LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Termini licenziamento disciplinare: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5485/2024, ha stabilito che il licenziamento di un lavoratore è illegittimo se l’azienda non rispetta i termini per la sanzione previsti dal contratto collettivo. Nel caso specifico, l’azienda aveva superato il termine di sei giorni per irrogare la sanzione relativa a una prima contestazione, cercando di sospenderlo con una seconda contestazione poi rivelatasi infondata. La Corte ha chiarito che superare i termini licenziamento disciplinare equivale ad accettare le giustificazioni del lavoratore, facendo venir meno la giusta causa del recesso.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Termini Licenziamento Disciplinare: Scadenza Fatale per l’Azienda

Il rispetto dei termini licenziamento disciplinare previsti dalla contrattazione collettiva non è una mera formalità, ma un elemento sostanziale che può determinare la legittimità o meno del recesso. Con la recente ordinanza n. 5485 del 1 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: se l’azienda non conclude il procedimento disciplinare entro i tempi stabiliti, le giustificazioni del lavoratore si intendono accolte e il licenziamento è illegittimo per insussistenza del fatto. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso

La vicenda riguarda un dipendente di una grande impresa del settore automotive, licenziato per giusta causa a seguito di un duplice procedimento disciplinare.

Il primo addebito scaturiva da un’intervista rilasciata a un quotidiano locale, in cui il lavoratore avrebbe diffuso notizie ritenute non veritiere e dannose per l’immagine aziendale. A questa prima contestazione, il lavoratore aveva fornito le proprie giustificazioni.

Successivamente, l’azienda avviava una seconda contestazione, accusando il dipendente di aver esercitato pressioni su un collega per ottenere una testimonianza a suo favore. Con la seconda contestazione, l’azienda comunicava anche la sospensione dei termini per decidere sulla prima.

Alla fine del procedimento, l’azienda comunicava il licenziamento. Tuttavia, mentre i giudici di merito avevano considerato legittimo il recesso basato sulla prima contestazione, la Corte d’Appello aveva ritenuto infondato il secondo addebito, qualificandolo come legittimo esercizio del diritto di difesa.

La questione sui termini licenziamento disciplinare

Il cuore del ricorso in Cassazione si è concentrato sulla violazione dei termini licenziamento disciplinare. Il Contratto Collettivo Specifico di Lavoro (CCSL) applicabile prevedeva che, se il provvedimento non viene comminato entro sei giorni dalla ricezione delle giustificazioni, “queste si riterranno accolte”.

Il lavoratore ha sostenuto che, essendo la seconda contestazione risultata infondata, l’azienda non poteva utilizzarla per sospendere o prorogare unilateralmente il termine di sei giorni relativo alla prima contestazione. Di conseguenza, tale termine era scaduto, e le sue giustificazioni dovevano considerarsi legalmente accettate, facendo venir meno il presupposto stesso del licenziamento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente la tesi del ricorrente, cassando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che la clausola del contratto collettivo che prevede l’accettazione delle giustificazioni in caso di ritardo non è una semplice norma procedurale, ma una norma di carattere sostanziale. Essa definisce le modalità di esercizio del potere di recesso del datore di lavoro e si fonda sui principi di buona fede e correttezza.

La Corte ha stabilito un principio di diritto cruciale: l’accertamento giudiziale dell’illegittimità o insussistenza di un addebito disciplinare impedisce al datore di lavoro di avvalersi di quella contestazione per qualsiasi effetto. In particolare, non può essere utilizzata per sospendere o prorogare i termini per la conclusione di un altro procedimento disciplinare già avviato.

Nel caso specifico, essendo la seconda accusa (pressioni sul collega) caduta, la sospensione dei termini era illegittima. Il termine di sei giorni per la prima contestazione (l’intervista) era quindi decorso, attivando la fictio iuris dell’accoglimento delle giustificazioni del lavoratore. Questo ha comportato la “totale mancanza della giusta causa per effetto dell’ammissione del datore di lavoro dell’insussistenza della condotta illecita sanzionata”.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza le garanzie difensive del lavoratore nel contesto dei procedimenti disciplinari. Le aziende devono prestare la massima attenzione al rispetto dei termini previsti dai contratti collettivi, poiché la loro violazione non comporta una mera irregolarità formale, ma può rendere il licenziamento illegittimo per insussistenza del fatto contestato. Un’accusa disciplinare infondata non può essere usata come pretesto per allungare i tempi di un altro procedimento. Questa sentenza conferma che le clausole contrattuali sui termini sono vincolanti e rappresentano un limite sostanziale al potere disciplinare del datore di lavoro.

Un’azienda può sospendere i termini per una sanzione disciplinare avviando una seconda contestazione nei confronti dello stesso lavoratore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un datore di lavoro non può avvalersi di una contestazione disciplinare, poi risultata infondata o illegittima, per prorogare o sospendere i termini fissati dalla contrattazione collettiva per l’irrogazione di sanzioni relative a un’altra e precedente contestazione.

Cosa succede se un datore di lavoro non rispetta i termini per il licenziamento disciplinare previsti dal contratto collettivo?
Se il contratto collettivo prevede che il mancato rispetto di un termine per la sanzione comporti l’accoglimento delle giustificazioni del lavoratore, il licenziamento è illegittimo. Questo non per un vizio procedurale, ma per l’insussistenza del fatto contestato, poiché le giustificazioni si considerano legalmente accettate.

La violazione dei termini procedurali rende il licenziamento semplicemente inefficace o totalmente illegittimo?
Secondo questa ordinanza, la violazione di un termine che, per previsione contrattuale, comporta l’accettazione delle giustificazioni del lavoratore, rende il licenziamento illegittimo per insussistenza del fatto. Questo porta all’applicazione di una tutela più forte per il lavoratore (in questo caso, l’art. 18, comma 4, L. 300/1970) rispetto a quella prevista per i vizi meramente procedurali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati