Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12066 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12066 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
La Corte di Appello di L’Aquila ha rigettato il gravame proposto dai lavoratori indicati in epigrafe (dipendenti della ASL 2 Lanciano-Vasto-Chieti impiegati presso l’Ospedale di Chieti con la qualifica di Collaboratore Professionale Sanitario -Infermiere cat. D) avverso la sentenza del Tribunale di Chieti, che aveva respinto le loro domande, volte ad ottenere il riconoscimento del diritto al pagamento della retribuzione per il tempo impiegato per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro.
La Corte territoriale ha ritenuto che, in linea di principio, dovendo gli operatori sanitari indossare la divisa presso la sede di lavoro per ragioni di igiene, i tempi necessari a tal fine fossero tempi di lavoro; prendendo atto della circostanza che il CCNL aveva regolato il tema solo nel 2018 (CCNL 2016-2018), ha tuttavia rilevato che una prima disciplina era desumibile dai regolamenti aziendali del 2011 e del 2012 che riconoscevano ai turnisti 15 minuti ‘in uscita’ per la presa in carico e la continuità assistenziale.
L a Corte d’Appello ha dunque ritenuto che quei 15 minuti fossero da intendere come riguardanti anche la vestizione e svestizione, argomentando in tal senso anche sulla base di quanto analogamente poi disposto dal CCNL sopravvenuto.
Ha pertanto riconosciuto ai turnisti della continuità assistenziale quei 15 minuti (fino al 30.11.2015 per la COGNOME e fino al 31.1.2014 per la Polidori), dando atto della circostanza che al 30.9.2011 il pagamento era stato già effettuato sulla base del Regolamento del 2011 per il periodo successivo, non coperto da prescrizione quinquennale.
Ha invece rigettato la domanda riguardo alla ricorrente NOME COGNOME in quanto non adibita alla continuità assistenziale né ad attività in turno, ed era comunque rimasto del tutto estraneo al giudizio l’accertamento delle circostanze di fatto necessarie per l’applicazione dell’art. 27 del CCNL 2018, norma sopravvenuta, anche quale utile parametro di valutazione.
Le lavoratrici hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, resistiti da controricorso della ASL.
Sono in atti memorie di ambo le parti.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi de ll’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa interpretazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazione delle norme e dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato , per avere la Corte d’Appello ritenuto che il tempo di vestizione fosse ricompreso in quello necessario per la continuità assistenziale, così modificando l’oggetto del giudizio.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art.112 c od. proc. civ.; violazione delle norme e dei principi di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Lamenta che la Corte d’Appello aveva disatteso la pretesa in quanto la voce retributiva era ricompresa nella continuità assistenziale, mentre la domanda aveva riguardato la remunerazione dei tempi di vestizione e di svestizione.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione ovvero falsa applicazione della legge applicabile quale fatto controverso ed oggetto di causa: 1) irrilevanza giuridica della fonte regolamentare alla quale ha dichiaratamente dato applicazione la Corte di Appello; error in iudicando nell’identificazione della questione di diritto risolutiva ai fini della decisione di merito; error in iudicando nell’identificazione del regime giuridico applicabile in luogo della disciplina generale, in relazione all’ art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che l’art. 26 del CCNL comparto Sanità Pubblica del 7.4.1999, come integrato dall’art. 5 del CCNL Comparto Sanità Pubblica del 10.4.2008 non contiene alcun riferimento alla vestizione e alla svestizione, né alla retribuzione
di tali attività, e che pertanto i regolamenti non potevano disciplinare i tempi per la vestizione e per la vestizione.
Con il quarto motivo , formulato ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, commi 1 e 2, e 1367 cod. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere correttamente interpretato i regolamenti, che non facevano riferimento ai tempi di vestizione
Sostiene l’irrilevanza di un regolamento che disciplini l’orario di lavoro, richiamando la giurisprudenza di questa Corte.
Con il quinto motivo (erroneamente indicato in rubrica come sesto), il ricorso denuncia violazione ed errata applicazione della Direttiva CEE 23/11/93 n. 93/104 e del d.lgs. n. 66/2003, in relazione a ll’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 26 del CCNL Comparto Sanità 10.4.1999, in relazione all’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale di fatto disconosciuto il diritto degli originari ricorrenti alla retribuzione dei tempi per la vestizione e per la svestizione e per avere ritenuto tali attività illegittimamente ricomprese nella continuità assistenziale.
