Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9606 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9606 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11387-2020 proposto da:
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA NOME, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’UFFICIO DI RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
Oggetto
Altre ipotesi
pubblico
impiego
R.G.N. 11387/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 06/03/2025
CC
NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 193/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 08/01/2020 R.G.N. 160/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
1. con sentenza del 13/1/2020 la Corte d’appello di Trieste, riformando la sentenza del Tribunale che aveva rigettato il ricorso, ha accertato il diritto degli attuali controricorrenti a vedersi liquidare il loro ‘trattamento terminativo’, comunque denominato, computando in esso « anche l’anzianità di servizio da loro maturata dopo il 15 novembre 2002 per effetto dell’incarico dirigenziale loro conferito e d a utilizzare, come base del conteggio relativo, la retribuzione percepita per effetto di detto incarico, detratto quanto percepito dai ricorrenti stessi a titolo di tfs e/o tfr per il periodo successivo al 15/11/2002»;
2. gli originari ricorrenti, dirigenti a tempo indeterminato della regione Friuli-Venezia-Giulia, nella fase conclusiva del rapporto intercorso con l’ente erano stati destinatari di incarichi dirigenziali a termine conferiti ai sensi della legge reg. n. 4/2004, art. 12, espressamente qualificati di diritto privato,
e al momento del collocamento in quiescenza ricoprivano l’incarico in questione;
hanno agito in giudizio chiedendo la rideterminazione della indennità prevista dall’art. 143 della legge reg. n. 53/1981 che, a loro dire, doveva essere computata tenendo conto di detto ultimo incarico, anche ai fini della determinazione della base di calcolo, mentre ad avviso della regione non poteva tener conto del rapporto dirigenziale disciplinato dal diritto privato per il quale andava liquidato unicamente il tfr;
pendente il giudizio la Regione ha emanato norma (art. 7 commi 28, 29 e 30 legge reg. n. 33/2015) di interpretazione autentica del citato art. 143, escludendo dall’ambito della sua applicazione i contratti di diritto privato, ma la disposizione è stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 174/2019;
la sentenza qui impugnata, pronunciata all’esito della riassunzione, dopo aver ricostruito il quadro normativo, ha accolto la domanda valorizzando, sostanzialmente, il principio della unitarietà del trattamento di fine rapporto e traendo elementi di conferma della tesi sostenuta dagli appellanti anche dall’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001; ha poi sottolineato che in tutti i contratti individuali si affermava, in conformità a quanto previsto già dal legislatore regionale, che l ‘ anzianità maturata sulla base del contratto a tempo determinato sarebbe stata utile ai fini del calcolo della complessiva anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza;
contro tale sentenza ricorre la regione Friuli-VeneziaGiulia formulando due motivi di ricorso, cui si oppongono con controricorso i lavoratori; entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo, complesso e articolato in più punti, rubricato «violazione e falsa applicazione degli artt. 142 e 143 della legge Regione Friuli Venezia Giulia n. 53 del 1981, dell’articolo 2, commi da 5 a 9, della legge n. 335 del 1995, degli articoli 36 e 38 della Cost., dell’art. 1 commi 2-3 del d.P.C.m. 20.12.1999, dell’art. 47 della legge Regione Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1996, dell’art. 19 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001», si sostiene, in sintesi, che il rapporto di lavoro non poteva essere ritenuto unitario e che il trattamento aggiuntivo previsto dalla legge regionale n. 53/1981 andava applicato al solo periodo di svolgimento del rapporto di lavoro pubblico e non poteva comprendere anche il periodo del contratto di diritto privato per il quale andava riconosciuto unicamente il TFR, così come previsto dal d.P.C.m. 20.12.1999;
si aggiunge che improprio è il richiamo all’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 che è applicabile al rapporto dirigenziale a tempo indeterminato e che non possono essere qui estesi i principi affermati con riferimento a fattispecie solo apparentemente analoga prevista per gli organi apicali delle unità sanitarie locali perché, in quel caso, si era in presenza di una espressa previsione normativa che farebbe difetto nella fattispecie;
1.1 il motivo è infondato, non potendo condividersi il testuale rilievo di parte ricorrente secondo cui «mancherebbe una norma che in modo sufficientemente chiaro disponga l’estensione della generosa eccedenza della legge reg. n. 53/1981 (artt. 142-143)» anche al rapporto a termine di diritto privato (così a p. 26 del ricorso per cassazione);
1.2. occorre muovere da una breve ricognizione del dato normativo;
l’a rt. 142 l. r. Friuli n. 53/81 prevede che « Per la determinazione del servizio utile ai fini dell’indennità di buonuscita è valutabile il servizio reso alle dipendenze dell’Amministrazione regionale, degli enti regionali e degli enti interessati da provvedimenti, statali o regionali, di soppressione, scorporo o riforma, il cui personale sia stato assegnato o trasferito alla Regione o agli enti regionali, compreso quello prestato anteriormente all’entrata in vigore della legge 8 marzo 1968, n. 152, nonché quello riscattato a tali fini »;
il successivo art. 143, stessa legge, stabilisce che « La misura dell’indennità per ogni anno di servizio utile è stabilita in 1/12 degli assegni fissi pensionabili, ai sensi del terzo comma dell’art. 136 della presente legge, goduti all’atto della cessazione dal servizio, nonché di quelli eventualmente spettanti alla medesima data ai sensi dell’art. 2 della legge 24 maggio 1970, n. 336, o di altre disposizioni di legge, compresa l’indennità integrativa speciale limitatamente alla misura valutata dall’INADEL.
La Regione assicura, comunque, al dipendente l’indennità di buonuscita anche nei casi in cui questa non spetterebbe secondo la legislazione dell’INADEL.
A favore dei dipendenti che cessino dal servizio prima d’aver maturato un’anzianità di almeno sei mesi ed un giorno, l’indennità di buonuscita è liquidata mediante la corresponsione, per ogni mese di servizio che sarebbe spettata per un intero anno di servizio. Ai fini predetti, le frazioni di mese superiori a 15 giorni si considerano mese intero »;
mentre l’a rt. 12, comma 4, della l.r. Friuli n. 4/2004 a sua volta recita:
« Gli incarichi dirigenziali possono essere conferiti anche con contratto a tempo determinato di diritto privato; il conferimento a un dipendente del ruolo unico regionale determina il collocamento in aspettativa senza assegni per tutta la durata dell’incarico e il servizio prestato in forza di detto contratto è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, nonché dell’anzianità di servizio. Con riferimento agli incarichi di cui al comma 2, lettere d) ed e), il conferimento può avvenire per un numero massimo di unità pari al 15 per cento del numero di posti complessivamente previsto per gli incarichi medesimi. Al dipendente del ruolo unico regionale non appartenente alla categoria dirigenziale l’incarico può essere conferito per un periodo massimo di due anni non rinnovabile. L’incarico di Capo di Gabinetto della Presidenza della Giunta regionale o della Presidenza del Consiglio regionale è correlato alla durata in carica, rispettivamente, del Presidente della
Regione e del Presidente del Consiglio regionale. Gli incarichi di cui al comma 2, lettere d) ed e), non possono essere conferiti con contratto a tempo determinato di diritto privato a personale del ruolo unico regionale appartenente alla categoria dirigenziale »;
ed ancora, l’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, più volte modificato, a partire dal 15 novembre 2009 prevede poi espressamente:
« Resta fermo che per i dipendenti statali titolari di incarichi di funzioni dirigenziali ai sensi del presente articolo, ai fini dell’applicazione dell’articolo 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 , e successive modificazioni, l’ultimo stipendio va individuato nell’ultima retribuzione percepita in relazione all’incarico svolto »;
l ‘art. 3 bis , comma 11, del d.lgs. n. 502/1992 stabilisce infine che:
« La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L’aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente, calcolati sul trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito nei limiti dei massimali di
cui all’articolo 3, comma 7 del decreto legislativo 24 Aprile 1997 n. 181, e a richiedere il rimborso di tutto l’onere da esse complessivamente sostenuto all’unità sanitaria locale o all’azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell’interessato »;
1.3 orbene, la sentenza impugnata è, nel suo iter argomentativo, senz’altro condivisibile laddove afferma, alla luce del quadro normativo sopra delineato, che il trattamento economico spettante alla cessazione del rapporto va (invero) parametrato all’ultimo assegno ‘fisso’ in godimento , riferendosi all’intero servizio prestato e includendo anche l’incarico di dirigenza a tempo determinato di diritto privato, e ciò sulla scorta dell’orientamento espresso, sia pure in altro ambito, da questa Corte;
1.4 decisive in tal senso sono, in particolare, le pronunce di legittimità rese in tema di rilevanza del contratto di diritto privato stipulato con le Aziende Sanitarie Locali;
a partire da Cass., Sez. L, n. 11925/2008 si è detto, infatti, che «l’espressione “trattamento di quiescenza e di previdenza” è tale da comprendere la totalità dei diritti spettanti al lavoratore dipendente in derivazione dalla cessazione del rapporto di lavoro; d’altra parte, la natura previdenziale dell’indennità di fine di servizio è stata affermata dalle Sezioni Unite della Corte (vedi sentenza 13 maggio 2005, n. 11329); nessuna rilevanza, inoltre, è possibile attribuire alla natura del rapporto di lavoro che si instaura con l’azienda
sanitaria a seguito del conferimento della nomina a direttore generale (ovvero amministrativo o sanitario), qualificato esplicitamente dal legislatore come autonomo e di diritto privato, atteso che la disciplina speciale stabilisce la permanenza del rapporto di lavoro dipendente (a mezzo dell’istituto dell’aspettativa senza assegni) e obbliga il datore di lavoro al pagamento dei contributi da calcolare sul trattamento economico che il dipendente riceve in conseguenza dell’incarico di direttore. I contributi, dunque, sono pagati in relazione al rapporto di lavoro subordinato e si considera retribuzione figurativa quella parametrata al compenso collegato alla carica, mentre il debitore è identificato nel datore di lavoro, ancorché gli venga attribuito il diritto al rimborso nei confronti nel soggetto che utilizza la prestazione durante il periodo di aspettativa»;
