Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9141 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 35465-2019 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 421/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/05/2019 R.G.N. 435/2018;
Oggetto
Pubblico impiego contrattualizzato
–
Contratti
a
termine
–
Pagamento TFR.
RNUMERO_DOCUMENTON. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., la lavoratrice indicata in epigrafe, premesso il pregresso rapporto di lavoro a termine dal 1° settembre 2015 al 2 giugno 2016 alle dipendenze del Comune di Bologna ed il successivo, senza soluzione di continuità, a tempo indeterminato si doleva di non aver ricevuto dall’ RAGIONE_SOCIALE il TFR dovutole ai sensi dell’art. 2110 c.c. in relazione al sopraindicato rapporto a tempo determinato, chiedeva pertanto di accertare e dichiarare il proprio diritto a ricevere tutte le somme dovutele a tale titolo con conseguente condanna del l’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento.
La Corte di Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda della lavoratrice.
Propone ricorso l’RAGIONE_SOCIALE con un solo motivo.
Resiste con controricorso la lavoratrice che deposita altresì memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE
Con un unico motivo di ricorso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. denunzia la violazione e falsa applicazione: dell’art. 2 della l. n. 335 del 1995, dell’Accordo quadro RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Confederazioni sindacali del 29 luglio 1999 e del successivo d.P.C.M. del 20 dicembre 1999, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 19, l. n. 448 del 1998.
1.1. Sostiene il ricorrente che il TFR pubblicistico è disciplinato in modo del tutto difforme rispetto a quello privatistico di cui
all’art. 2110 c.c. in applicazione delle norme innanzi indicate e che non abbia natura di retribuzione differita.
1.2. Evidenzia, per marcare il tratto differenziale tra il regime del TFR privatistico e quello pubblicistico, che nel pubblico impiego privatizzato il TFR:
non è erogato dal datore di lavoro, ma dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE;
è finanziato con una contribuzione previdenziale obbligatoria a carico delle amministrazioni pubbliche con conseguente connotazione della prestazione in termini assicurativo-previdenziale e accantonamento solo figurativo;
è calcolato con differente metodo di computo, prevedente altresì la peculiarità del meccanismo di invarianza previsto ex art. 26, comma 19, l. n. 448 del 1998 quale modifica della base contributiva ex art. 2, comma 6, l. n. 335 del 1995;
non prevede un meccanismo di anticipazione del TFR simmetrico a quello del settore privato, né la possibilità di percepirlo in busta paga;
dal 2018 è differito, quanto al momento della percezione, maturando il diritto decorsi: 105 giorni dalla cessazione dal servizio per inabilità o decesso; 12 mesi in caso di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio; 24 mesi in ogni altro caso di cessazione dal servizio (es. dimissioni volontarie, destituzione, etc.);
non rientra nell’alveo di applicabilità delle norme sul Fondo di garanzia.
1.3. Alla luce di tali osservazioni, l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ricorrente in cassazione, conclude che il TFR nel pubblico impiego contrattualizzato presenta una disciplina peculiare tale da conformarne la natura in prestazione previdenziale e non di retribuzione differita, con la conseguenza che in caso di cessazioni dal servizio, seguite da successivi rapporti di lavoro senza soluzione di continuità, il rapporto con l’ente previdenziale terzo, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, permane e impone che la
prestazione del TFR debba esser liquidata solo all’atto della definitiva cessazione dal servizio, solo in tal modo essendo possibile coniugare la recente normativa sul pagamento frazionato e dilazionato nel tempo del TFR in ambito pubblico.
Il ricorso, in disparte i profili di inammissibilità, atteso che il mezzo non chiarisce, né specifica per quali ragioni i tratti differenziali tra TFR in regime privatistico e quello in regime pubblico dovrebbero comportare – a differenza di quanto affermato nella sentenza di appello che l’individuazione del termine per esigere la prestazione per cui è causa decorra, non alla cessazione di ogni rapporto a termine, ma alla fine del servizio, è altresì infondato alla luce dei percorsi argomentativi già posti dalla Suprema Corte a fondamento di Cass. Sez. U. n. 24280/2014, Cass. Sez. L, n. 5095/2010, Cass. Sez. L, n. 2828/2012, nonché di Cass. Sez. U. n. 36197/2023.