Lamenta che la Corte territoriale si è discostata dai principi espressi dal giudice di legittimità, secondo cui nel silenzio della contrattazione collettiva il tempo di vestizione e di svestizione dà diritto alla retribuzione al di là del rapporto sinallagmatico, essendo il relativo obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia la gestione del servizio pubblico, sia la stessa incolumità del personale addetto.
Evidenzia che l’art. 26 del CCNL comparto Sanità Pubblica del 7.4.1999 non disciplina il tempo necessario per il cambio camice, precisando che tutti i ricorrenti timbravano prima dell’inizio del turno di lavoro e dopo la fine del turno ; richiama sul punto la produzione documentale, mai contestata.
I motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica e -a parte il quinto per quanto di ragione -vanno disattesi, in conformità ai principi espressi da questa Corte in una fattispecie analoga (Cass. n. 20784/2024, da intendersi qui richiamata ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.).
Si è in particolare affermato che sia i tempi di vestizione/svestizione, sia i tempi di passaggio consegne, possano integrare a tutti gli effetti orario di lavoro da remunerare; la giurisprudenza di questa S.C. quanto ai tempi c.d. tuta in ambito infermieristico ha in particolare ritenuto che essi danno diritto alla retribuzione, trattandosi -per quanto attiene alla vestizione/svestizione -di obblighi imposti dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia alla gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (per tutte, v. Cass. 24 maggio 2018, n. 12935).
Non diversamente, si è ritenuto che il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale (Cass. 22 novembre 2017, n. 27799).
E’ stato dunque ritenuto il legittimo un sistema di rilevazione dell’orario che in ipotesi lasci al di fuori dei tempi di lavoro e di quanto vada remunerato, il tempo tuta o il tempo di passaggio consegne ed è chiaro che i due tempi di lavoro, almeno nella loro definizione astratta individuano due autonomi momenti della prestazione.
Come sottolineato già da Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352, « la soluzione è coerente con la previsione contenuta nel d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) » ed in senso conforme -sottolinea ancora Cass. 1352/2016 -si è espressa la Corte di Giustizia la quale ha precisato che è tempo di lavoro quello in cui il lavoratore è « presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro» per «tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (v., in tal
senso, sentenza Dellas e a., C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C437105, punto 28, e COGNOME., C-258/10, punto 63 » (v. anche Corte di giustizia UE 10 settembre 2015 nella causa C-266/14, Federación de Servicios Privados sindicato Comisiones obreras , in relazione ai tempi di spostamento come tempi di lavoro);
L a Corte d’Appello non si è discostata salvo quanto si dirà rispetto al quinto motivo – da tali principi, in quanto essa non ha negato, ma ha anzi affermato la remunerazione di quei tempi; sennonché, nel fare ciò, ha considerato, per gli infermieri impegnati in turni in servizi di continuità assistenziale, quindici minuti complessivi e comprensivi sia dei tempi di vestizione/svestizione, sia del cambio consegne, ed ha rilevato che dal 1.10.2011 tali tempi sono stati retribuiti.
In proposito va intanto detto che, ferma la distinzione concettuale tra i due tempi di lavoro, non può considerarsi in sé illegittima la loro regolazione unitaria in un unico tempo a forfait che li comprenda entrambi, anche perché si tratta di tempi tra loro contigui, reciprocamente interferenti e misurabili solo in via di approssimazione che -al di là di ipotesi manifestamente determinate in eccesso o in difetto -è ragionevole possano essere ricomprese in un’unica misura onnicomprensiva, dovendosi evitare anche il rischio che, attraverso segmentazioni logiche, si finiscano per moltiplicare i tempi di lavoro senza reale coerenza con la realtà fattuale.
La Corte territoriale, per stabilire la misura del dovuto, ha preso in considerazione quei quindici minuti, per i servizi di continuità assistenziale e di sala operatoria, desumendoli da due regolamenti del 2011 e del 2012 che facevano riferimento solo ai tempi di passaggio consegne; nel fare ciò la Corte di merito ha esplicitamente riferito tale lasso temporale ad entrambi i tempi di lavoro, ritenendo che il tempo necessario per la presa in carico dei pazienti non potesse che ricomprendere il tempo per indossare e poi per dismettere la divisa, così riconoscendo un regolamento a forfait dell’ attribuzione per gli infermieri adibiti a servizi di continuità assistenziale.
N on può intanto dirsi che, in tal modo, vi sia stata esorbitanza dall’oggetto del contendere perché -rispondendo ai primi due motivi di ricorso -in quel modo si è semplicemente fornita una soluzione al merito della causa, valutando
in quella misura i tempi necessari all’intero novero delle attività preparatorie, conformate dal datore di lavoro o comunque dalle necessità del lavoro, proprie del cambio turno.
Quanto alla lettura in quel senso dei regolamenti del 2011 e del 2012, è indubbio che essa vada al di là del dato testuale; va però rilevato che quel dato testuale è anch’esso espressione di una valutazione a forfait e non precisa, in quanto una previsione rigorosa avrebbe dovuto calcolare tempi sia in uscita che in entrata (mentre i regolamenti parlano di 15 minuti ‘in uscita’), essendo il cambio consegne evidentemente attività reciproca e sovrapposta di chi monta e chi smonta.
C iò posto, la Corte d’Appello, nell’andare oltre il significato solo delle parole, ha fatto leva su un dato -ovverosia quanto successivamente pattuito in sede di contrattazione collettiva -che non è irragionevole valorizzare, a fronte di un testo come detto già in sé impreciso.
Non possono del resto sottacersi le difficoltà di una diversa soluzione contraria che renderebbe quanto stabilito dalla contrattazione nella sostanza un ribasso di quei quindici minuti; viceversa, è proprio il fatto che poi anche le parti sociali abbiano inteso -non senza un approccio apparentemente appropriato e proporzionato -esprimere in quella misura quanto necessario per quelle due operazioni preparatorie, tra loro contigue e routinarie, a far ritenere complessivamente logica l’operazione ermeneu tica svolta dalla Corte territoriale.
In definitiva, tale apprezzamento costituisce una non irrazionale considerazione di merito, data dalla valutazione in tal senso del significato effettivo di quelle previsioni regolamentari come destinate ad integrare l’intera fase preparatoria – da remunerare della prestazione tipica, con un’indicazione nel suo complesso quantitativamente non inappropriata.
V ale del resto il principio consolidato per cui l’interpretazione del contratto e qui dell’atto unilaterale/regolamento della ASL che è soggetto al medesimo regime ex art. 1324 c.c. – può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente per il solo fatto che il giudice di merito abbia scelto una tra le
molteplici interpretazioni (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319).
Ciò premesso, le conclusioni della Corte territoriale non possono invece essere condivise per quanto attiene a NOME COGNOME, che non era lavoratrice turnista tenuta ad assicurare la continuità assistenziale; anche rispetto ad essa la Corte d’Appello non sembra negare, nelle premesse comuni, che la vestizione/svestizione fosse da effettuare sul luogo di lavoro, per le ragioni di igiene già sopra richiamate e che comportano come tali il rientrare dei tempi nell’ambito della prestazio ne.
La Corte di Appello ha tuttavia ritenuto che per la COGNOME, in quanto non aveva dimostrato lo svolgimento di attività presso reparti di degenza tenuti ad assicurare la continuità assistenziale, risultando dai prospetti prodotti che era una dipendente non turnista.
I l ragionamento non è corretto, in quanto ciò che conta non è l’assetto astratto degli obblighi, ma quanto in concreto sia accaduto, ovverosia se nell’orario di lavoro di tale addetta siano stati ricompresi e remunerati i tempi di vestizione e svestizione.
Infatti, se ciò non è accaduto, evidentemente anche quei tempi, previa stima anche in questo caso di quanto a ciò necessario, vanno remunerati, a prescindere dal fatto che il lavoro si svolga per turni o meno e dal fatto che i tempi di vestizione/svestizione si sommino o meno a tempi di passaggio consegne -quest’ultimo aspetto potendo semmai solo giustificare una fissazione in misura minore, come del resto ha poi fatto il CCNL del 20162018 all’art. 27, co. 1 1.
La Corte territoriale, dopo avere riconosciuto che il personale infermieristico era tenuto ad indossare la divisa, avrebbe dovuto effettuare riguardo alla De Luca ogni accertamento consequenziale, che invece, pur facendo menzione anche dell’ipotesi di cui all’art. 27, co. 11 della sopravvenuta contrattazione, ha rimesso ad «altra sede».
Sul punto, in relazione alla posizione della ricorrente NOME COGNOME è sostanzialmente fondato il quinto motivo, nella parte in cui rivendica la retribuibilità di ogni attività prestata oltre il normale orario di lavoro.
In definitiva va accolto il quinto motivo per quanto di ragione e vanno rigettati gli altri motivi; la causa va rimessa alla medesima Corte d’Appello affinché, anche riguardo alla ricorrente NOME COGNOME rispetto alla quale il diritto al c.d. tempo tuta è stato integralmente disatteso, si svolgano i necessari accertamenti sopra detti.
P. Q. M.
La Corte accoglie il quinto motivo per quanto di ragione, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della