Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15366 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15366 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23215/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro- tempore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro- tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 790/2021 depositata il 05/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE chiese al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE la condanna del l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento della differenza tra il tetto di spesa prevista dal contratto sottoscritto tra le parti in data 16 settembre 2016 e la minor somma corrisposta dall’RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2017, nonché, a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., la differenza fra il limite di spesa previsto dal suddetto contratto e quanto prodotto dalla struttura sanitaria nell’anno 2017.
A sostegno della domanda dedusse di essere accreditato col RAGIONE_SOCIALE per prestazioni specialistiche ambulatoriali; di aver sottoscritto nel 2016, con l’RAGIONE_SOCIALE, un contratto con il quale era stato stabilito il limite massimo di spesa delle prestazioni erogabili; che tale contratto, in vigore fino al 31 dicembre 2016, prevedeva all’art. 9 che, fino alla stipula dell’eventuale successivo contratto, le condizioni contrattuali sarebbero rimaste provvisoriamente confermate.
Costituitasi in giudizio, l’RAGIONE_SOCIALE eccepì il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e contestò nel merito la domanda, deducendo che la controparte aveva rifiutato di sottoscrivere l’accordo per le medesime prestazioni relativamente all’anno 2017 , pur essendo stata regolarmente convocata; che la mancata sottoscrizione dell’accordo determinava la sospensione dell’accreditamento con il RAGIONE_SOCIALE; che la somma erogata era in ogni caso compresa all’interno del budget individuato secondo i criteri determinati dall’abbattimento del 10%
tra quanto finanziato nel 2016 e quanto finanziato nel 2017 per effetto del decreto del Commissario ad acta n. 128/2017.
Con ordinanza ex art. 702ter del 26 novembre 2018 il Tribunale adito, rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione, respinse la domanda volta ad ottenere la liquidazione della differenza tra l’ammontare del corrispettivo ricevuto rispetto al tetto minimo fissato per l’anno 2016 , nonché quella subordinata di ingiustificato arricchimento, escludendo la ricorrenza del presupposto dell’ingiustificatezza della mancata corresponsione delle prestazioni eseguite extra budget .
La decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con la sentenza n. 790/2021, depositata il 28 maggio 2021.
Per quanto ancora d’interesse , la corte territoriale ha posto in rilievo che, secondo la giurisprudenza amministrativa, le caratteristiche e il volume massimo delle prestazioni che le strutture presenti nell’ambito territoriale di un’unita sanitaria locale si impegnano ad assicurare, benché contenute nel contratto di RAGIONE_SOCIALE, non sono oggetto di una vera e propria negoziazione, ma discendono della programmazione di cui al Piano preventivo annuale regionale, al fine di razionalizzare il sistema delle prestazioni sanitarie sul territorio.
In particolare, per la Regione Calabria, interessata dal regime emergenziale del Piano di rientro, l’individuazione delle somme da destinare all’acquisto di prestazioni sanitarie da strutture accreditate spetta al Commissario ad acta , così da rendere stringenti i criteri di fissazione del tetto massimo di spesa, posto a monte dell’erogazione dei singoli budget destinati alle strutture private.
Data la complessità delle valutazioni da operare nell’esercizio di detta potestà programmatica, secondo la Corte d’appello, sarebbe del tutto fisiologico che la determinazione dei tetti di spesa
sopravvenga nel corso dell’anno, quando le strutture sanitarie hanno già avviato l’erogazione del RAGIONE_SOCIALE, con conseguente effetto retroattivo degli atti di programmazione. Ciò anche in considerazione della stretta correlazione con la conoscenza, da parte della Regione, delle risorse disponili alle quali attingere per garantire la remunerazione delle prestazioni sanitarie.
L’atto autoritativo vincolante di determinazione del tetto di spesa avrebbe concorso a determinare il contenuto del contratto per volontà legislativa e, anche, per esplicita volontà negoziale delle parti. A tal riguardo, la corte d’appello avrebbe correttamente applicato le norme di ermeneutica contrattuale, procedendo ad un’interpretazione letterale, logica e sistematica del contratto. Infatti, l’art. 14 prevede che la struttura privata operante in regime di prorogatio accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti del provvedimento di determinazione dei tetti di spesa per il 2017, adottato con decreto commissariale 128/2017. Inoltre l’art. 14.2 del contratto prevede che l’erogatore si impegna ad adeguarsi a eventuali prescrizioni dettate da norme imperative (quali quelle in materia di tetti alle spese e ripartizione delle risorse).
