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Trasformazione part-time: quando diventa full-time?

Una lavoratrice, assunta con contratto part-time, ha costantemente svolto un orario di lavoro superiore, agendo di fatto come una dipendente a tempo pieno. La Corte di Cassazione ha confermato la trasformazione part-time del rapporto in full-time per fatti concludenti. La Corte ha stabilito che la lavoratrice ha diritto alle differenze retributive (nei limiti della prescrizione), ma ha negato il diritto a un risarcimento del danno aggiuntivo, specificando che tale risarcimento è previsto solo per vizi formali del contratto originario e non per una trasformazione consensuale basata sui comportamenti delle parti.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Trasformazione Part-Time: Quando il Comportamento Vale Più del Contratto

La trasformazione part-time di un rapporto di lavoro in uno a tempo pieno è un tema cruciale nel diritto del lavoro. Un contratto part-time può evolvere in un full-time non solo con un accordo scritto, ma anche attraverso comportamenti concreti e costanti di datore di lavoro e dipendente. La sentenza n. 3293/2024 della Corte di Cassazione offre un’analisi dettagliata di questa dinamica, distinguendo nettamente le conseguenze economiche di una trasformazione consensuale da quelle derivanti da vizi formali del contratto.

I Fatti del Caso

Una lavoratrice, formalmente assunta con un contratto a tempo parziale, si è rivolta al giudice sostenendo di aver di fatto sempre lavorato con un orario assimilabile a quello a tempo pieno. Il Tribunale di primo grado le ha dato ragione, riconoscendo il suo diritto a ricevere le differenze retributive e la regolarizzazione contributiva.

La Corte d’Appello, pur confermando l’impianto generale, ha riformato parzialmente la decisione. Ha stabilito che il rapporto di lavoro si era trasformato in full-time a partire da una certa data e ha condannato l’azienda a pagare le differenze di stipendio maturate a partire dal 2009 (tenendo conto della prescrizione quinquennale). Inoltre, ha riconosciuto alla lavoratrice un risarcimento del danno, quantificato nel 10% delle differenze retributive, per la maggiore onerosità della prestazione lavorativa offerta. Contro questa decisione, l’azienda ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Trasformazione Part-Time

La Corte di Cassazione ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dalla società, accogliendone solo uno.

I primi due motivi, con cui l’azienda contestava la trasformazione del rapporto e la decorrenza delle differenze retributive, sono stati respinti. La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui la trasformazione part-time in un rapporto a tempo pieno può avvenire per fatti concludenti. Questo si verifica quando, nonostante l’accordo iniziale, entrambe le parti manifestano con il loro comportamento costante la volontà di attuare un rapporto di lavoro a tempo pieno. L’accertamento di questa volontà comune è compito del giudice di merito e, una volta provata, il lavoratore ha diritto alla retribuzione piena commisurata all’effettiva prestazione svolta.

Il terzo motivo di ricorso, invece, è stato accolto. La società lamentava l’errata condanna al risarcimento del danno. La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: il risarcimento previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 61/2000 è una sanzione specifica per i casi in cui il contratto part-time presenta vizi formali genetici, come la mancanza della forma scritta o l’omessa indicazione della durata e della collocazione dell’orario di lavoro. Nel caso in esame, invece, non si trattava di un vizio del contratto originario, ma di una sua successiva evoluzione voluta da entrambe le parti.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che quando un rapporto di lavoro si trasforma per mutuo consenso, espresso tramite comportamenti concludenti, non si applica l’apparato sanzionatorio previsto per i difetti formali. La trasformazione avviene per volontà delle parti, non per imposizione di legge a seguito di un’irregolarità.

Di conseguenza, il diritto del lavoratore è quello di ricevere il trattamento retributivo corrispondente al rapporto a tempo pieno effettivamente svolto. Non ha, invece, diritto a un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. Questo perché la sua prestazione full-time non è la conseguenza di un’imposizione illegittima, ma il frutto di un nuovo, seppur tacito, accordo contrattuale. Il suo consenso alla trasformazione esclude la configurabilità di un danno risarcibile ai sensi della normativa sui vizi del contratto part-time.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello nella parte relativa alla condanna al risarcimento del danno, respingendo la pretesa della lavoratrice su questo punto. Ha invece confermato il diritto della dipendente a percepire tutte le differenze retributive maturate per il lavoro a tempo pieno svolto, nei limiti della prescrizione. La sentenza consolida il principio per cui la realtà effettiva del rapporto di lavoro prevale sulla forma contrattuale, ma allo stesso tempo traccia una linea netta tra le tutele: da un lato la retribuzione piena, dovuta per il lavoro prestato, dall’altro il risarcimento del danno, riservato come sanzione per specifiche violazioni formali nella stipula del contratto part-time.

Un contratto part-time può diventare full-time senza un nuovo accordo scritto?
Sì, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, un rapporto di lavoro nato come part-time può trasformarsi in un rapporto a tempo pieno ‘per fatti concludenti’. Questo accade quando il comportamento continuativo di entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore) dimostra in modo inequivocabile la volontà comune di svolgere e ricevere una prestazione lavorativa a tempo pieno.

Se il rapporto si trasforma di fatto in full-time, da quando sono dovute le differenze di stipendio?
Una volta accertato che il rapporto si è trasformato in un full-time per volontà comune, le differenze retributive sono dovute dal momento in cui questa trasformazione si è concretizzata, a prescindere da una successiva dichiarazione giudiziale. L’unico limite è quello della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro.

In caso di trasformazione ‘per fatti concludenti’, spetta anche un risarcimento del danno oltre alla paga piena?
No. La sentenza chiarisce che il risarcimento del danno previsto da specifiche norme (come l’art. 8 del D.Lgs. 61/2000) è una sanzione per vizi formali del contratto scritto iniziale (es. mancanza della durata dell’orario). Se la trasformazione avviene per un accordo tacito tra le parti, il lavoratore ha diritto solo al trattamento retributivo pieno corrispondente al lavoro svolto, ma non a un ulteriore risarcimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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