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Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20787/2024, ha stabilito che il ‘tempo tuta’, ovvero il tempo necessario per indossare e togliere la divisa sul luogo di lavoro, costituisce orario di lavoro e deve essere retribuito. La Corte ha chiarito che questo diritto sussiste anche per i dipendenti non turnisti, se l’obbligo di indossare la divisa è imposto da ragioni di igiene e sicurezza. Sebbene un pagamento forfettario che includa anche il tempo per il passaggio di consegne sia ritenuto legittimo, la Corte ha cassato la decisione di merito che negava il compenso ad alcuni lavoratori, rinviando la causa per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo tuta e retribuzione: la Cassazione fa chiarezza

Il tempo tuta, ovvero quello impiegato da un lavoratore per indossare e togliere la divisa aziendale, è da considerarsi orario di lavoro e, come tale, va retribuito? La questione, da anni al centro di numerosi dibattiti legali, ha trovato una nuova e importante definizione con l’ordinanza n. 20787/2024 della Corte di Cassazione. Questa decisione non solo ribadisce principi consolidati, ma introduce anche chiarimenti fondamentali, specialmente per il personale sanitario, estendendo il diritto alla retribuzione anche a chi non lavora su turni.

I Fatti del Caso: La Richiesta del Personale Infermieristico

La vicenda trae origine dalla richiesta di un gruppo di infermieri dipendenti di un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di veder riconosciuto e retribuito il tempo necessario per la vestizione/svestizione della divisa e per il passaggio di consegne tra un turno e l’altro. Tali attività, pur essendo indispensabili per lo svolgimento del servizio, non venivano computate nell’orario di lavoro ordinario.

La Decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le richieste. Per gli infermieri impegnati in turni con continuità assistenziale, aveva riconosciuto un compenso forfettario di quindici minuti complessivi, unificando il tempo per la vestizione e quello per le consegne. Questa quantificazione era stata desunta da regolamenti interni dell’ASL che, sebbene menzionassero solo il tempo per le consegne, erano stati interpretati estensivamente. Tuttavia, la stessa Corte aveva rigettato completamente la domanda per alcuni dipendenti che non lavoravano su turni, ritenendo che per loro non sussistesse l’obbligo di queste attività preparatorie.

L’Analisi della Cassazione sul tempo tuta

La Corte di Cassazione ha affrontato la questione sotto diversi profili, giungendo a conclusioni di grande rilevanza pratica. In primo luogo, ha confermato un principio ormai consolidato, derivante sia dalla normativa nazionale (D.Lgs. 66/2003) che da quella europea (Direttiva 2003/88/CE): il tempo di lavoro è ‘qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni’.
Sulla base di questo principio, la Corte ha stabilito che:
1. Il tempo tuta è orario di lavoro quando la vestizione deve avvenire sul posto di lavoro per obblighi imposti da superiori esigenze di sicurezza ed igiene (come nel settore sanitario).
2. Il passaggio di consegne è parimenti orario di lavoro, in quanto connesso all’esigenza di garantire la continuità terapeutica e la presa in carico del paziente.

La Corte ha inoltre ritenuto legittima la scelta del giudice di merito di prevedere una quantificazione unitaria e forfettaria per questi due momenti, pur essendo concettualmente distinti, considerandola un’espressione del potere valutativo del giudice finalizzato a semplificare e rendere equa la retribuzione di attività contigue e difficilmente misurabili al minuto.

Il Principio Esteso ai Lavoratori non Turnisti

La vera novità e il punto cruciale della sentenza risiede nell’analisi della posizione dei lavoratori per i quali la domanda era stata rigettata. La Cassazione ha censurato la decisione della Corte d’Appello, definendo il suo ragionamento ‘non corretto’.

Le motivazioni

Secondo la Suprema Corte, l’elemento determinante per il diritto alla retribuzione del tempo tuta non è la modalità di organizzazione del lavoro (a turni o meno) e neppure la necessità di un passaggio di consegne. Il vero presupposto è l’obbligo per il lavoratore di indossare la divisa sul luogo di lavoro. Se tale obbligo esiste ed è funzionale a ragioni di igiene e sicurezza, il tempo impiegato per adempierlo rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere remunerato.
La Corte ha specificato che ciò che conta non è l’ ‘assetto astratto degli obblighi’, ma ‘quanto in concreto sia accaduto’. Se, di fatto, anche i lavoratori non turnisti hanno dovuto utilizzare parte del loro tempo, non retribuito, per indossare la divisa, anche a loro spetta un compenso. La mancanza del passaggio di consegne potrà, al più, giustificare una misura inferiore del compenso, ma non escluderlo del tutto.

Le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha accolto il ricorso limitatamente alla posizione del personale la cui domanda era stata integralmente rigettata. La sentenza è stata cassata su questo punto e il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo accertamento. Dovrà verificare se per tale personale sussisteva l’obbligo di vestizione in loco e, in caso affermativo, quantificare la giusta retribuzione, pur tenendo conto della diversità delle mansioni e dell’assenza del passaggio di consegne. Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori, chiarendo che il diritto alla retribuzione per il tempo tuta è legato alla natura eterodiretta della prestazione e non alle specifiche modalità organizzative dell’orario.

Il tempo per indossare la divisa (‘tempo tuta’) deve essere retribuito?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il tempo tuta costituisce orario di lavoro e deve essere retribuito quando l’obbligo di indossare e togliere la divisa sul luogo di lavoro è imposto da esigenze di igiene e sicurezza, come avviene nel settore sanitario.

È legittimo un pagamento forfettario (‘a forfait’) che unifichi il tempo tuta e il passaggio di consegne?
Sì, la Corte ha ritenuto legittima una regolazione unitaria che comprenda entrambi i tempi in un’unica misura forfettaria. Si tratta di una valutazione di merito che rientra nel potere del giudice, volta a evitare un’eccessiva frammentazione e a fornire una misura onnicomprensiva ragionevole.

Il diritto alla retribuzione per il tempo tuta spetta solo a chi lavora su turni?
No. La Corte ha chiarito che il diritto alla retribuzione del tempo tuta non dipende dal fatto di lavorare su turni o di effettuare il passaggio di consegne. Il diritto sorge dall’obbligo imposto dal datore di lavoro di effettuare la vestizione sul posto di lavoro. Pertanto, anche i lavoratori non turnisti hanno diritto al compenso se sono soggetti a tale obbligo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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