Nessuna disposizione normativa impone invece che l’adozione dell’atto determinativo dei tetti massimi di spesa debba necessariamente avvenire prima che la produzione raggiunga il budget dell’anno precedente, vigente in prorogatio. Si porrebbe solo un problema di tutela di affidamento degli operatori privati, che richiederebbe, secondo la giurisprudenza amministrativa, che le decurtazioni imposte al tetto dell’anno precedente, ove retroattive, siano contenute nei limiti imposti dai tagli stabiliti dalle disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio o nel corso dell’anno, che costituirebbero un punto di riferimento regolatore.
Quanto all’azione di ingiustificato arricchimento, la Corte di Catanzaro ha ritenuto che non ve ne fossero i presupposti, pur dovendosi integrare la motivazione della sentenza di primo grado. Al riguardo, i giudici dell’appello hanno richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo cui, a prescindere dalla veste privata o pubblica del soggetto che ha conseguito l’arricchimento, i presupposti sono sempre e soltanto quelli di cui all’art. 2041 c.c., con la conseguenza che l’indennizzo deve essere liquidato nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto fosse stato negoziale e che, una volta provato l’oggettivo arricchimento da parte del depauperato, l’accipiens, anche se PRAGIONE_SOCIALE., sfugge alla condanna solo se dimostra di non averlo voluto o di non esserne stato consapevole.
La Corte ha quindi osservato che, con specifico riguardo alle prestazioni sanitarie extra budget, la giurisprudenza di legittimità ritiene che sia sufficiente a provare l’imposizione dell’arricchimento la deliberazione da parte della P.A. di un tetto di spesa, in ciò ravvisandosi inequivocabilmente il suo diniego di una spesa superiore, ovvero la volontà contraria a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel limite di spesa.
Pertanto, nel caso in esame l’ipotetico arricchimento arrecato alla PRAGIONE_SOCIALE. dovrebbe ritenersi imposto, con conseguente esclusione dell’indennizzo, in quanto, deliberando il tetto di spesa, sarebbe stato comunicato alla struttura privata accreditata il limite di spesa determinato e implicitamente il suo diniego di una spesa superiore.
Propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati da memoria, il RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo la ricorrente denunz ia l’omesso di fatto decisivo della controversia discusso tra le parti.
Si duole che, pur sottolineando come in base all’art. 9 , comma 2, del contratto stipulato tra le parti nel 2016 la proroga delle condizioni ivi stabilite -incluse quelle economiche- avrebbe perso efficacia solo in presenza di un nuovo contratto, la corte di merito abbia poi finito per non considerare che il contratto per le prestazioni 2017 non è stato mai stipulato e che il provvedimento del Commissario ad acta n. 128/2017 indicato dalla Corte d’appello come provvedimento di determinazione dei tetti di spesa non è equipollente al contratto, né idoneo a determinare nuovi tetti di spesa cui attenersi, fissando esclusivamente il tetto globale per ASP, sicché il DCA n. 128/2017 è l’atto presupposto e preliminare in base al quale i Direttori generali delle ASP avrebbero dovuto ripartire le risorse assegnate, individuando e proponendo singoli budget a ciascuna struttura in base alla propria specifica programmazione e ai fabbisogni del territorio.
Lamenta che la corte di merito è pertanto quindi caduta in errore percettivo là dove ha ritenuto che l’approvazione da parte della Regione del DCA n. 128/2017 potesse determinare la fissazione dei singoli tetti di spesa.
Peraltro, la stessa giurisprudenza amministrativa richiamata dalla Corte d’appello enuncerebbe il principio secondo cui la discrezionalità della Regione in sede di programmazione debba conoscere un ridimensionamento al fine di evitare che il taglio tardivamente effettuato possa ripercuotersi sulle prestazioni già erogate dalle strutture nella ragionevole aspettativa dell’ultrattività della disciplina fissata per l’anno precedente.
Sarebbe l’RAGIONE_SOCIALE ad avere la facoltà e il dovere di attivarsi per formulare la nuova proposta contrattuale, avendo peraltro il potere di imporre la stipula del nuovo contratto, la cui mancata sottoscrizione conseguirebbe la perdita dell’accreditamento.
Inoltre, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che, nel caso di specie, non era stata allegata alcuna istruttoria o valutazione comparativa condotta dall’Amministrazione di cui, secondo quanto affermato dagli stessi giudici dell’appello, si sarebbe dovuto tenere conto nella decurtazione del tetto di spesa per il 2017, né vi erano disposizioni finanziarie conoscibili dalle strutture private all’inizio o nel corso dell’anno.
5.2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 2041 c.c. e delle norme poste a presidio della tutela del soggetto impoverito dell’indebito arricchimento della P.A.’, nonché l”omesso esame di un fatto decisivo’.
Si duole che la corte di merito abbia rigettato la domanda di ingiustificato arricchimento sulla base di un presupposto non previsto dall’art. 2041 c.c., e cioè l’ unilaterale determinazione di un limite alla remunerabilità delle prestazioni del soggetto depauperato, laddove per configurare le prestazioni rese in esubero rispetto al suddetto limite come ‘imposte’ non è sufficiente che l’Amministrazione deliberi il tetto di spesa, essendo viceversa necessario che il budget sia comunicato all’erogatore.
Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che nella specie l’RAGIONE_SOCIALE non le ha invero nemmeno comunicato la determinazione di tetti di spesa applicabili per l’anno 2017 ( in realtà non individuati); che tale giudice ha erroneamente ritenuto la stipula del contratto del 2016 quale manifestazione implicita della volontà dell’RAGIONE_SOCIALE di contrarietà ad una spesa superiore anche per l’anno 2017 , atteso che il contratto fissava il limite per il 2016, e quindi il rifiuto implicito non poteva riguardare l’anno successivo, non indicato in nessun documento né mai comunicato, trattandosi della mera unilaterale determinazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE dell’ importo da pagare.
Né potrebbe ritenersi che il provvedimento DCA 128/2017 configurasse tale volontà implicita, essendo stato adottato da un
soggetto terzo rispetto al rapporto in esser tra struttura sanitaria e RAGIONE_SOCIALE.
Lamenta ulteriormente che la corte di merito ha omesso di considerare l’insussistenza di qualsiasi atto indicativo di un tetto di spesa come limite di remunerabilità, e che la semplice erogazione di una prestazione da parte del soggetto accreditato, quindi provvisto ex legge dei requisiti qualitativi, costituisce un miglioramento del RAGIONE_SOCIALE perché contribuisce a sfoltire liste d’attesa e ad evitare emigrazione sanitaria.
Il primo motivo è inammissibile in quanto il ricorrente, in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c., non riporta debitamente nel ricorso il testo del Decreto del Commissario ad acta n. 128/2017.
D’altra parte, da quanto riferito dalla ASP controricorrente (p. 6), e in base a quanto già accertato in precedenti pronunce di questa Corte (cfr. Cass. civ., Sez. III, 24/05/2023, n. 14358) emerge che il DCA 128/2017, oltre a stabilire un tetto globale per tutte le ASP all’interno del quale le Aziende avrebbero dovuto valutare e individuare i tetti di spesa per ciascuna struttura, determina in realtà i criteri per la decurtazione del budget, stabilendo un abbattimento del 10% tra quanto finanziato nell’anno 2016 e quanto finanziato per l’anno 2017, di guisa che era stato chiaramente fissato un criterio di determinazione del tetto di spesa per l’anno 2017.
Di conseguenza, tale limite di spesa risultava invero conoscibile dalle strutture sanitarie nel corso dello stesso anno.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la corte di marito non ha fatto invero mai riferimento all’esigenza di un ‘nuovo contratto’ per la rideterminazione del tetto di spesa per il 2017, avendo al contrario affermato che l’atto autoritativo vincolante di determinazione del tetto integrasse il contenuto del
contratto, sia per volontà legislativa, sia per volontà negoziale delle parti.
6.1. Il secondo motivo è infondato.
La corte di merito ha affermato, con motivazione priva di vizi logico-giuridici, che le prestazioni effettuate dalla struttura sanitaria al di fuori del budget fissato dal DCA n. 218/2017 fossero da ritenersi ‘imposte’ , e quindi non indennizzabili.
Nell’impugnata sentenza la volontà dell’Amministrazione di non ricorrere a prestazioni extra-budget risulta fondata sulla clausola contrattuale del 2016, ove risulta dalle parti espressamente convenuto che oltre il tetto massimo stabilito dal medesimo contratto non fossero da riconoscersi oneri a carico del RAGIONE_SOCIALE (14.3.).
La fissazione del tetto di spesa ad opera del Decreto del Commissario ad acta n. 218/2017 integra invero, con riferimento al 2017, il contenuto del suddetto contratto là dove è previsto l’obbligo della struttura sanitaria odierna ricorrente di accertare espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa (art. 14), nonché l’impegno ad adeguarsi ad eventuali altri requisiti richiesti da norme intervenute successivamente alla stipula del contratto e a prescrizioni dettate da norme imperative (art. 14.2)
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza