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Trasferimento dopo reintegra: quando è legittimo?

Un lavoratore, dopo aver ottenuto un ordine di reintegrazione a seguito di un licenziamento illegittimo, veniva immediatamente trasferito in un’altra sede. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18892/2024, ha dichiarato illegittimo il trasferimento. Il principio chiave è che il datore di lavoro deve prima ottemperare all’ordine di reintegra riammettendo il lavoratore nella sede originaria. Solo successivamente, e solo dimostrando l’impossibilità di mantenerlo in quella sede, può disporre un legittimo trasferimento dopo reintegra. La semplice esistenza di ragioni organizzative nella sede di destinazione non è sufficiente.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Trasferimento dopo reintegra: la Cassazione chiarisce i limiti del potere del datore di lavoro

Il trasferimento dopo reintegra di un lavoratore illegittimamente licenziato rappresenta una questione complessa nel diritto del lavoro. Un’azienda può, dopo aver ricevuto un ordine del giudice di riammettere un dipendente, decidere di trasferirlo immediatamente in un’altra sede? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 18892/2024, ha fornito una risposta chiara, stabilendo paletti precisi al potere datoriale e rafforzando la tutela del lavoratore.

I Fatti del Caso: Licenziamento, Reintegra e Trasferimento Immediato

La vicenda riguarda un dipendente di una grande società industriale, licenziato e successivamente reintegrato per ordine del Tribunale, che aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento espulsivo. Anziché riammetterlo nella sua sede di lavoro originaria, l’azienda gli ha comunicato l’immediato trasferimento presso un’altra unità produttiva, situata in una diversa regione. L’azienda giustificava questa decisione sulla base di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive relative alla sede di destinazione, come previsto in generale dall’art. 2103 del Codice Civile per i trasferimenti.

Il lavoratore ha impugnato il trasferimento, sostenendo che l’azienda non avesse prioritariamente ottemperato all’ordine di reintegra nella sede di provenienza. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al dipendente, dichiarando illegittimo il trasferimento. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sul trasferimento dopo reintegra

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno stabilito un principio fondamentale: l’ordine di reintegrazione impone al datore di lavoro, innanzitutto, di riammettere il lavoratore nella stessa sede e nelle stesse mansioni che svolgeva prima del licenziamento illegittimo.

Il potere di trasferire il lavoratore può essere esercitato solo in un secondo momento e a condizioni più stringenti rispetto a un normale trasferimento avvenuto nel corso di un rapporto di lavoro mai interrotto.

Le Motivazioni: Il Principio della Precedenza della Reintegrazione

La Corte di Cassazione ha chiarito che esiste una differenza sostanziale tra un trasferimento ordinario e un trasferimento dopo reintegra. Nel primo caso, l’azienda deve solo dimostrare l’esistenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” (art. 2103 c.c.) che giustifichino lo spostamento.

Nel secondo caso, invece, il diritto del lavoratore a essere reintegrato nel suo posto di lavoro originario è preminente. L’obbligo principale del datore di lavoro è quello di ripristinare la situazione preesistente al licenziamento. Di conseguenza, il trasferimento diventa un’eccezione, possibile solo se l’azienda fornisce la prova rigorosa dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore nella sede di provenienza. Non basta quindi dimostrare le esigenze della sede di destinazione, ma è necessario provare la “sicura inutilizzabilità” del dipendente nella sede originaria.

L’onere della prova, in questo specifico contesto, è a carico del datore di lavoro. Egli deve dimostrare, ad esempio, che la posizione lavorativa è stata soppressa e che non esistono altre mansioni equivalenti a cui adibire il lavoratore nella stessa unità produttiva. Nel caso di specie, l’azienda non solo non ha fornito tale prova, ma era emerso che, nel frattempo, aveva addirittura assunto un’altra persona nel reparto a cui era precedentemente assegnato il lavoratore reintegrato.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per Aziende e Lavoratori

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale a forte tutela del lavoratore. Le conclusioni pratiche sono le seguenti:
1. Obbligo Primario: Il datore di lavoro deve prima eseguire l’ordine di reintegra, riammettendo fisicamente il lavoratore nella sua sede originaria.
2. Onere della Prova Aggravato: Per disporre un successivo trasferimento, l’azienda deve dimostrare non solo le ragioni organizzative della nuova sede, ma soprattutto l’impossibilità oggettiva di utilizzare il lavoratore in quella vecchia.
3. Divieto di Elusione: Il trasferimento immediato non può essere utilizzato come uno strumento per eludere il contenuto effettivo dell’ordine di reintegrazione. L’azienda non può scegliere discrezionalmente dove reintegrare il lavoratore.

In sintesi, il diritto del lavoratore al ripristino del posto di lavoro prevale, e ogni successiva modifica unilaterale del luogo di lavoro da parte dell’azienda è soggetta a un controllo giudiziario molto più severo.

Un datore di lavoro può trasferire un dipendente subito dopo un ordine di reintegrazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il datore di lavoro deve prima adempiere all’ordine di reintegrazione riammettendo il lavoratore nella sua sede originaria. Il trasferimento può essere disposto solo in un momento successivo e a condizioni più rigorose.

Quali prove deve fornire l’azienda per giustificare un trasferimento dopo reintegra?
L’azienda non deve solo provare le ragioni tecniche, organizzative e produttive della nuova sede, ma deve soprattutto dimostrare l’impossibilità di continuare a impiegare il lavoratore nella sede originaria. Questo significa provare la “sicura inutilizzabilità” del dipendente in quella sede, ad esempio a causa della soppressione del posto senza possibilità di ricollocazione in mansioni equivalenti.

Cosa succede se l’azienda ha già assunto un’altra persona nel posto del lavoratore reintegrato?
Questa circostanza non giustifica l’impossibilità di reintegra. L’ordine del giudice impone di ricollocare il lavoratore nel posto di lavoro da ultimo occupato. La presenza di un sostituto non è una valida ragione per disporre un trasferimento immediato, ma impone all’azienda di riorganizzare il personale per fare spazio al dipendente che ha diritto alla reintegrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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