Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20518 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20518 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
Oggetto
Impiego pubblico
Passaggio di personale
dipendenti ex
R.I.D.
Contrattazione applicabile
Assegno ad personam
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 20/06/2024
CC
sul ricorso 15334-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3688/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/11/2018 R.G.N. 1916/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, provvedendo sull’appello principale proposto dal RAGIONE_SOCIALE nonché sull’impugnazione incidentale notificata da NOME COGNOME, ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto parzialmente il ricorso del COGNOME e di NOME COGNOME, rimasto contumace in appello, e ha respinto nella sua interezza la domanda;
i ricorrenti, originariamente in servizio presso il RAGIONE_SOCIALE, ente pubblico non economico istituito dal d.lgs. n. 112/1998, art. 91, erano transitati nei ruoli del RAGIONE_SOCIALE per effetto dell’art. 2 del d.l. n. 262/2006, convert ito dalla legge n. 286/2006, ed avevano agito in giudizio lamentando che, successivamente al passaggio, non erano più state corrisposte le indennità di specificità organizzativa e di utilizzo flessibile della professionalità, previste dalla contrattazione collettiva nazionale integrativa ( art. 15 e 18 del CCNI 15 settembre 2004) per il personale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE;
il RAGIONE_SOCIALE, inoltre, non aveva rinnovato la polizza sanitaria, parimenti prevista dalla contrattazione integrativa;
il Tribunale aveva riconosciuto unicamente il diritto dei ricorrenti a percepire l’assegno ad personam riassorbibile, con inclusione nello stesso della indennità di specificità organizzativa, in quanto erogata in misura fissa a tutti i dipendenti in servizio ed aveva, invece, rigettato le ulteriori domande;
la Corte territoriale, dopo aver escluso che la contrattazione per il personale del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE potesse trovare applicazione anche successivamente al passaggio nei ruoli del
RAGIONE_SOCIALE, ha ribadito che agli ex dipendenti del RAGIONE_SOCIALE. poteva essere riconosciuto unicamente il diritto alla irriducibilità della retribuzione, garantito attraverso il riconoscimento dell’assegno ad personam calcolato tenendo conto dei soli emolumenti certi, predeterminati e di necessaria erogazione;
ha, quindi, esaminato le clausole della contrattazione collettiva rilevanti ai fini di causa ed è pervenuta a diverse conclusioni quanto alla interpretazione dell’art. 15 del CCNI concernente l’indennità di utilizzo flessibile della professionalità perché anche il trattamento in parola, al pari di quello previsto dall’art. 18 dello stesso contratto, non è «erogato in virtù del mero rapporto di lavoro tra personale e amministrazione bensì attribuito e modulato in ragione della maggiore o minore flessibilità mostrata dal dipendente nello svolgimento dei compiti di assistenza istituzionale»;
analogamente l’indennità di specificità organizzativa è finalizzata a remunerare la disponibilità del lavoratore a prestare la propria attività in condizioni di disagio o a garantire la reperibilità e, pertanto, la sua erogazione è condizionata dalla sp ecificità RAGIONE_SOCIALE funzioni svolte nell’amministrazione di provenienza;
infine, quanto alla polizza sanitaria, il giudice d’appello ha ritenuto il motivo privo di specificità, non avendo l’appellante incidentale precisato le ragioni per le quali il beneficio doveva essere ritenuto non coincidente con l’analogo benefit previsto per il personale del RAGIONE_SOCIALE;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il solo NOME COGNOME sulla base di quattro motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 175, del d.l. n. 262/2002 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 165/2001;
sostiene che, sulla base della norma speciale, doveva essere garantito al personale in servizio presso il R.I.D. il trattamento economico in precedenza goduto e doveva continuare a trovare applicazione la disciplina collettiva del RAGIONE_SOCIALE di provenienza, sicché andavano riconosciute tutte le indennità previste dal contratto integrativo per il personale della RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE;
aggiunge che anche successivamente alla soppressione del R.RAGIONE_SOCIALE.D. il personale aveva continuato a svolgere le medesime mansioni con le stesse modalità, garantendo la disponibilità ad essere reperibile in ogni momento ed a svolgere il lavoro notturno;
2. la seconda censura, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., addebita alla Corte distrettuale di essere incorsa nella «violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 175, del d.l. n. 262/2002 convertito in legge n. 286/2006, degli artt. 18 e 20 CCNI RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE sottoscritto il 21 settembre 2009» e di avere violato il divieto di reformatio in peius ;
riprende argomenti già sviluppati nel primo motivo ed insiste nel sostenere che il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto continuare ad erogare tutti gli emolumenti previsti dalla contrattazione integrativa applicabile al personale della RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, in aggiunta a quelli disciplinati dal C.C.N.L. RAGIONE_SOCIALE ed alla relativa contrattazione integrativa;
il ricorrente contesta l’interpretazione dell’art. 18 del CCNI che si legge nella sentenza impugnata e ribadisce che anche successivamente alla soppressione del R.I.D. aveva continuato a svolgere i compiti in precedenza assegnatigli con le stesse modalità, ossia dando ampia disponibilità alla reperibilità, alla flessibilità organizzativa, alla protrazione del lavoro oltre l’orario ordinario;
il terzo motivo, egualmente formulato ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deduce la «erronea applicazione dell’art. 7, comma 5, del d.lgs. 165/2001 e dell’art. 18 contratto collettivo nazionale integrativo della RAGIONE_SOCIALE del 15 settembre 2004» e alle considerazioni già esposte nelle censure sopra riassunte aggiunge che ha errato il giudice d’appello nel richiamare l’art. 7 del d.lgs. n. 165/2001 , perché il trattamento accessorio del quale era stata domandata l’attribuzione era esattamente quello previsto dalla contrattazione integrativa applicabile anche dopo il passaggio alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE;
infine con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione, rilevante ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 2, comma 3, e 40 del d.lgs. n. 165/2001 ed il ricorrente deduce che, ai sensi del d.m. 1396 del 10 giugno 2009, che richiama il disposto dell’art. 2, comma 175 della legge n. 286/2006, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto definire la posizione del personale proveniente dal soppresso RAGIONE_SOCIALE e, pertanto, non avendolo fatto era tenuto ad applicare la contrattazione integrativa del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
i motivi di ricorso, che possono essere esaminati unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono infondati nella parte in cui sostengono che, anche all’esito del passaggio nei ruoli del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e dei RAGIONE_SOCIALE, doveva trovare applicazione il C.C.N.I. della RAGIONE_SOCIALE;
si tratta di una tesi smentita da plurimi precedenti di questa Corte (cfr. Cass. n. 20918/2020; Cass. n. 30815/2022; Cass. nn. 22760, 22771, 22788, 22819 del 2023), che hanno ritenuto infondate analoghe domande proposte da ex dipendenti del soppresso RAGIONE_SOCIALE;
5.1. con le citate pronunce, alle quali il Collegio intende dare continuità, è stata ricostruita la complessa vicenda che ha interessato i rapporti di impiego che qui vengono in rilievo, snodatasi a partire dalla legge n. 183/1989, con la quale il legislatore istituì, presso la RAGIONE_SOCIALE, i Servizi RAGIONE_SOCIALE, dotati di autonomia scientifica, tecnica, organizzativa ed operativa, nei quali confluirono le analoghe strutture già esistenti presso i RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE e fu previsto , all’art. 9, comma 13, che il relativo personale dovesse essere inquadrato dapprima in ruoli transitori e successivamente in quelli del nuovo ordinamento «fatti salvi lo stato giuridico ed il trattamento economico comunque posseduti»;
5.2 . l’art. 91 del d.lgs. n. 112/1998 soppresse il RAGIONE_SOCIALE trasformandolo in RAGIONE_SOCIALE, ente pubblico non economico del quale il regolamento approvato con d.P.R. n. 136/2003 dettò la specifica disciplina quanto all’organizzazion e, ai compiti ed al funzionamento, prevedendo anche, all’art. 14, che «ferma restando l’applicazione dell’art. 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165» sarebbe stato trasferito al R.I.D. il personale appartenente al ruolo del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nonché, su domanda, quello comandato da altra amministrazione presso il servizio medesimo;
5.3. il richiamato art. 14, sul presupposto della complessità RAGIONE_SOCIALE procedure di nuovo inquadramento, stabilì, al comma 7, che fino al completamento RAGIONE_SOCIALE stesse « ed alla stipulazione del primo contratto integrativo collettivo del RID, al personale trasferito al RID di cui al comma 5 è mantenuto il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti attuali e loro rinnovi applicati presso gli enti, le amministrazioni ed organismi di provenienza al momento dell’inquadramento »;
5.4 . per effetto di quest’ultima disposizione ai dipendenti del R.I.D. provenienti dal soppresso RAGIONE_SOCIALE, nonostante l’avvenuto trasferimento in altro RAGIONE_SOCIALE, l’ente ha continuato ad applicare gli istituti economici e normativi previsti dalla contrattazione nazionale ed integrativa applicabile al personale della RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE;
5.5. peraltro l’evento che, ai sensi dell’art. 14, avrebbe dovuto segnare il passaggio dal regime transitorio a quello definitivo, ossia la stipulazione del contratto integrativo del RID, non si è mai verificato, perché il legislatore con l’art. 2 del d.l. n. 262/2006, convertito dalla legge n. 286/2006, ha soppresso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ( comma 170), ne ha trasferito le competenze al RAGIONE_SOCIALE ( comma 171), e, quanto al personale, ha previsto che lo stesso dovesse conservare «lo stato giuridico ed economico in godimento» ( comma 175);
5.6. per effetto del richiamato art. 2 si è, dunque, verificato un passaggio di personale riconducibile alla previsione dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001 che, a sua volta, rinvia all’art. 2112 cod. civ., e che questa Corte, quanto all’individuazione della contrattazione collettiva applicabile all’esito de l trasferimento, ha interpretato affermando che il passaggio di personale comporta l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa ed in un mutato contesto di regole normative e
retributive, immediatamente applicabili al rapporto, perché la momentanea ultrattività della contrattazione collettiva applicata dal cedente è limitata, dal terzo comma dell’art. 2112 cod. civ., alla sola ipotesi in cui il cessionario non abbia recepito alcun contratto, evenienza, questa, esclusa nell’impiego pubblico contrattualizzato dall’operatività della disciplina dettata, quanto alla contrattazione, dal d.lgs. n. 165/2001 (cfr. fra le più recenti per l’impiego pubblico Cass. n. 6756/2020 e per l’impie go privato Cass. n. 19303/2015);
5.7. si tratta di principi conformi a quelli affermati dalla Corte di Giustizia che, nell’interpretare la direttiva 2001/23, applicabile anche agli enti RAGIONE_SOCIALE, ha sottolineato che quest’ultima mira ad assicurare, in caso di trasferimento d’impresa, il giu sto equilibrio fra gli interessi dei lavoratori e quelli del cessionario, il quale non può essere vincolato da «una clausola di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e stipulati dopo la data del trasferimento» se non «abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti» ( Corte di Giustizia 18.7.2013 in causa C- 426/11 NOME e Corte di Giustizia 27.4.2017 in cause riunite C- 680/15 e C-681/15 Asklepios);
5.8. la pretesa del ricorrente, a detta del quale il rapporto di impiego doveva continuare ad essere disciplinato dalla contrattazione per il personale della RAGIONE_SOCIALE, pur dopo il passaggio alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE, è quindi destituita di fondamento, perché contrasta con i principi di diritto sopra richiamati, principi che non sono stati derogati dalla previsione della conservazione dello ‘stato giuridico ed economico in godimento’;
5.9. con detta espressione il legislatore non ha certo inteso cristallizzare la disciplina dei rapporti del personale trasferito né prevedere un regime speciale rispetto a quello generale dettato
dall’art. 31 d.lgs. n. 165/2001, avendo solo perseguito l’obiettivo di ribadire la continuità dei rapporti, che comporta il mantenimento del livello retributivo raggiunto e dello ‘status’, ossia dell’anzianità e della qualifica, al fine di salvaguardare l a posizione già acquisita e di scongiurare mutamenti in peius del trattamento economico e della professionalità;
5.10. la pretesa ultrattività della contrattazione relativa ad altro RAGIONE_SOCIALE, che contrasta con tutti i principi sui quali si fonda il d.lgs. n. 165/2001, ivi compreso quello della parità di trattamento di cui all’art. 45, comma 2, proprio per il suo carattere del tutto eccezionale, avrebbe richiesto una specifica e chiara affermazione, come avvenuto in passato con la disposizione dettata dall’art. 14 del d.P.R. n. 136/2003, che, appunto, aveva mantenuto il trattamento giuridico ed economico previsto dai CCNL applicati al momento del passaggio, ma ciò aveva fatto solo in via transitoria ed al fine di evitare che nelle more RAGIONE_SOCIALE procedure di nuovo inquadramento si verificasse un vuoto quanto agli istituti disciplinati dalla contrattazione integrativa;
5.11 . l’esegesi prospettata da l ricorrente, una volta soppresso il RID e divenuta impossibile la sottoscrizione del contratto integrativo di ente, renderebbe definitivo un regime che in sede regolamentare era stato previsto, in via eccezionale, solo come temporaneo, il che dovrebbe poi indurre ad interrogarsi sulla conformità della norma, così interpretata, oltre che al diritto eurounitario, ai canoni di imparzialità, economicità e buon andamento fissati dall’art. 97 Cost., posto che non si ravvisano ragioni idonee a giustificare il regime di favore rispetto alla disciplina riservata agli altri rapporti di impiego;
6. la sentenza impugnata, che ha escluso la diretta applicabilità del contratto integrativo invocato dall’appellante incidentale , è,
dunque, conforme a diritto perché correttamente ha ritenuto che, una volta avvenuto il passaggio RAGIONE_SOCIALE competenze e del personale, la contrattazione di riferimento non poteva che essere quella del RAGIONE_SOCIALE di destinazione, con la conseguenza che le clausole dettate dalla contrattazione integrativa applicabile al solo personale della PRAGIONE_SOCIALEMRAGIONE_SOCIALE potevano assumere rilievo al solo fine di individuare gli emolumenti che, in ragione del loro carattere di certezza, fissità e continuità, dovevano essere apprezzati ai f ini della quantificazione dell’assegno personale ( cfr. sul punto specifico la citata Cass. n. 4193/2020 e la giurisprudenza ivi richiamata);
7. sono inammissibili i motivi di ricorso con i quali si censurano i capi della decisione impugnata che, interpretati gli artt. 15 e 18 del C.C.N.I. RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, hanno escluso che le somme corrisposte ai dipendenti del R.I.D. a titolo di indennità di specificità organizzativa e di utilizzo flessibile della professionalità potessero essere apprezzate ai fini della quantificazione dell’assegno personale riassorbibile ;
le critiche mosse alla sentenza impugnata, infatti, al di là della formulazione della rubrica, finiscono per addebitare alla Corte territoriale un errore commesso nell’interpretazione della contrattazione integrativa ( quanto alle condizioni che dovevano ricorrere per l’attribuzione del trattamento accessorio in parola ed al conseguente carattere di certezza, continuità e fissità dello stesso) e, pertanto, non sono scrutinabili, sia perché formulate senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., sia perché non indicano i criteri di ermeneutica contrattuale che la Corte territoriale avrebbe violato;
7.1. da tempo questa Corte ha affermato che i contratti integrativi attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e
nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al RAGIONE_SOCIALE, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di RAGIONE_SOCIALEtà di cui all’art. 47, ottavo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001;
7.2. in relazione a detti contratti, pertanto, valgono gli oneri sopra indicati, sicché il ricorrente è tenuto al deposito degli stessi, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalle Corte territoriale ( si rimanda, fra le tante, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 20872, 2709, 95 del 2018);
7.3. è stato precisato, inoltre, che in ragione della dimensione di carattere decentrato rispetto al RAGIONE_SOCIALE, i contratti integrativi non rientrano fra quelli per i quali è consentita nel giudizio di cassazione la denuncia di violazione ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei l imiti fissati dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis (cfr. fra le tante Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010; Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020);
7.4. ciò perché, una volta esclusa l’applicabilità ai contratti integrativi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., opera il principio, parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà RAGIONE_SOCIALE parti in relazione al contenuto
del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione RAGIONE_SOCIALE norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità.» (Cass. n. 17168/2012 e, fra le tante negli stessi termini, Cass. n. 9054/2013; Cass. n. 10271/2016; Cass. n. 9461/2021);
7.5. si tratta di principi che, applicati in relazione alla contrattazione integrativa, possono anche indurre, quale conseguenza, un esito difforme dei diversi giudizi, giacché, escluso che il potere conferito alla Corte di Cassazione dall’art. 65 del R.d. n. 12/1941 di «garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale» si estenda anche alle clausole dei contratti collettivi diversi da quelli menzionati nell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., rispetto alle quali il sindacato resta circoscritto al solo formale rispetto dei canoni che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici, è nella fisiologia del sistema che possano essere ritenute rispondenti a quei canoni interpretazioni che, seppure fra loro difformi, non si pongano in contrasto con le regole esegetiche, siano entrambe plausibili e, in quanto tali, incensurabili in sede di legittimità;
infatti, lo si ripete, in tema di ermeneusi non possono « le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una RAGIONE_SOCIALE plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra » ( in tal senso fra le tante Cass. n. 28319/2017);
7.6. si tratta di principi ai quali questa Corte si è già attenuta nel decidere controversie analoghe a quella che qui vengono in rilievo ed infatti, sulla base del medesimo percorso argomentativo, Cass. n. 22819 e 22771 del 2023 hanno ritenuto inammissibili le censure con le quali veniva criticata l’interpretazione data alla contrattazione integrativa dalla Corte territoriale, mentre Cass. 22788/ 2023 e Cass. n. 29773/2023 hanno accolto i ricorsi e cassato con rinvio le decisioni, perché, in un caso, era mancato ogni esame della disciplina contrattuale (la Corte aveva escluso tutte le voci del trattamento accessorio in godimento senza valutare la contrattazione integrativa rilevante ai fini dell’accertamento sulla continuità, sulla certezza e sulla fissità dell’emolumento), nell’altro era stata affermata, erroneamente, l’ultrattività della contrattazione dell’ente di provenienza;
in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con compensazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che il Collegio ritiene di dover disporre in considerazione della complessità della vicenda che ha interessato gli ex dipendenti del R.I.D. nonché del contrasto interpretativo registratosi nella
giurisprudenza di merito, risolto da pronunce di questa Corte intervenute dopo l’instaurazione del presente giudizio; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza RAGIONE_SOCIALE condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, il 20 giugno 2024
La Presidente NOME COGNOME