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Tempo tuta: retribuzione per la vestizione in divisa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12066/2025, si è pronunciata sul diritto alla retribuzione del “tempo tuta”. Ha ritenuto legittimo un compenso forfettario per i lavoratori turnisti che include sia il tempo per la vestizione che quello per il cambio consegne. Tuttavia, ha chiarito che per i lavoratori non turnisti il diritto al pagamento del tempo tuta sussiste autonomamente, qualora la divisa debba essere indossata sul luogo di lavoro, e deve essere oggetto di specifico accertamento.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo tuta: quando spetta la retribuzione al personale sanitario?

Il riconoscimento del tempo tuta come orario di lavoro retribuito è una questione da tempo dibattuta, specialmente nel settore sanitario. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, offrendo chiarimenti cruciali sulla differenza di trattamento tra lavoratori turnisti e non turnisti. La decisione analizza la legittimità di compensi forfettari e stabilisce principi importanti per la corretta remunerazione di tutte le attività preparatorie essenziali alla prestazione lavorativa.

I fatti di causa: la richiesta degli infermieri

La vicenda nasce dall’azione legale di un gruppo di infermieri dipendenti di un’Azienda Sanitaria Locale. I lavoratori chiedevano il riconoscimento del diritto alla retribuzione per il tempo impiegato quotidianamente per indossare e dismettere la divisa di lavoro. Le loro domande erano state respinte sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva sostenuto che i 15 minuti già riconosciuti dai regolamenti aziendali ai lavoratori turnisti per la “continuità assistenziale” (cioè per il passaggio di consegne) dovessero considerarsi comprensivi anche del tempo necessario per la vestizione e svestizione, escludendo di fatto un compenso aggiuntivo.

La questione del tempo tuta e del cambio consegne

Il cuore del problema risiede nella distinzione tra due attività preparatorie contigue ma concettualmente diverse:
1. Tempo di vestizione/svestizione (c.d. tempo tuta): il tempo necessario per indossare la divisa all’inizio del turno e toglierla alla fine. Questo obbligo è imposto da superiori esigenze di igiene e sicurezza.
2. Tempo per il passaggio di consegne: il tempo dedicato a scambiare informazioni cruciali sui pazienti tra il personale che smonta e quello che monta, per garantire la continuità assistenziale.

La Corte d’Appello aveva unificato queste due voci sotto un unico compenso forfettario di 15 minuti, basando la sua interpretazione su regolamenti aziendali che, a dire il vero, menzionavano solo il passaggio di consegne.

La decisione della Corte di Cassazione: una soluzione differenziata

La Suprema Corte ha analizzato i motivi di ricorso dei lavoratori, giungendo a una conclusione differenziata che distingue la posizione dei turnisti da quella di una lavoratrice non turnista.

Per i lavoratori turnisti: legittimo il compenso forfettario

Per quanto riguarda gli infermieri impegnati in turni e soggetti alla continuità assistenziale, la Cassazione ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello, sebbene basata su un’interpretazione estensiva dei regolamenti, non fosse illegittima. I giudici hanno affermato che non è irragionevole regolare in modo unitario e forfettario due attività (vestizione e cambio consegne) che sono strettamente connesse, contigue e preparatorie all’inizio del turno. La valutazione della Corte territoriale, che ha considerato i 15 minuti come una misura onnicomprensiva, costituisce un apprezzamento di merito che non può essere sindacato in sede di legittimità, in quanto non viola le regole legali di interpretazione. Pertanto, per i turnisti, il ricorso è stato respinto.

Per la lavoratrice non turnista: il diritto autonomo al tempo tuta

La decisione cambia radicalmente per la lavoratrice che non era adibita a turni e non era tenuta a garantire la continuità assistenziale. La Corte di Cassazione ha stabilito che il ragionamento della Corte d’Appello, in questo caso, è errato. Il diritto alla retribuzione per il tempo tuta non dipende dal fatto di essere un turnista, ma dall’obbligo imposto dal datore di lavoro di indossare la divisa sul posto di lavoro per ragioni di igiene e sicurezza. Tale tempo, pertanto, rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere remunerato. Escludere questo diritto solo perché la lavoratrice non effettuava il passaggio di consegne è stato ritenuto scorretto. Di conseguenza, la Corte ha accolto il suo motivo di ricorso, cassando la sentenza e rinviando il caso alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito principi consolidati, secondo cui sia il tempo di vestizione sia quello per il passaggio di consegne costituiscono orario di lavoro da remunerare. La definizione di orario di lavoro, derivante dalla normativa europea, comprende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
La chiave di volta della decisione sta nel riconoscere che, sebbene concettualmente distinti, questi tempi possono essere unificati in un compenso forfettario per evitare un’eccessiva frammentazione e moltiplicazione dei tempi di lavoro. Tuttavia, questa logica si applica solo quando entrambe le attività sono presenti (come nel caso dei turnisti).
Quando, invece, una delle due attività manca (il passaggio di consegne per i non turnisti), l’altra (il tempo tuta) non può essere assorbita o negata, ma deve essere riconosciuta e remunerata autonomamente, previa stima del tempo necessario. Il ragionamento dei giudici di legittimità è stato quindi volto a correggere un’ingiustificata disparità di trattamento.

Le conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante principio guida per le aziende sanitarie e i loro dipendenti. In sintesi:
1. Per i lavoratori turnisti, è legittima l’adozione di un compenso forfettario che copra sia il tempo per il cambio consegne sia il tempo tuta, a condizione che tale compenso sia ragionevole.
2. Per i lavoratori non turnisti (o comunque non addetti alla continuità assistenziale), il diritto alla retribuzione del tempo tuta sussiste in modo autonomo e non può essere negato. Spetta al giudice di merito accertare se tale tempo sia stato effettivamente remunerato e, in caso negativo, determinarne la quantificazione.

Il tempo per indossare la divisa (“tempo tuta”) deve sempre essere pagato?
Sì, il tempo impiegato per indossare e svestire la divisa sul luogo di lavoro è considerato orario di lavoro e deve essere retribuito quando tale obbligo è imposto dal datore di lavoro per esigenze superiori, come quelle di igiene e sicurezza nel settore sanitario.

È legittimo un compenso forfettario che includa sia il “tempo tuta” sia il tempo per il cambio consegne?
Sì, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima una regolamentazione unitaria che preveda un tempo forfettario (nel caso di specie, 15 minuti) per comprendere entrambe le attività preparatorie per i lavoratori turnisti, in quanto attività tra loro contigue e funzionali all’inizio della prestazione.

Un lavoratore non turnista ha diritto al pagamento del “tempo tuta”?
Sì, il diritto alla retribuzione del tempo tuta sussiste anche per i lavoratori non turnisti. Tale diritto è autonomo e non dipende dal fatto di svolgere o meno il passaggio di consegne. Se la divisa deve essere indossata sul luogo di lavoro, il tempo necessario a farlo va remunerato, previa verifica che non sia già stato ricompreso nell’orario di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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