1.5 ai fini che ci occupano, rileva, inoltre, a contrario , anche la motivazione di Cass. n. 9494/2022 che ha ritenuto legittimo, in quel caso, il frazionamento dell’indennità premio di fine servizio solo in quanto la legge regionale, diversamente da quella che qui viene in rilievo, prevedeva l’espressa estinzione del rapporto;
infatti, la pronuncia -richiamando sul punto Cass. S.U. n. 24280/2014 la quale, in motivazione, afferma con chiarezza il principio della infrazionabilità in caso di novazione del rapporto con lo stesso ente -si esprime nei seguenti termini (v. paragrafi 9 e ss.):
«La disciplina del trattamento di fine servizio per gli enti locali (e regionali) – hanno evidenziato le Sezioni Unite – è invece contenuta nell’articolo 2 L. 8 marzo 1968 nr. 152, a tenore del quale il diritto all’indennità premio di servizio si consegue al momento della «cessazione dal servizio», sicché il diritto non si può conseguire quando non vi sia cessazione dal servizio ma solo una modifica del rapporto, che non ne comporti l’estinzione. In questo senso, hanno concluso le Sezioni Unite, l’indennità premio di servizio è infrazionabile; diversamente, vi è cessazione -e liquidazione dell’indennità premio di servizio -quando il rapporto di lavoro si estingue e ne nasce uno nuovo alle dipendenze di un soggetto diverso. Le Sezioni Unite non si sono direttamente occupate del caso, qui ricorrente, della estinzione del rapporto di ruolo alle dipendenze di un ente regionale e della creazione di un rapporto di lavoro, a termine, nuovo rispetto al precedente ma comunque alle dipendenze dello stesso ente, senza soluzione di continuità. Il principio che si trae dalla pronuncia, tuttavia, è quello secondo cui di infrazionabilità, nel regime della indennità premio di servizio, può parlarsi nel caso di un rapporto di lavoro unitario, seppure modificato»;
1.6 peraltro, il d.P.C.m. del 20.12.1999 che anche la sentenza della Corte costituzionale n. 174/2019 richiama nel suo passaggio finale («9. Il giudice a quo dovrà peraltro valutare attentamente la fondatezza della pretesa di conseguire l’indennità di buonuscita anche per il periodo di servizio prestato in virtù di
contratti a tempo determinato, alla luce della normativa statale di riferimento -d.P.C.m. 20 dicembre 1999 -e dell’evoluzione della disciplina regionale») non smentisce affatto questa conclusione; ed anzi ne conferma (a ben vedere) la correttezza, prevedendo l’accantonamento e la liquidazione del Tfr alla cessazione del servizio (cfr. art. 1 comma 6 «Il trattamento di fine rapporto sarà accantonato figurativamente e verrà liquidato dall’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) alla cessazione dal servizio del lavoratore secondo quanto disposto dalla legge 29 maggio 1982, n. 297»), senza che in contrario valga invocare il successivo comma 9 dell’art. 1 («Ai fini dell’armonizzazione al regime generale del trattamento di fine rapporto, per i periodi di lavoro prestato a tempo determinato presso le amministrazioni di cui all’art. 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni nonché presso enti sottoposti alla disciplina della legge 20 marzo 1975, sarà erogato il trattamento di fine rapporto ai sensi della legge n. 297 del 29 maggio 1982, con le modalità definite dall’accordo quadro sottoscritto il 29 luglio 1999, a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri») che si applica, si noti, ai rapporti a tempo determinato e non a quello a tempo indeterminato sul quale si innesta un CTD;
in definitiva, alla stregua di rilievi suesposti, la censura della regione va nel suo complesso rigettata;
il secondo motivo è rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 437 cod. proc. civ., 1362, 2697 e 2729 cod. civ., dell’art. 38 comma 4 Cost., dell’art. 1 commi 2-3 del d.P.C.m. 20 dicembre 1999;
in esso si censura la sentenza per avere ammesso documentazione tardivamente prodotta mediante suo inserimento nel corpo del ricorso ex art. 434 cod. proc civ. e per avere erroneamente interpretato i contratti individuali e, ancora, per avere ritenuto che fosse stato provato il versamento di contributi finalizzati a finanziare l’eccedenza di cui alla legge reg. n. 53/1981);
2.1 a parte il fatto che si tratta di censure inammissibili perché formulate senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., si rivela nella specie del tutto assorbente, rispetto ad ogni altra considerazione, l’ affermata infondatezza del primo motivo alla luce dell’interpretazione del quadro normativo sopra enunciata;
conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con addebito delle spese di legittimità -liquidate in dispositivo -alla parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 8.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 6.3.2025.