In altri termini e più chiaramente, il motivo è altresì infondato, in quanto la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in caso di estinzione del rapporto di lavoro a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione, anche se seguita dall’assunzione in ruolo e dalla costituzione, presso la stessa, di un nuovo rapporto di lavoro – per il quale matura il trattamento ex art. 2120 c.c. – il dipendente ha comunque diritto a percepire un autonomo trattamento di fine rapporto relativo alla cessazione del primo rapporto di lavoro a termine e comunque a diritto a percepire il TFR per ciascuno dei rapporti a termine cessati ( cfr. Cass., Sez. L, n. 5895 del 3 marzo 2020; per un analogo ragionamento , Cass., Sez. L, n. 2828 del 5 febbraio 2021, non massimata ) .
In particolare, si osserva che le Sezioni Unite di questa S.C., con la decisione n. 24280 del 14 novembre 2014, hanno già respinto la tesi dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di infrazionabilità del trattamento di fine servizio in una fattispecie in cui era avvenuto il passaggio, s enza soluzione temporale di continuità, dall’impiego alle dipendenze del Comune (nella scuola comunale) in regime di «indennità premio di servizio» ad un nuovo rapporto di
impiego alle dipendenze del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE (nella scuola statale) in regime di TFR.
Nella richiamata pronuncia le Sezioni Unite, dopo avere evidenziato che la disciplina dell’art. 3 d.P.R. n. 1032 del 1973 è tutta interna al lavoro statale ed alla indennità di buonuscita e non si applica nel caso di cessazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di un ente locale ed instaurazione di un nuovo rapporto alle dipendenze dello Stato, hanno svolto considerazioni più generali, in ordine alla successione di due diversi rapporti di lavoro alle dipendenze della amministrazione statale, entrambi in regime di TFR.
Hanno evidenziato che la tesi della infrazionabilità del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici – anche in presenza di un nuovo rapporto di lavoro – trovava fondamento nell’affermazione che il diritto a percepire il trattamento di fine serviz io non era collegato all’estinzione del rapporto di lavoro, ma all’estinzione del rapporto previdenziale, rapporto che poteva persistere in presenza di cessazioni e nuove costituzioni del rapporto di lavoro, con il medesimo o con un diverso ente pubblico. In sostanza, il presupposto di tale tesi era costituito dalla natura previdenziale e non anche retribuiva dell’indennità di fine servizio e dal conseguente collegamento del diritto alla sua liquidazione con il rapporto previdenziale e non con quello di lavoro.
Osservando come questa tesi fosse comunque fragile, perché discutibile e discussa era l’affermazione della natura previdenziale del trattamento di fine servizio, che ne costituiva il presupposto, le Sezioni Unite hanno affermato (punti da 37 a 40 della pronuncia citata):
«L’argomentazione, in ogni caso, oggi non è più spendibile, essendo cambiato il quadro normativo perché il legislatore, con la riforma delle pensioni (L. n. 335 del 1995, prima richiamata), ha ‘armonizzato’ i molteplici trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici contrattualizzati, assoggettandoli tutti alla disciplina privatistica dettata dall’art. 2120 c.c., (come riformato dalla L. n. 297 del 1982).
Alla stregua di questa normativa, il TFR spetta ‘in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato’ (art. 2120
c.c., comma 1), quindi il collegamento, per espressa previsione normativa, è con la cessazione del rapporto di lavoro subordinato. All’interprete non è consentito modificare il contenuto della norma operando il collegamento con l’estinzione del rapporto pr evidenziale, qualora le estinzioni dei due rapporti non coincidano.
Inoltre, il TFR viene costituito mediante l’accantonamento anno per anno di quella che l’art. 2120 c.c., definisce una quota della retribuzione determinata dividendo per 13,50 la retribuzione annua corrisposta, a titolo non occasionale, in dipendenza del rapporto di lavoro. È pertanto chiaro il carattere pure ‘retributivo e sinallagmatico’ del TFR, come la Sezione lavoro di questa Corte ha già messo in evidenza (da ultime, sul punto, Cass., Sez. L, n. 4040 del 16 febbraio 2021; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479 e 22 settembre 2011, n. 19291, ma cfr. anche le convergenti conclusioni della Sezione tributaria in Cass. 26 maggio 2005, n. 11175).
Il TFR, quindi, è costituito da retribuzioni accantonate, da percepire a fine rapporto o anche prima qualora sussistano i requisiti per l’anticipazione prevista dalla parte finale dell’art. 2120 c.c. Di conseguenza, viene meno il ponte concettuale che permetteva di sostenere la tesi della infrazionabilità del trattamento di fine servizio pur in presenza di un’estinzione del rapporto di lavoro, quando ciò non implicasse anche l’estinzione del rapporto previdenziale».
Non vi sono ragioni per discostarsi da tale principio in questa sede.
D’altronde, come evidenziato dalla giurisprudenza ( Cass., Sez. L, n. 5895 del 3 marzo 2020 ) , a tenore dell’art. 1, comma 6, d.P.C.M. 20 dicembre 1999, il trattamento di fine rapporto è liquidato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ( ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) «alla cessazione dal servizio del lavoratore secondo quanto disposto dalla legge 29 maggio 1982 nr. 297».
Analogamente, il successivo art. 2 prevede che, nei confronti del personale assunto successivamente alla data del 31 dicembre 2000, si applicano le regole «concessive» di cui alla legge n. 297 del 1982.
Pertanto, l’esigibilità del TFR è stata ancorata ai medesimi presupposti previsti per il lavoro privato e, dunque, alla cessazione giuridica del rapporto di lavoro e non alla cessazione della iscrizione al fondo per il trattamento di fine rapporto, gestito dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. Resta irrilevante, al pari d i quanto previsto per il lavoro privato, la eventuale continuità temporale, in fatto, di più rapporti di lavoro, in forza della quale permanga la iscrizione al fondo; assume, invece, esclusivo rilievo, ai fini della esigibilità del TFR, la «cessazione dal servizio» ovvero la cesura sotto il profilo giuridico tra due rapporti di lavoro, seppure in successione temporale tra loro ed alle dipendenze della medesima amministrazione.
La natura retributiva, oltre che previdenziale, del TFR ha trovato conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2019 (sul punto, si veda anche la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023 della Corte costituzionale).
La suddetta sentenza ha affermato, tra l’altro, che l’evoluzione normativa, stimolata dalla giurisprudenza costituzionale, ha ricondotto le indennità di fine rapporto erogate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell’ambito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall’art. 2120 c.c. (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999).
Tale processo di armonizzazione, contraddistinto anche da un ruolo rilevante dell’autonomia collettiva (sentenza Corte cost. n. 213 del 2018), rispecchia la finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che si prefiggono di accompagnare il lavoratore nella delicata fase dell’uscita dalla vita lavorativa attiva.
Pertanto, le particolarità che ancora caratterizzano il TFR pubblico non hanno alcuna incidenza sulle considerazioni sinora svolte.
Inconferente è, infine, la menzione della sentenza di questa sezione della S.C. n. 4604 del 6 marzo 2015, la quale si è occupata della determinazione dell’indennità premio di fine servizio, tenendo a precisare che ‘È soltanto con la L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 5, che, per i lavoratori assunti dal
1° gennaio 1996, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto in materia di trattamento di fine rapporto dal codice civile, così definitivamente superando la struttura previdenziale di trattamenti di quiescen za come quello in esame’.
5. Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 3.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ), se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV