Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18070 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18070 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 81-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE CON UNICO SOCIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME tutte rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 2724/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/06/2022 R.G.N. 747/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
Oggetto
R.G.N. 81/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 28/05/2025
PU
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della gravata sentenza, confermata nel resto, ha condannato la parte appellante RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME della minor somma di € 7531,89 a titolo di 14ª mensilità relativa al 2015, in luogo della somma di € 23.571,85 determinata in prime cure, oltre accessori di legge. Ha dichiarato inoltre non dovuta alcuna somma per il rateo di 14ª mensilità per il 2016. Ha liquidato le spese di lite condannando Consap al pagamento in favore dei ricorrenti ed in favore di RAGIONE_SOCIALE
2.- Per quanto riguarda il decesso, avvenuto il 5 luglio 2015, di NOME COGNOME, congiunto degli appellati, che al momento della morte svolgeva il ruolo di direttore generale della Consap, società interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Corte d’appello ha affermato che la sentenza di primo grado era fondata su più ragioni una delle quali non confutata dall’impugnazione, sicché sul punto era intervenuto il giudicato.
3.- Rilevava inoltre che il rischio assicurato era previsto dal CCNL di categoria e che l’intenzione di Consap con la stipula del contratto di assicurazione era di coprire l’eventualità di essere tenuta al pagamento dell’indennità al proprio dirigente tramite il rapporto assicurativo, prevedendo, oltretutto, a maggior tutela del dirigente, che l’indennizzo venisse effettuato direttamente dall’assicurazione.
4.- Infine, per quanto ancora rileva in questa sede, ai fini del
quantum dovuto agli eredi di NOME COGNOME (per indennità per causa di morte ed altri emolumenti), la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto inapplicabile ai contratti di lavoro preesistenti – e pertanto anche al caso di specie – la riduzione dei c.d. tetti retributivi stabilita dall’art.13 del decreto legge n. 66/2014, dato che tale norma non aveva affatto introdotto i tetti retributivi che in realtà preesistevano, ma ne aveva solo aggiornato l’importo portandolo ad € 240.000,00 lasciando inalterata la normativa generale preesistente, ed in particolare l’art. 2, comma 20 -quinquies del 2 d.l. 95/2012 .
5.- Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con un unico motivo cui hanno resistito NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso. Le parti e il Procuratore generale hanno depositato memorie. Per ragioni nomofilattiche la causa è stata rimessa alla pubblica udienza dall’adunanza camerale di consiglio.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. n. 66/2014 in relazione alla dichiarata inapplicabilità dei c.d. tetti retributivi al rapporto lavorativo intercorso tra Consap e il dott. COGNOME.
1.1. La ricorrente sostiene che la norma citata aveva ridotto il tetto massimo stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23.3.2012 prevedendo un termine di de correnza fissato nell’1.5.2014 e che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto tale termine di decorrenza inapplicabile ai contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della norma; ma il riferimento all’art. 11 delle preleggi era errato dal momento che nel caso di specie non si stava discutendo di retroattività dell’art. 13 cit. quanto, invece,
della normale applicazione di tale disposizione ai contratti già in essere alla data della sua entrata in vigore.
2.- Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per genericità della ricostruzione dei fatti di causa, sollevata dalla parte controricorrente. Invero il ricorso contiene, per circa 30 pagine, la ricostruzione storica dei fatti, l’esposizione delle questioni sollevate e l’indicazione dei provvedimenti intervenuti nel corso del processo e consente di pervenire perciò ad una decisione pienamente argomentata della causa sulla scorta delle premesse ivi effettuate.
3.1. Nel merito il ricorso è fondato, in base alla lettura logica, teleologica, sistematica e diacronica delle norme che sono intervenute nella regolamentazione dei tetti retributivi nel settore delle società partecipate, come l’Enav ricorrente; lettura da cui si è discostata, invece, la Corte di appello di Roma secondo la quale l’art. 13 del d.l. n. 66/2014 si sarebbe limitato ad aggiornare i tetti retributivi lasciando inalterato il regime dell’eccezioni e delle decorrenze precedenti per i rapporti in ess ere alla data fissata dell’1.5.2014.
3.2. La controversia verte quindi sull’interpretazione dell’art. 13 del d.l. n. 66/2014 e sul suo rapporto con la normativa precedente, nel cui tessuto si inserisce ed interagisce.
3.3. In particolare nella articolata trama normativa della materia rileva per quanto d’interesse , in primo luogo, l’art. 2, comma 20quater d.l. n. 95/2012, che ha esteso la normativa sui tetti retributivi ai dipendenti delle società controllate da una pubblica amministrazione, nonché ai consiglieri di amministrazione.
3.4. Tale modifica è stata realizzata aggiungendo all’art. 23 bis del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 n. 201/2011 (conv. con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), dopo il comma 5, i commi 5 bis e 5 ter, i quali dispongono:
“5-bis. Il compenso stabilito ai sensi dell’articolo 2389, terzo
comma, del codice civile, dai consigli di amministrazione delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quello previsto al periodo precedente.
5-ter. Il trattamento economico annuo onnicomprensivo dei dipendenti delle società non quotate di cui al comma 5-bis non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quello previsto al periodo precedente”;
3.5.L’efficacia delle due disposizioni è stata fissata nel tempo dal comma 20quinquies dell’art.2 del medesimo d.l. n. 95/2012 il quale ha previsto che: ‘Le disposizioni di cui al comma 20-quater si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto’.
4.- Per effetto delle norme fin qui riassunte dunque i tetti retributivi sono stati estesi anche ai dipendenti ed agli amministratori delle società partecipate a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto d.l. n. 95/2012 e ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto.
4.- Su tale assetto normativo è intervenuto successivamente l’art. 13 d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale) convertito con modificazioni dalla L. 23 giugno 2014, n. 89.
La norma così dispone: ‘1. – A decorrere dal 1° maggio 2014 il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni e integrazioni, e’ fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente. A decorrere dalla predetta data i riferimenti al limite retributivo di cui ai predetti articoli 23-bis e 23-ter contenuti in disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si intendono sostituiti dal predetto importo. Sono in ogni caso fatti salvi gli eventuali limiti retributivi in vigore al 30 aprile 2014 determinati per effetto di apposite disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, qualora inferiori al limite fissato dal presente articolo.’
5.La norma, che si intitola ‘limite al trattamento economico del personale pubblico e delle società partecipate’, si compone quindi di tre periodi su cui occorre soffermare l’attenzione.
a.Il primo periodo ha ad oggetto l’abbassamento del precedente tetto retributivo per il personale pubblico e delle società partecipate che è stato portato ad € 240.000 con decorrenza dall’1.5.2014; e sso non contiene limiti, soggettivi o oggettivi, di sorta.
b.- Segue un secondo periodo col quale la norma stabilisce che -dalla stessa data in avanti – i riferimenti al limite retributivo di cui ai predetti articoli 23-bis e 23-ter contenuti
in disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si intendono sostituiti dal predetto importo. E pure tale disposto normativo, nel sostituire i riferimenti al limite retributivo precedente, stabilito per tutti i dipendenti e gli amministratori delle società partecipate dall’art. 23 bis cit., non contiene delimitazioni soggettive, oggettive o di carattere temporale; sicchè, secondo il suo stesso tenore letterale, la norma deve valere necessariamente per tutti i contratti ed i rapporti in essere, con decorrenza dall’1.5.2014.
c.- Il terzo periodo prevede poi che siano fatti salvi gli importi precedenti – in vigore al 30 aprile 2014 – ma soltanto se inferiori al limite di 240mila euro per come fissato nella stessa norma. Ed anche tale previsione conferma, a contrario, che gli importi in vigore al 30 aprile, se superiori al nuovo tetto, dovessero adeguarsi al medesimo importo.
6.- Appare pertanto indubbio, secondo questo Collegio, che detta norma, a partire dalla sua intitolazione ed in ciascuno dei tre periodi considerati, abbia avuto una portata sostitutiva della precedente disciplina della materia tale da essere riferita a tutti i rapporti dei dipendenti e degli amministratori di società partecipate, come stabilita dall’art.23 -bis .
Non si tratta di una mera modifica del tetto precedente che abbia inteso mantenere ferme le eccezioni e le decorrenze precedenti, ma di una disciplina autonoma, più ampia e con effetto abrogativo delle norme precedenti incompatibili, avente una propria decorrenza a partire dall’1.5.2014, e valevole per tutti i destinatari.
7.- Se il legislatore avesse voluto effettuare soltanto il ribasso del tetto nel contesto della normativa precedentemente in vigore, lo avrebbe affermato senza emanare una disciplina di carattere generale che, come comprova il riferimento all’art.23 -bis , si riferisce a tutti gli amministratori e ai
dipendenti delle società partecipate; e non sarebbe stato neanche necessario fissare un’a utonoma data di decorrenza dal 1°.5.2014 diversa rispetto a quella di entrata in vigore della norma.
8.Soprattutto occorre considerare che l’art.13 in oggetto non ha fatto salva alcuna esenzione o disciplina transitoria precedente; né in particolare quella stabilita dal comma 20quinquies dell’art.2 del d.l. n.95/2012 che non è stata neppure richiamata (o mantenuta ferma) nel corpo della disposizione come eccezione all’entrata in vigore del nuovo limite retributivo disposto per tutti con decorrenza dal primo maggio 2014. Sicché non si intuisce su cosa possa fondarsi la tesi dell’ultrattività di tale specifica esenzione.
9.- Nemmeno questa dettata da ll’art.13 si può considerare come una mera riedizione della precedente normativa, essendo diverso il contesto in cui essa si inserisce.
Nello stesso senso, di un generale ed immediato ridimensionamento delle retribuzioni o dei compensi di tutti quelli che percepivano degli emolumenti dalle amministrazioni statali o da enti a queste afferenti o assimilabili, muove infatti la valutazione del contesto economico essendo la misura in oggetto inserita in un provvedimento, come quello del d.l. 13 d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), avente finalità di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica.
10.- Anche sul piano della razionalità intrinseca, la tesi della generale applicazione del tetto previsto dalla norma si impone sulla tesi contraria perché consente di superare definitivamente la disparità di trattamento tra il dipendente pubblico assunto prima dell’1.5.2014, che conserva il trattamento di miglior favore per l’inapplicabilità al suo rapporto dei cosiddetti retributivi e quello che, assunto dopo
tale data, a parità di funzioni e responsabilità di inquadramento percepiva al massimo 240.000 € l’anno.
11.- In più, a fronte di una disciplina che persegue obiettivi generali di razionalizzazione, l’elemento della valenza generale è stato testualmente considerato come di importanza dirimente dalla stessa Corte Cost. (v. in particolare sentenza 124/2017, che pure richiama l’art.13 in oggetto) che ha affermato: ‘ La non irragionevolezza delle scelte del legislatore si combina con la valenza generale del limite retributivo, che si delinea come misura di razionalizzazione, suscettibile di imporsi a tutti gli apparati amministrativi (sentenza n. 153 del 2015, con riguardo all’imposizione di tale limite alle autonomie territoriali). Il limite retributivo, dapprima riferito alle amministrazioni statali, in base all’art. 3, comma 43, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2008)», ha via via attratto nella sua orbita anche le pubbliche amministrazioni diverse da quelle statali, le autorità amministrative indipendenti (art. 1, commi 471 e 475, della legge n. 147 del 2013), le società partecipate in via diretta o indiretta dalle amministrazioni pubbliche (art. 13, comma 2, lettera c, del d.l. n. 66 del 2014)’.
12.- Neppure è fondato affermare che la tesi qui accolta potrebbe comportare conseguenze negative per l’efficiente organizzazione delle società partecipate. Anche a questo proposito basta richiamare le pertinenti osservazioni della Corte Cost. (sentenza n. 27/2022) là dove la Corte, non solo ha osservato che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione non può essere associato alle politiche di incrementi retributivi, ma ha anche osservato che non sussiste un rapporto diretto di causa ed effetto tra la previsione della limitazione retributiva e la dissuasione
dall’espletamento di attività, la cui retribuzione comporterebbe il superamento del ‘tetto’ massimo.
13.- Sulla scorta delle ragioni fin qui svolte, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata deve essere di conseguenza cassata con rimessione della causa al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione del giudizio in osservanza dei prefati principi e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, alla pubblica udienza del 28 maggio