Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4114 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4114 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17832/2023 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
MINISTERO DELLA DIFESA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 902/2023 depositata il 14/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, che aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME -dipendente civile del Ministero della difesa -avverso la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione
per mesi sei unicamente in punto di data di decorrenza della sanzione (dal 15 dicembre 2017 invece che dal 12 aprile 2018), respingendolo nel resto.
La Corte territoriale esponeva in fatto che:
il COGNOME era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, disposta dal GIP del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, in data 7 giugno 2017; in data 12 giugno 2017, giunta notizia del suo arresto, l’Ufficio per i procedimenti disciplinari (in prosieguo: UPD), in persona del Comandante, lo aveva sospeso in via cautelare dal servizio per il periodo di durata della privazione della libertà personale, ai sensi dell’art. 15, comma 1, CCNL;
la Procura della Repubblica aveva notiziato la Amministrazione della richiesta di giudizio immediato in data 21 luglio 2017. L’UPD in data 25 luglio 2017 aveva chiesto alla autorità procedente copia degli atti del procedimento penale; la Procura aveva dato riscontro il 30 agosto 2017, allegando alla richiesta di giudizio immediato l’ordinanza di applicazione della misura coercitiva, che specificava i fatti ascritti al dipendente;
-il giorno 31 agosto 2017 gli atti erano giunti all’UPD, che provvedeva alla contestazione disciplinare in data 8 settembre 2017 e comminava, poi, la sanzione disciplinare in data 19 dicembre 2017.
3.Alla luce dei fatti esposti, non era fondata la eccezione di decadenza.
4.Il termine di quaranta giorni per la contestazione disciplinare iniziava a decorrere solo alla data del 31 agosto 2017, allorquando veniva acquisita la copia della ordinanza di custodia cautelare in carcere e della richiesta di giudizio immediato; era, infatti, una condotta prudenziale, a garanzia del dipendente, l’avere acquisito ulteriori elementi per una conoscenza dei fatti qualificata, prima di deliberare sull’inizio dell’ iter disciplinare.
5.Al fine della tempestività della contestazione -dell’8 settembre 2017era rilevante la data di adozione dell’atto e non quella successiva della sua comunicazione; il ritardo della notifica del provvedimento (avvenuta il 30 ottobre 2017) non aveva comportato alcuna violazione del diritto di difesa, essendo stata differita la data di audizione del dipendente originariamente fissata.
6.La sanzione era stata emanata nel termine di 120 giorni, decorrente dal 31 agosto 2017.
7.Infine, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio decorreva dalla cessazione della misura degli arresti domiciliari, poiché era onere della amministrazione attivarsi per conoscere gli esiti della misura restrittiva e disporre l’eventuale prosieguo della sospensione cautelare, di carattere facoltativo, che non era intervenuto.
8. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza NOME COGNOME articolato in tre ragioni di censura ed illustrato con memoria, cui ha resistito il MINISTERO DELLA DIFESA con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si deduce -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis , commi 4 e 5, d.lgs. n. 30 marzo 2001 n. 165 e dell’art. 45, comma 2, d.lgs. n. 82/05 nonché l’omessa, carente e contraddittoria motivazione ed il travisamento dei fatti; la censura attiene alle modalità di calcolo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti.
2.La censura è inammissibile nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione senza allegare l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto discussone tra le parti (e, comunque, in riferimento ad una ipotesi di pronuncia conforme sul fatto nei due gradi).
3.Sotto il profilo della violazione di norme di diritto, è oggetto di critica il rigetto dell’eccezione di decadenza dalla azione disciplinare per decorso del termine di contestazione dell’addebito.
4.Giova premettere che nella specie trova applicazione l’art. 55bis del d.lgs. n. 165 del 2001 nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 13 del d.lgs. n. 75 del 2017, che -in forza dell’art. 22, comma 13, del medesimo decreto legislativo -si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente all’entrata in vigore della modifica legislativa; gli addebiti, come risulta dalla sentenza impugnata, si riferiscono, infatti, al periodo agosto-ottobre 2016.
Il termine per la contestazione disciplinare è dunque, ai sensi del comma 4 del richiamato articolo 55 bis , di quaranta giorni dalla data nella quale l’ufficio per i procedimenti disciplinari ha ricevuto gli atti trasmessi
dal responsabile della struttura ovvero ha altrimenti acquisito notizia dell’infrazione.
6. Parte ricorrente contesta il computo del termine operato dal giudice dell’appello tanto in riferimento al dies ad quem -sostenendo che, stante la natura recettizia della contestazione disciplinare, il termine di scadenza andava computato alla data di notifica e non a quella di adozione dell’attoche quanto al dies a quo , assumendo che il termine decorrerebbe non già dal 31 agosto 2017 ma dalla data della sospensione cautelare dal servizio, il 16 giugno 2017 o, comunque, dalla data di conoscenza dell’esercizio della azione penale, il 29 giugno 2017.
7. La censura è infondata.
8.Questa Corte (Cass. 10 agosto 2016, n.16900) ha già osservato che nessuna delle disposizioni contenute nell’articolo 55 bis d.lgs. n. 165/2001 prevede che la decadenza dall’esercizio dell’azione disciplinare sia impedita non già dall’adozione della contestazione bensì dal fatto che essa sia portata a conoscenza dell’interessato entro il termine di decadenza, con la conseguenza che l’effetto impeditivo della decadenza dall’azione disciplinare si produce con la adozione dell’atto che dà impulso alla azione disciplinare, a prescindere dalla sua successiva comunicazione al lavoratore. L’eventuale ritardo nella comunicazione assume rilievo solo allorché sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato, circostanza che la Corte territoriale nella sentenza impugnata ha escluso.
9.Il principio, cui in questa sede si intende assicurare continuità, costituisce una coerente applicazione della regola generale -enunciata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8830 del 2010 in riferimento al computo del termine per la impugnazione stragiudiziale del licenziamento -secondo cui l’impedimento della decadenza non richiede la conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
10. Ove l’atto tipico richiesto per l’esercizio del potere sia un atto recettizio, ciò non implica ex se che sia necessaria la ricezione per la produzione di ogni effetto impeditivo della decadenza; al contrario, di regola l’atto esiste già nella sua compiutezza ed assume una propria rilevanza giuridica ai fini dell’impedimento della decadenza, mentre la
condizione di efficacia della ricezione costituisce un elemento estrinseco alla fattispecie decadenziale. È fatto salvo il caso in cui la stessa legge (ovvero la singola clausola contrattuale) riconduca(no) tutti gli effetti della dichiarazione recettizia, compreso quello impeditivo della decadenza, al momento in cui essa perviene al destinatario, eccezione nella specie non ricorrente.
11.Per quanto concerne la seconda parte della censura, relativa alla individuazione del dies a quo per il computo del termine di contestazione, deve essere ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo cui ai fini della decorrenza del termine assume rilievo esclusivamente il momento in cui una notizia di infrazione sia acquisita dall’ufficio competente ed abbia un contenuto tale da consentire il corretto avvio del procedimento mediante una contestazione puntuale. Pertanto, il termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati necessari per circostanziare l’addebito (Cass. 14 dicembre 2018, n. 32491; Cass. 27 agosto 2018, n. 21193; Cass. 25 giugno 2018, n. 16706; Cass. 20 marzo 2017, n. 7134).
12.A tale principio si è attenuta la sentenza impugnata, che non ha ritenuto idonea al decorso del termine né mera la notizia dell’arresto del COGNOME, posta a base della sospensione obbligatoria dal servizio né la notizia della richiesta di giudizio immediato, cioè del mero esercizio della azione penale, ancorando il dies a quo alla acquisizione di copia della richiesta di giudizio immediato e della ordinanza di custodia cautelare. La questione, dedotta con il motivo, della colpevole inerzia dell’UPD nel chiedere una copia degli atti alla Procura -giacché l’UPD sarebbe stato a conoscenza dell’esercizio della azione penale già dal giorno 29 giugno 2017 -introduce, invece, una questione di fatto, non conferente alla denunciata violazione delle norme di diritto.
13. Parimenti costituisce accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, la verifica del giorno in cui la amministrazione sia venuta a conoscenza delle notizie utili a procedere alla contestazione.
14.La seconda critica è articolata -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art.
55 bis , comma 4, d.l.gs. n. 165/2001 nonché dell’omessa, carente e contraddittoria motivazione e del travisamento dei fatti, con riferimento al calcolo del termine di conclusione del procedimento disciplinare.
15.Oggetto di contestazione è il computo del termine di centoventi giorni per la irrogazione della sanzione, che, nell’assunto di parte ricorrente, non decorrerebbe dal giorno 31 agosto 2017, giacché, a norma dell’articolo 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001, la decorrenza del termine resta fissata dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora.
16.Nell’assunto di parte ricorrente, la prima acquisizione della notizia della infrazione risalirebbe al 16 giugno 2017, data della sospensione cautelare ovvero al giorno 29 giugno 2017, data della notizia dell’esercizio della azione penale.
17.Come già osservato in riferimento al primo motivo, il ricorso è inammissibile nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione senza allegare l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto discussone tra le parti e, comunque, in riferimento ad una ipotesi di pronuncia conforme sul fatto nei due gradi.
18.Nel resto, la censura è infondata.
19.La norma dell’articolo 55 bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001, nella parte in cui prevede che il termine di conclusione del procedimento resta fissato alla data di prima acquisizione delle notizia della infrazione -anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora -si riferisce all’ipotesi in cui vi sia una sfasatura temporale tra la acquisizione della notizia della infrazione da parte del responsabile di struttura e la sua acquisizione da parte dell’UPD. La norma in tal caso dà rilievo alla «prima acquisizione della notizia della infrazione».
20.Tuttavia, quanto alle caratteristiche che la notizia di infrazione deve presentare per dare corso al temine decadenziale valgono le considerazioni esposte in riferimento al primo motivo; deve trattarsi, cioè, di una notizia circostanziata e non già di qualunque notizia pervenuta «per prima», come pare assumere parte ricorrente.
21.Questa Corte (Cass. 28 maggio 2024, n. 14896) ha già chiarito che il termine perentorio di conclusione del procedimento disciplinare previsto dall’art. 55bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 decorre dall’acquisizione della notizia dell’infrazione, da individuarsi all’esito di tutti quegli accertamenti che, secondo una valutazione di ragionevolezza da compiersi ex ante , avrebbero potuto apportare elementi utili alla contestazione della condotta addebitata, o di quelle connesse, nel pieno rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza della sanzione.
22. Si è ivi evidenziata la irragionevolezza di una interpretazione di segno opposto, che comporterebbe il decorso del termine iniziale per la conclusione del procedimento fin dal primo risultato utile alla contestazione senza considerare gli accertamenti atti, secondo una valutazione prognostica anticipata, a colorare di maggiore o minor disvalore la condotta in rilievo o quelle connesse.
23. Deve aggiungersi che la sospensione cautelare, contrariamente a quanto dedotto con il motivo, non ha natura disciplinare ma è una misura strumentale a tutelare la immagine di correttezza ed imparzialità della amministrazione pubblica; nella specie la sospensione, di carattere obbligatorio, era collegata al dato obiettivo della restrizione della libertà personale e non anche alla acquisizione della notizia della infrazione, nel senso di cui si è detto.
24.La terza censura è proposta -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 del d.P.R. n. 3 del 1957 in relazione agli Allegati A e B del d.lgs. n. 165/2001 e art. 27 provv. P.C.M. 3/3/1995 nonché degli artt. 14 e 15 CCNL comparto MINISTERI del 12 giugno 2003, come modificati dall’art. 27 del CCNL del 14 settembre 2007.
25.Si assume la illegittimità della sanzione disciplinare e della sospensione cautelare dal servizio in ragione del decorso dei termini per la contestazione disciplinare e per la irrogazione della sanzione.
26. La censura è inammissibile, in quanto la parte non formula autonome critiche alla sentenza impugnata ma intende, piuttosto, indicare gli effetti che sarebbero derivati dall’accoglimento delle precedenti censure.
27. Il ricorso deve essere in conclusione respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
29. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 4.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della