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Terzo elemento salariale: no se mai percepito

Un gruppo di lavoratori del settore trasporti, assunti con contratto di formazione, ha rivendicato il diritto al “terzo elemento salariale”, una voce retributiva soppressa da un accordo collettivo del 1997 ma mantenuta per i soli dipendenti già a tempo indeterminato. I lavoratori sostenevano che il loro periodo di formazione dovesse essere considerato ai fini dell’anzianità, garantendo loro il diritto a tale emolumento. Dopo due sentenze favorevoli nei primi gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. Ha stabilito che, non avendo i lavoratori mai percepito tale somma prima della sua abolizione, non potevano vantare un diritto acquisito. Di conseguenza, la clausola del contratto collettivo che li escludeva dal beneficio è stata giudicata legittima, respingendo le loro domande.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Terzo Elemento Salariale: la Cassazione nega il diritto a chi non l’ha mai percepito

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla complessa questione del terzo elemento salariale, una componente retributiva al centro di un lungo contenzioso nel settore degli autoferrotranvieri. La decisione chiarisce un principio fondamentale: non si può rivendicare un diritto a una voce di stipendio che non è mai entrata nel proprio patrimonio retributivo, anche se altri colleghi continuano a percepirla. La sentenza analizza la legittimità delle clausole dei contratti collettivi che, nel sopprimere un emolumento, ne prevedono il mantenimento solo per determinate categorie di lavoratori.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso di un gruppo di lavoratori di un’azienda di trasporti. Assunti inizialmente con contratti di formazione e lavoro, erano stati successivamente trasformati in dipendenti a tempo indeterminato e trasferiti a una nuova società a seguito di una cessione di ramo d’azienda.
Il nodo della questione risale al 1997, quando un nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del settore aveva disposto la soppressione del cosiddetto “terzo elemento salariale”. Tuttavia, lo stesso CCNL prevedeva che tale emolumento fosse conservato per i soli lavoratori “già in forza a tempo indeterminato” alla data della sua stipula.
I ricorrenti, che a quella data erano ancora inquadrati con un contratto di formazione e lavoro, sostenevano di averne comunque diritto. A loro avviso, il periodo formativo doveva essere computato a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio, equiparandoli di fatto ai colleghi con contratto a tempo indeterminato e rendendo la loro esclusione ingiustamente discriminatoria.
Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano dato ragione ai lavoratori, condannando l’azienda al pagamento delle differenze retributive maturate.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Terzo Elemento Salariale

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha completamente ribaltato l’esito dei precedenti gradi di giudizio. Accogliendo i motivi di ricorso presentati dall’azienda, i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza d’appello e, decidendo direttamente nel merito, hanno rigettato le domande originarie dei lavoratori.
La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento ormai consolidato, richiamando numerose sentenze pronunciate in casi analoghi. Il principio cardine è che le clausole della contrattazione collettiva che escludono dal mantenimento di determinate voci salariali (soppresse o modificate) i dipendenti che, alla data dell’accordo, non avevano mai percepito quel trattamento, sono pienamente legittime.

Nessun Diritto Quesito per i Lavoratori

Il punto centrale della sentenza è l’assenza di un “diritto quesito” in capo ai lavoratori. Poiché essi, durante il loro contratto di formazione e lavoro, non avevano mai ricevuto il terzo elemento salariale, la sua soppressione non ha causato alcuna diminuzione della loro retribuzione. Di conseguenza, non potevano vantare un diritto acquisito da proteggere.
La conservazione dell’emolumento per i soli dipendenti a tempo indeterminato non è stata considerata discriminatoria, ma una misura volta a evitare una “improvvisa decurtazione della retribuzione” per coloro che già ne beneficiavano. Si trattava, quindi, di tutelare un livello retributivo già consolidato, una situazione del tutto diversa da quella dei lavoratori in formazione.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione basandosi su un’interpretazione sistematica delle norme e della giurisprudenza consolidata. I giudici hanno chiarito che il riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata durante il periodo di formazione non implica automaticamente l’estensione di tutti i trattamenti economici, specialmente quelli soppressi dalla contrattazione collettiva. Il diritto a un emolumento sorge solo quando questo entra a far parte del patrimonio del lavoratore. Nel caso di specie, l’elemento salariale era stato abolito prima che i lavoratori potessero maturare il diritto a percepirlo. Pertanto, la differenziazione operata dal CCNL non era né irragionevole né discriminatoria, ma rispondeva alla logica di salvaguardare i diritti acquisiti senza crearne di nuovi per chi non li aveva mai avuti.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza della Cassazione stabilisce un punto fermo: la legittimità delle clausole collettive che, nel riorganizzare la struttura della retribuzione, sopprimono una voce di stipendio mantenendola solo per chi già la percepiva. Un lavoratore non può rivendicare un emolumento a cui non ha mai avuto diritto, anche se il periodo di formazione viene riconosciuto ai fini dell’anzianità. Questa decisione offre un importante chiarimento per la gestione delle dinamiche retributive legate ai rinnovi contrattuali, sottolineando la differenza cruciale tra la tutela dei diritti quesiti e la pretesa di diritti mai maturati.

Un lavoratore assunto con contratto di formazione e lavoro ha diritto al “terzo elemento salariale” se questo viene soppresso e mantenuto solo per i lavoratori a tempo indeterminato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il lavoratore non ha mai percepito tale elemento retributivo prima della sua soppressione, non ha maturato un diritto quesito. Pertanto, la clausola del contratto collettivo che lo esclude è legittima.

La clausola di un contratto collettivo che elimina una voce retributiva, conservandola solo per alcuni lavoratori, è discriminatoria?
Non necessariamente. La Corte ha ritenuto legittima la clausola che ha conservato il “terzo elemento salariale” solo per i lavoratori già a tempo indeterminato, in quanto la finalità era quella di evitare una decurtazione improvvisa della loro retribuzione, una situazione non applicabile a chi non aveva mai percepito quell’emolumento.

Il periodo di formazione e lavoro vale ai fini dell’anzianità di servizio per maturare il diritto a una voce retributiva soppressa?
Nel caso specifico, no. Anche se il periodo di formazione è riconosciuto ai fini dell’anzianità, ciò non è sufficiente a creare un diritto a una voce retributiva che il lavoratore non aveva mai ricevuto e che è stata abolita prima che potesse entrare nel suo patrimonio giuridico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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