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Tetti retributivi dirigenti: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con un’ordinanza interlocutoria, ha rinviato a una pubblica udienza la decisione sulla controversia riguardante l’applicazione dei tetti retributivi ai dirigenti di società a partecipazione pubblica. Il caso nasce dalla richiesta degli eredi di un dirigente defunto per il pagamento di emolumenti, contrastata dalla società datrice di lavoro che invocava il limite di 240.000 euro annui introdotto dal D.L. 66/2014. La Corte ha ritenuto la questione di tale novità e importanza nomofilattica da richiedere una trattazione approfondita, senza quindi decidere nel merito ma preparando il terreno per una sentenza di principio.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tetti retributivi dirigenti: la Cassazione prepara una sentenza di principio

La questione dei tetti retributivi per i dirigenti di società a partecipazione pubblica è da tempo al centro di un acceso dibattito legale. Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione ha segnalato l’importanza di fare definitiva chiarezza, rinviando la causa a una pubblica udienza per la sua particolare rilevanza nomofilattica. Vediamo insieme i dettagli di questa vicenda e le sue possibili implicazioni.

I fatti di causa

La controversia ha origine dalla richiesta di pagamento di alcune indennità da parte degli eredi di un direttore generale di una società a totale partecipazione pubblica, deceduto nel 2015. La società si opponeva al pagamento integrale, sostenendo che la retribuzione del dirigente dovesse sottostare al limite massimo di 240.000 euro annui, introdotto dal Decreto Legge n. 66/2014.

La Corte d’Appello aveva dato ragione agli eredi, affermando che tale limite non fosse applicabile ai contratti di lavoro preesistenti all’entrata in vigore della norma. Secondo i giudici di secondo grado, la legge del 2014 aveva semplicemente aggiornato un importo già esistente, senza modificare il perimetro applicativo originario, che escludeva i rapporti già in essere. Insoddisfatta della decisione, la società ha presentato ricorso in Cassazione.

L’applicazione dei tetti retributivi dirigenti davanti alla Suprema Corte

Il motivo principale del ricorso si è concentrato sulla presunta errata interpretazione dell’articolo 13 del D.L. 66/2014. La società ricorrente ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse sbagliato nel dichiarare inapplicabili i cosiddetti tetti retributivi dirigenti al rapporto di lavoro in questione, nonostante fosse intercorso con una società a controllo pubblico.

La decisione della Corte di Cassazione: un rinvio strategico

La Corte di Cassazione non ha emesso una sentenza definitiva sul caso. Ha invece pubblicato un’ordinanza interlocutoria con cui ha disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza. Questa scelta procedurale non è casuale, ma sottolinea la consapevolezza della Corte riguardo alla “novità e rilevanza nomofilattica” della questione.

Le motivazioni

La motivazione principale del rinvio risiede nella complessità interpretativa della normativa sui tetti retributivi dirigenti. La Corte ha evidenziato come l’articolo 13 del D.L. 66/2014 sia composto da tre distinti periodi normativi, la cui interazione e applicazione temporale necessitano di un’analisi approfondita. La questione non riguarda solo il caso specifico, ma ha implicazioni generali per tutti i dirigenti di società pubbliche con contratti stipulati prima del 2014. Decidere in una camera di consiglio non sarebbe stato sufficiente per affrontare un tema così delicato e di impatto sistemico. Il rinvio a una pubblica udienza permette un dibattito più ampio e una ponderazione maggiore, al fine di emanare una sentenza che funga da guida per casi futuri e garantisca un’interpretazione uniforme della legge.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza interlocutoria non chiude la vicenda ma la eleva a un livello di importanza superiore. La futura sentenza, che verrà emessa dopo la pubblica udienza, è destinata a diventare un punto di riferimento fondamentale in materia di tetti retributivi dirigenti nel settore pubblico allargato. Si attende quindi che la Corte di Cassazione stabilisca in modo chiaro e definitivo se il limite di 240.000 euro si applichi retroattivamente ai contratti già in essere al momento della sua introduzione, risolvendo una volta per tutte i dubbi interpretativi che hanno alimentato numerosi contenziosi.

Qual è la questione principale affrontata dalla Corte di Cassazione in questa ordinanza?
La questione principale è se il limite massimo di retribuzione di 240.000 euro annui, previsto dal D.L. 66/2014 per i dirigenti pubblici e di società partecipate, si applichi anche ai contratti di lavoro stipulati prima dell’entrata in vigore di tale norma.

Perché la Corte non ha deciso subito il caso?
La Corte ha ritenuto che la questione fosse nuova e di particolare importanza per l’interpretazione uniforme della legge (rilevanza nomofilattica). Pertanto, ha preferito rinviare la causa a una pubblica udienza per un esame più approfondito, anziché deciderla in camera di consiglio.

Cosa succede adesso nel processo?
Il processo proseguirà in una pubblica udienza davanti alla Corte di Cassazione. In quella sede, le parti potranno discutere ampiamente la questione. La decisione finale che verrà presa avrà valore di precedente e servirà a chiarire come applicare la normativa sui tetti retributivi in casi simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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