LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo tuta: retribuzione dovuta anche con orario ridotto

La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che riconosce a un’infermiera il diritto alla retribuzione per il cosiddetto ‘tempo tuta’. Viene chiarito che una generica riduzione dell’orario di lavoro, prevista da un accordo aziendale, non può essere considerata una compensazione automatica per il tempo necessario a indossare e togliere la divisa, se non è provato che tale fosse lo scopo specifico dell’accordo. Il ricorso dell’azienda sanitaria è stato dichiarato inammissibile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo Tuta: La Riduzione d’Orario non Basta a Compensarlo

Il riconoscimento del tempo tuta come orario di lavoro retribuito è una questione cruciale nel diritto del lavoro, specialmente nel settore sanitario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: una generica riduzione dell’orario di lavoro non può essere considerata, in automatico, una compensazione per il tempo che il personale impiega per vestirsi e svestirsi. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa

Una infermiera impiegata presso un’azienda ospedaliera universitaria si è rivolta al Tribunale per ottenere il pagamento dell’indennità legata al tempo tuta, ovvero il tempo necessario per indossare e togliere la divisa, che non le veniva retribuito. L’azienda sanitaria si è difesa sostenendo che i turni di lavoro prevedevano già una compensazione. In particolare, affermava che l’orario settimanale effettivo dei turnisti era di 34 ore e 18 minuti, inferiore alle 35 ore previste da un accordo aziendale, e che questa differenza fosse sufficiente a compensare il tempo per la vestizione.

Il Tribunale di primo grado ha accolto parzialmente la domanda della lavoratrice, riconoscendole il diritto a 15 minuti di retribuzione per ogni turno notturno, in cui mancava il cosiddetto ‘sormonto’ (la sovrapposizione tra turni). La Corte d’Appello ha successivamente confermato questa decisione, respingendo sia l’appello principale dell’azienda sia quello incidentale della lavoratrice, che chiedeva il pagamento anche per gli altri turni.

L’analisi della retribuzione per il tempo tuta

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione di un accordo aziendale del 2008. L’azienda sosteneva che tale accordo, stabilendo un orario retribuito di 35 ore settimanali a fronte di un lavoro effettivo inferiore, costituisse una condizione di miglior favore volta a compensare forfettariamente tutti i disagi del lavoro su turni, incluso il tempo tuta.

Tuttavia, la Corte d’Appello, basandosi anche sulle testimonianze dei rappresentanti sindacali, ha accertato che l’accordo non era stato concepito per compensare il tempo tuta. La sua finalità era un’altra: mitigare i disagi derivanti dall’introduzione di un nuovo schema di turnazione, sgradito ai dipendenti. La questione della retribuzione per la vestizione, invece, era emersa solo in seguito, con l’introduzione dell’art. 27 del CCNL Sanità 2016/2018, che ha disciplinato espressamente la materia.

Di conseguenza, i giudici di merito hanno concluso che la tesi dell’azienda, secondo cui il beneficio economico derivante dalla riduzione d’orario dovesse ‘assorbire’ la richiesta di pagamento del tempo tuta, era infondata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

L’azienda sanitaria ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, presentando diversi motivi di ricorso incentrati sulla violazione di norme di legge e sull’errata interpretazione dell’accordo aziendale. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile.

La ragione principale risiede nel fatto che i motivi del ricorso non si sono confrontati adeguatamente con la ratio decidendi della sentenza d’appello. La decisione dei giudici di merito si fondava su un accertamento di fatto: l’interpretazione della volontà delle parti nell’accordo aziendale del 2008. Secondo la Corte d’Appello, quell’accordo era nato per gestire un mutamento dei turni e non per regolare il tempo tuta.

La Cassazione ha sottolineato che la tesi dell’azienda, introdotta solo in appello, si infrangeva contro questa ricostruzione fattuale. Pertanto, i motivi di ricorso, che tentavano di riproporre un’interpretazione dell’accordo diversa da quella accertata in sede di merito, non potevano essere esaminati in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio di grande rilevanza pratica: il diritto alla retribuzione del tempo tuta è un diritto specifico del lavoratore. Qualsiasi forma di compensazione, come una riduzione dell’orario di lavoro o un superminimo, può estinguere tale diritto solo se è provato che essa sia stata specificamente pattuita a tale scopo. In assenza di una chiara volontà delle parti in tal senso, espressa in un accordo individuale o collettivo, il datore di lavoro non può unilateralmente considerare un beneficio generico come sostitutivo della retribuzione dovuta per il tempo di vestizione. La decisione evidenzia l’importanza di una chiara e inequivocabile formulazione degli accordi aziendali per evitare future controversie.

Il tempo impiegato per indossare la divisa (‘tempo tuta’) deve essere sempre retribuito?
Sì, quando è eterodiretto dal datore di lavoro, ovvero quando la vestizione deve avvenire obbligatoriamente sul luogo di lavoro. La sentenza conferma che si tratta di tempo a disposizione del datore e, come tale, va retribuito.

Una riduzione dell’orario di lavoro settimanale può compensare la mancata retribuzione del ‘tempo tuta’?
Solo se tale compensazione è prevista esplicitamente da un accordo. La sentenza chiarisce che una riduzione oraria concessa per altre ragioni (in questo caso, per compensare il disagio di una nuova turnazione) non può essere considerata un ‘assorbimento’ automatico del diritto alla retribuzione per il tempo di vestizione.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Azienda Ospedaliera?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati dall’azienda non si confrontavano con la reale motivazione (ratio decidendi) della sentenza d’appello. La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su un accertamento di fatto relativo all’interpretazione di un accordo aziendale, e tale accertamento non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati