizioni di cui al comma 1. 3. I protocolli d’intesa prevedono le forme e le modalità di accesso dei dirigenti sanitari del S.S.N., che operano nei dipartimenti ad attività integrata, impegnati in attività didattica, ai fondi di ateneo di cui all’art. 4, comma 2, della legge 19 ottobre 1999, n. 370. 4. Ferma restando l’abrogazione delle norme incompatibili con il presente decreto sono comunque abrogate le parti dell’art. 102 del decreto del Presidente della Repubblica n. 382/1980 che disciplinano l’attribuzione del trattamento economico integrativo. ».
La nuova disciplina ha il chiaro intento di fissare un criterio di quantificazione del trattamento economico spettante al personale universitario che tenga conto del nuovo assetto della dirigenza medica e della diversa struttura della retribuzione delineata dalle parti collettive, le quali, già a partire dal CCNL 5.12.1996, per quel che in questa sede rileva, avevano distinto
lo stipendio tabellare dalla retribuzione di posizione e da quella di risultato e, quanto a questi ultimi emolumenti, ne avevano previsto la corresponsione con modalità solo parzialmente predeterminate nell’ an, nel quomodo e nel quantum, lasciando spazio, entro i limiti fissati dalla contrattazione nazionale, all’intervento degli atti datoriali, da adottare, previa contrattazione integrativa, in relazione all’organizzazione delle singole aziende sanitarie.
Una volta superato l’inquadramento della dirigenza medica in tre distinte qualifiche funzionali e valorizzate a fini retributivi la natura dell’incarico conferito con le connesse responsabilità da graduare in sede aziendale e la qualità dei risultati raggiunti, occorreva individuare un sistema di corrispondenza che andasse oltre il rigido automatismo fissato, in un diverso contesto, dall’art. 102 del d.P.R. n. 382/1980 .
Il legislatore ha ritenuto di poter raggiungere l’obiettivo, da un lato, prevedendo la distinzione, all’interno del trattamento aggiuntivo, della componente finalizzata a remunerare le responsabilità connesse all’incarico da quella graduata in relazione ai risultati ottenuti; dall’altro stabilendo che questa distinzione dovesse essere operata sulla base dei medesimi criteri indicati dalla contrattazione collettiva per l’area della dirigenza medica e che dovessero essere garantiti al personale universitario gli incrementi previsti per i dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale.
4.5. La nuova disciplina non smentisce bensì conferma la finalità innanzitutto perequativa del trattamento economico aggiuntivo e ciò è reso evidente dal chiaro tenore letterale del comma 2 dell’art. 6 che, nell’indicare i criteri sulla base dei quali devo no essere quantificate le risorse stanziabili, richiama il comma 2 dell’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980, e, quindi, attraverso il
rinvio, il principio secondo cui al personale universitario deve essere «assicurata l’equiparazione del trattamento economico complessivo corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzione, mansione ed anzianità». Il rinvio non è fatto all’ammontare dei fondi previsti dal previgente sistema, ammontare al quale si riferisce il comma 3 dell’art. 102, bensì ai criteri sulla base dei quali quei fondi erano stati previsti e stanziati, criteri che, come già detto, perseguivano l’ obiettivo della equiparazione dei trattamenti complessivi e non delle singole voci stipendiali.
La finalità perequativa, dunque, è rimarcata, anche se realizzata con modalità diverse rispetto al passato con una distinzione, all’interno del trattamento aggiuntivo, fra componenti che, ferma la non sovrapponibilità con i corrispondenti istituti contrattuali della dirigenza medica, al pari di questi ultimi valorizzano , da un lato, la posizione ricoperta, dall’altro i risultati raggiunti nell’espletamento dell’incarico.
In tal senso, quindi, va interpretata la seconda parte della disposizione in commento che impone, non l’automatica estensione ai docenti universitari delle voci retributive e dei correlativi importi previsti dalla contrattazione collettiva della dirigenza medesima, bensì solo un criterio di «congruità e proporzione » rispetto ai trattamenti previsti al medesimo scopo dai contratti collettivi per la dirigenza medica del Servizio Sanitario Nazionale, congruità e proporzione implicanti anche l’adeguamento dei trattamenti aggiuntivi, una volta determinati, agli incrementi previsti dalla contrattazione successivamente intervenuta.
D’altro canto , se il legislatore avesse inteso abbandonare ogni logica perequativa e prevedere un compenso aggiuntivo pari a quello previsto in favore del dirigente medico svolgente la
medesima attività assistenziale si sarebbe espresso esplicitamente in tal senso e non avrebbe avuto bisogno alcuno di ricorrere al complesso meccanismo delineato dal d.lgs. n. 517/1999, né avrebbe limitato l’abrogazione dell’art. 102 del d.P.R. 382/1980.
Quel meccanismo si giustifica proprio perché in un sistema comunque finalizzato a garantire l’omogeneizzazione della retribuzione delle due categorie di personale non poteva essere trascurato il dato del trattamento economico già corrisposto al docente dal l’Università, al quale, anche in ragione della stretta correlazione che si realizza fra attività assistenziale e attività di ricerca e di didattica, non si può sommare puramente e semplicemente quello previsto per le singole voci in favore del dirigente medico, occorrendo, invece, che le risorse da destinare alle due componenti previste dalle lettere a) e b) vengano determinate apprezzando, non solo gli importi e le modalità di quantificazione previsti dai CCNL per i dirigenti sanitari contrattualizzati ma anche quanto già riconosciuto al personale universitario in ragione del rapporto di impiego pubblico in essere con l’Università.
Nel sistema così delineato, dunque, il docente assegnato ad attività assistenziale non può pretendere l’estensione automatica della disciplina dettata per ciascuna componente del trattamento retributivo dai CCNL della dirigenza medica succedutisi nel tempo ed inoltre può contestare l’adeguatezza delle risorse stanziate ai sensi del comma 2 del citato art. 6, che segnano il limite non superabile nel rispetto del quale il trattamento aggiuntivo va riconosciuto, solo se quelle risorse si rivelino insufficient i per assicurare l’intento perequativo, il che si verifica unicamente qualora i trattamenti determinati ai sensi del comma 1, sommati a quello ricevuto dall’Università, risultino
complessivamente inidonei ad operare una sostanziale equiparazione, quanto a trattamento finale complessivamente considerato, al personale delle unità sanitarie locali svolgente funzioni analoghe.
Il primo motivo di ricorso va, pertanto, rigettato perché è fondato su un’interpretazione erronea del rinvio al comma 2 del più volte citato art. 102, ed altrettanto erroneamente sostiene che la fonte legale non conterrebbe alcun limite inerente all’ammont are delle risorse. Al contrario, quel limite è dato dall’ammontare delle somme «globalmente considerate» necessarie per assicurare la finalità indicata nel richiamato comma 2 dell’art. 102.
Il secondo motivo è inammissibile perché, attraverso la denuncia solo apparente della violazione di legge con riferimento agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in realtà sollecita un’interpretazione diretta del Protocollo d’Intesa stipulato dalla Regione Emilia Romagna e dalle Università di Bologna, Ferrara, Modena e Parma il 27 marzo 2001 e del successivo verbale del 27 novembre 2007.
Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato l’orientamento secondo cui l’esegesi del contratto, dell’atto unilaterale ed anche del provvedimento amministrativo è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. fra le tante Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006) in quanto la ricerca della volontà delle parti o del dichiarante si sostanzia in un accertamento di fatto (Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014). Se ne è tratta la conseguenza che le valutazioni espresse al riguardo soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex
plurimis , Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018). È stato precisato, inoltre, che la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione in iure , ossia la precisazione delle ragioni giuridiche, non fattuali, per le quali deve essere ravvisata l’anzidetta violazione, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 946 e 995 del 2021 nonché Cass. n. 28319 del 2017).
Quest’ultima evenienza è quella che si riscontra nella fattispecie, perché la Corte territoriale ha fornito un’interpretazione degli atti in parola che si armonizza con quella del dettato normativo e che non è implausibile o contraria al tenore letterale delle disposizioni sulle quali fa leva il ricorrente. Infatti il rinvio alle disposizioni della contrattazione collettiva va letto tenuto conto di quanto sopra si è detto, dell’autonomia del fondo rispetto a quelli previsti per la dirigenza medica del SSN, della non sovrapponibilità degli stessi, da quantificare secondo criteri di ‘congruità e proporzione’ non già di assoluta coincidenza.
Parimenti inammissibile è il terzo motivo, rispetto al quale va escluso il necessario interesse all’impugnazione, una volta respinte le prime due censure che attengono alla fondatezza della pretesa.
Si aggiunga che, come precisato nello storico di lite, la Corte distrettuale, pur accennando alla fondatezza dell’eccezione di prescrizione, l’ha espressamente assorbita in ragione dell’avvenuta «conferma della statuizione di merito dell’appellata sentenza ».
Il giudice d’appello, dunque, ha ritenuto dirimente l’infondatezza della pretesa, sicché il mero accenno all’eccezione
di prescrizione, non esaminata funditus , costituisce un obiter dictum , non idoneo ad integrare un’autonoma ratio decidendi e non censurabile in sede di legittimità.
In via conclusiva il ricorso deve essere complessivamente rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 4000,00 per competenze professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, al rimborso spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione