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Tempo vestizione: quando va retribuito in ospedale?

Un’operatrice socio-sanitaria ha richiesto la retribuzione per il tempo vestizione non pagato. L’azienda ospedaliera sosteneva che una riduzione dell’orario di lavoro, prevista da un accordo aziendale, compensasse già tale tempo. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando che il tempo vestizione è dovuto. La Corte ha chiarito che l’accordo aziendale in questione non era stato stipulato per compensare il tempo tuta, ma per altre ragioni legate a un cambio di turnazione, rendendo inammissibile l’argomentazione dell’azienda.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo Vestizione in Ospedale: La Cassazione Chiarisce la Retribuzione

Il tempo vestizione, ovvero il tempo che un dipendente impiega per indossare e togliere la divisa di lavoro, rappresenta da anni un tema centrale nel diritto del lavoro, specialmente nel settore sanitario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia, chiarendo quando questo tempo debba essere considerato orario di lavoro e, di conseguenza, retribuito. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Richiesta della Lavoratrice

Una operatrice socio-sanitaria, dipendente di un’azienda ospedaliera universitaria, ha agito in giudizio per ottenere la monetizzazione del tempo impiegato per indossare e togliere la divisa di lavoro. La lavoratrice sosteneva che le timbrature orarie dimostravano un’eccedenza giornaliera rispetto alle sette ore di lavoro previste, corrispondente proprio al tempo necessario per la vestizione e svestizione, tempo che l’azienda non retribuiva.

L’azienda si è difesa sostenendo che gli orari di lavoro erano già comprensivi del cosiddetto “tempo tuta” per due dei tre turni. Per il turno notturno, invece, pur mancando il “sormonto” (la sovrapposizione tra turni), l’orario di lavoro settimanale complessivo (34 ore e 18 minuti) era inferiore al minimo di 35 ore previsto da un accordo aziendale. Secondo l’azienda, questa riduzione oraria era una condizione di maggior favore che compensava ampiamente il mancato pagamento del tempo vestizione.

Il Contenzioso nei Gradi di Merito

Il Tribunale di primo grado ha accolto parzialmente la domanda della lavoratrice, riconoscendole il diritto alla retribuzione di 15 minuti per ogni turno notturno effettuato, ritenendo che la riduzione dell’orario settimanale non potesse compensare il tempo tuta.

Successivamente, la Corte d’Appello ha confermato la decisione, respingendo sia l’appello principale dell’azienda ospedaliera sia quello incidentale della lavoratrice (che chiedeva il pagamento anche per gli altri turni). La Corte territoriale ha smontato la tesi dell’azienda, basandosi sull’interpretazione di un accordo aziendale del 2008. Secondo i giudici d’appello, tale accordo non era stato siglato per compensare il tempo vestizione, ma per altre ragioni legate a un mutamento dei turni mal gradito ai dipendenti. La questione della retribuzione del tempo tuta si era posta solo in seguito, con l’introduzione dell’art. 27 del CCNL Sanità 2016/2018.

L’analisi sul tempo vestizione e gli accordi aziendali

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione degli accordi collettivi e aziendali. L’azienda ha tentato di sostenere che una condizione di favore (orario settimanale ridotto) potesse “assorbire” e quindi annullare un’altra richiesta economica (pagamento del tempo tuta). Tuttavia, la Cassazione, confermando la visione dei giudici di merito, ha sottolineato come ogni accordo debba essere letto alla luce del suo scopo originario. In questo caso, l’accordo del 2008 non menzionava affatto il tempo vestizione e non poteva essere utilizzato retroattivamente per negare un diritto sorto successivamente con una specifica previsione contrattuale nazionale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’azienda inammissibile. La motivazione principale risiede nel fatto che le argomentazioni dell’azienda non si sono confrontate adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza d’appello. La Corte territoriale aveva fondato la sua decisione su un accertamento di fatto, ovvero l’interpretazione dell’accordo aziendale del 2008 basata anche su informazioni sindacali. Aveva concluso che l’accordo non era inteso come una misura compensativa per il tempo tuta.

I motivi del ricorso dell’azienda, secondo la Suprema Corte, erano strettamente connessi e miravano tutti a sostenere la stessa tesi: l’accordo del 2008 aveva creato una condizione di miglior favore (35 ore retribuite a fronte di 34 ore e 18 minuti lavorate) che doveva assorbire la pretesa relativa al tempo tuta. La Cassazione ha ritenuto questa linea difensiva non idonea a scalfire l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte d’Appello, rendendo di fatto il ricorso inammissibile perché non contestava il vero fondamento della decisione impugnata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza rafforza un principio cruciale: il tempo vestizione, quando eterodiretto dal datore di lavoro (cioè quando la divisa deve essere indossata sul luogo di lavoro per ragioni di igiene o sicurezza), fa parte dell’orario di lavoro e deve essere retribuito. Eventuali condizioni di miglior favore, come una riduzione dell’orario di lavoro, possono compensare tale tempo solo se un accordo (individuale o collettivo) lo prevede esplicitamente. Non è possibile interpretare a posteriori un accordo, nato per altri scopi, al fine di negare un diritto del lavoratore. La decisione sottolinea l’importanza di una chiara e inequivocabile formulazione degli accordi aziendali per evitare futuri contenziosi.

Il tempo vestizione deve essere sempre retribuito?
Sulla base della decisione, il tempo impiegato per indossare e togliere la divisa deve essere retribuito quando è eterodiretto dal datore di lavoro, cioè quando avviene sul luogo di lavoro per disposizione aziendale. La sua retribuzione è stata specificamente prevista dall’art. 27, comma 12, del CCNL Sanità 2016/2018.

Un accordo aziendale che riduce l’orario di lavoro può compensare il mancato pagamento del tempo vestizione?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, un accordo che introduce una condizione di favore (come un orario settimanale ridotto) non può essere interpretato come compensativo del tempo vestizione se non è stato stipulato specificamente per quello scopo. L’interpretazione dell’accordo ha dimostrato che la sua finalità era diversa.

Perché la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’azienda ospedaliera?
La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni dell’azienda non contestavano la vera ragione della decisione della Corte d’Appello (la cosiddetta ratio decidendi). La Corte d’Appello aveva basato la sua sentenza su un accertamento di fatto riguardo alla reale finalità dell’accordo aziendale del 2008, e il ricorso dell’azienda non è riuscito a scalfire tale accertamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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