Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20787 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20787 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
dell’assenza di contrattazione collettiva destinata a regolare la il quinto motivo è rubricato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. ed è finalizzato a sostenere l’irrilevanza dei regolamenti ASL su cui a materia, profilo che anzi doveva ritenersi coperto da giudicato; aveva argomentato la Corte territoriale, non legittimati disciplinare la materia in assenza di contrattazione collettiva;
il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) sostenendo che erroneamente la Corte territoriale aveva esteso i 15 minuti ‘in uscita’ di cui ai regolamenti ASL alla remunerazione dei c.d. tempi tuta, senza contare che quei regolamenti non riconoscevano il diritto agli infermieri addetti a servizi non caratterizzati da cambio
consegne, pur dovendosi essi indossare e dismettere la divisa per ragioni di igiene e sicurezza;
il settimo motivo introduce in causa il tema della violazione degli artt. 414, 416 e 437 c.p.c per avere la Corte territoriale dato ingresso alla documentazione riguardante quei regolamenti ASL in spregio alle regole sulle decadenze e preclusioni proprie del rito del lavoro l’ottavo motivo, numerato come 9° e rubricato in relazione all’art. 437 c.p.c. sostiene l’apoditticità o mancanza di motivazione rispetto all’equivalenza, su cui si è fondata la decisione di appello, tra cambio camice e continuità assistenziale;
il nono motivo, numerato come 10°, è rubricato in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e segnala la violazione ed errata applicazione della Direttiva CEE 93/104 e del d. lgs. n. 66 del 2003 di attuazione di essa, nonché dell’art. 26 del CCNL comparto sanità del 1999, sostenendo che del tutto illegittimamente la Corte territoriale avrebbe disconosciuto il pagamento per i c.d. tempi tuta, ritenendoli indebitamente ricompresi nell’ambito della c.d. continuità assistenziale, mentre il CCNL non disciplinava in alcun modo i tempi per il cambio camice;
2.
i motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica;
3.
è indubbio che, sia i tempi di vestizione/svestizione, sia i tempi di passaggio consegne possano integrare a tutti gli effetti orario di lavoro da remunerare;
la giurisprudenza di questa RAGIONE_SOCIALE. quanto ai tempi c.d. tuta in ambito infermieristico ha ritenuto che essi danno diritto alla retribuzione, trattandosi -per quanto attiene alla vestizione/svestizione -di obblighi imposti dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia alla gestione del servizio pubblico sia la stessa
incolumità del personale addetto (per tutte, v. Cass. 24 maggio 2018, n. 12935);
non diversamente, si è ritenuto che il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale (Cass. 22 novembre 2017, n. 27799);
non è dunque legittimo un sistema di rilevazione dell’orario che in ipotesi lasci al di fuori dei tempi di lavoro e di quanto vada remunerato, il tempo tuta o il tempo di passaggio consegne ed è chiaro che i due tempi di lavoro, almeno nella loro definizione astratta individuano due autonomi momento della prestazione;
come sottolineato già da Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352, « la soluzione è coerente con la previsione contenuta nel d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) » ed in senso conforme -sottolinea ancora Cass. 1352/2016 -si è espressa la Corte di Giustizia la quale ha precisato che è tempo di lavoro quello in cui il lavoratore è « presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro » per « tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (v., in tal senso, sentenza COGNOMEs e a., C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C-437105, punto 28, e Grigore., C-258/10, punto
63 » (v. anche Corte di giustizia 10 settembre 2015 nella causa C266/14, RAGIONE_SOCIALE sindicato RAGIONE_SOCIALE , in relazione ai tempi di spostamento come tempi di lavoro);
4.
la Corte d’Appello non si è discostata salvo quanto si dirà per il personale rispetto al quale la domanda è stata integralmente disattesa – da tali principi, in quanto essa non ha negato, ma ha anzi affermato la remunerazione di quei tempi;
sennonché, nel fare ciò, ha considerato, per gli infermieri impegnati in turni in servizi di continuità assistenziale o in turni H 12, nei casi in cui ha riconosciuto il diritto precedentemente non onorato dalla ASL, quindici minuti complessivi e comprensivi sia dei tempi di vestizione/svestizione, sia del cambio consegne;
4.1
in proposito va intanto detto che, ferma la distinzione concettuale tra i due tempi di lavoro, non può considerarsi in sé illegittima la loro regolazione unitaria in un unico tempo a forfait che li comprenda entrambi, anche perché si tratta di tempi tra loro contigui, reciprocamente interferenti e misurabili solo in via di approssimazione che -al di là di ipotesi manifestamente determinate in eccesso o in difetto -è ragionevole possano essere ricomprese in un’unica misura onnicomprensiva, dovendosi evitare anche il rischio che, attraverso segmentazioni logiche si finiscano per moltiplicare i tempi di lavoro senza reale coerenza con la realtà fattuale;
4.2
il punto controverso nella presente causa non è però questo, quanto il fatto che la Corte territoriale, per stabilire la misura del dovuto, ha preso in considerazione quei quindici minuti, per i servizi di continuità assistenziale e TARGA_VEICOLO, desumendoli da due
regolamenti del 2011 e del 2012 che facevano riferimento solo ai tempi di passaggio consegne;
nel fare ciò la Corte di merito, pur riconoscendo che vestizione e svestizione sono ‘esterne’ rispetto al passaggio consegne, ha poi riportato i quindici minuti ‘in uscita’ che i regolamenti ASL hanno ad riconosciuto -e che la Corte d’Appello ha esteso ai periodi in cui essi non erano stati pagati -ai « 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne » che la successiva contrattazione del 2018, qui non ancora applicabile ratione temporis , ha esplicitamente riferito ad entrambi i tempi di lavoro, regolandone a forfait l’attribuzione per gli infermieri adibiti a servizi di continuità assistenziale;
4.3
non può intanto dirsi che, in tal modo, vi sia stata esorbitanza dall’oggetto del contendere perché rispondendo ai primi due motivi di ricorso – in quel modo si è semplicemente fornita una soluzione al merito della causa, valutando in quella misura i tempi necessari all’intero novero delle attività preparatorie proprie del cambio turno;
la valorizzazione di quei regolamenti -da cui si è desunto l’avvenuto pagamento del tempo tuta nei periodi e per il personale cui essi erano stati applicati e si è tratta la misura del dovuto per i periodi in cui a quel personale i pagamenti non erano stati fatti -non costituisce esorbitanza dall’ambito della domanda, ma esercizio del potere valutativo del merito da parte del giudice;
l’oggetto del contendere è sempre rimasto il medesimo, ovverosia la esistenza e la remunerazione di c.d. tempi tuta eteroconformati dal datore di lavoro;
d’altra parte, quanto all’effetto satisfattivo derivante dalle remunerazioni effettuate in base a quei regolamenti, è noto che l’eccezione di pagamento (e nel caso di specie si tratta peraltro di questione anche più dilatata rispetto ad un mero pagamento,
avendosi riguardo all’assorbimento di una pretesa all’interno di una certa prestazione già eseguita) è, come da giurisprudenza tradizionale di questa S.C., da cui non vi è ragione per dissentire (v. Cass. 24 dicembre 2021, n. 41474; Cass. 14 luglio 2015, n. 14654; Cass. 2 luglio 2004, n. 12174; Cass. 22 gennaio 1998, n. 599; Cass. 7 febbraio 1997, n. 1154), eccezione in senso lato e come tale valorizzabile d’ufficio se il materiale probatorio faccia emergere il suo verificarsi;
ciò anzi giustifica, per il carattere dirimente e quindi indispensabile, l’acquisizione dei documenti riguardanti quei regolamenti pur dopo lo spirare delle preclusioni per le parti (v., per tutte, Cass. 10gennaio 2023, n. 423);
4.4
neppure può dirsi che vi sia una contraddizione insanabile nella motivazione della Corte territoriale;
è vero che essa ha ritenuto dapprima che la vestizione/svestizione avvengono in ambito ospedaliero prime e dopo la prestazione lavorativa tipica e quindi prima e dopo anche il cambio consegne da effettuare in reparto, ma ciò attiene all’ambito della distinzione formale tra i due tempi, mentre i quindici minuti attengono all’ambito dei tempi complessivamente necessari per l’una e l’altra operazione ed in tal senso -privo di contraddittorietà – va inteso l’asse decisionale della Corte di merito;
quanto alla lettura in quel senso dei regolamenti del 2011 e del 2012, è indubbio che essa vada al di là del dato testuale;
va però rilevato che quel dato testuale è anch’esso espressione di una valutazione a forfait e non precisa, in quanto una previsione rigorosa avrebbe dovuto calcolare tempi sia in uscita che in entrata (mentre i regolamenti parlano di 15 minuti ‘in uscita’), essendo il cambio consegne evidentemente attività reciproca e sovrapposta di chi monta e chi smonta;
ciò posto, la Corte d’Appello, nell’andare oltre il significato solo delle parole, ha fatto leva su un dato -ovverosia quanto successivamente pattuito in sede di contrattazione collettiva -che non è irragionevole valorizzare, a fronte di un testo come detto già in sé impreciso;
non possono del resto sottacersi le difficoltà di una diversa soluzione contraria che renderebbe quanto stabilito dalla contrattazione nella sostanza un ribasso di quei quindici minuti;
viceversa, è proprio il fatto che poi anche le parti sociali abbiano inteso -non senza un approccio apparentemente appropriato e proporzionato -esprimere in quella misura quanto necessario per quelle due operazioni preparatorie, tra loro contigue e routinarie, a far ritenere complessivamente logica l’operazione ermeneutica svolta dalla Corte territoriale;
in definitiva, tale apprezzamento costituisce una non irrazionale considerazione di merito, data dalla valutazione in tal senso del significato effettivo di quelle previsioni regolamentari come destinate ad integrare l’intera fase preparatoria – da remunerare della prestazione tipica, con un’indicazione nel suo complesso quantitativamente non inappropriata;
vale del resto il principio consolidato per cui l’interpretazione del contratto -e qui dell’atto unilaterale/regolamento della RAGIONE_SOCIALE che è soggetto al medesimo regime ex art. 1324 c.c. – può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente per il solo fatto che il giudice di merito abbia scelto una tra le molteplici interpretazioni del testo (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319);
4.5
vanno poi disattese le difese contenute in alcuni dei motivi e che fanno leva sull’assenza di contrattazione collettiva che prevedesse
la remunerazione dei c.d. tempi tuta e di cui i regolamenti potessero costituire applicazione;
infatti, il diritto alla remunerazione di quei tempi come orario di lavoro discende dalla normativa primaria generale e sovraordinata (v. le Direttiva sopra citate) e dunque è in sé del tutto legittimo che gli atti datoriali secondo l’interpretazione di essi data dalla Corte d’Appello – ne abbiano regolato il pagamento e non ha alcun rilievo il fatto che la contrattazione nulla prevedesse in proposito;
5.
ciò detto, le conclusioni della Corte territoriale non possono invece essere condivise per quanto attiene al restante personale per il quale la domanda è stata rigettata;
anche rispetto ad esso la Corte d’Appello non sembra negare, nelle premesse comuni, che la vestizione/svestizione fosse da effettuare sul luogo di lavoro, per le ragioni di igiene già sopra richiamate e che comportano come tali il rientrare dei tempi nell’ambito della prestazione;
la Corte d’Appello ha tuttavia ritenuto che per quegli addetti non emergesse un obbligo di indossare o dismettere la divisa necessariamente prima o dopo il turno di lavoro e ciò sia perché non turnisti (COGNOME e COGNOME) o con profilo orario riferito a settimana corta con rientri pomeridiani, sicché si sarebbe di fronte ad una obiettiva diversità della prestazione da loro esigibile;
il ragionamento non è corretto, in quanto ciò che conta non è l’assetto astratto degli obblighi, ma quanto in concreto sia accaduto, ovverosia se nell’orario di lavoro di tali addetti siano stati ricompresi e remunerati i tempi di vestizione e svestizione;
infatti, se ciò non è accaduto, evidentemente anche quei tempi, previa stima anche in questo caso di quanto a ciò necessario, vanno remunerati, a prescindere dal fatto che il lavoro si svolga per turni o meno e dal fatto che i tempi di vestizione/svestizione si sommino o meno a tempi di passaggio consegne -quest’ultimo
aspetto potendo semmai solo giustificare una fissazione in misura minore, come del resto ha poi fatto il CCNL del 20162018 all’art. 27, co. 11;
5.1 sul punto è sostanzialmente fondato il sesto motivo, nella parte in cui rileva che l’obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro era, anche per tali addetti, pacifico, così come sono da questo punto di vista fondati i rilievi di cui al nono motivo (numerato come 10°), in ordine alla necessaria remunerazione del c.d. tempo tuta, che impediscono di ritenere legittimo che si sia desunto dalla delimitazione a certo personale o a certe modalità del lavoro (turni; continuità assistenziale), una corrispondente destinazione solo a questi dipendenti della remunerazione di quei periodi di lavoro; remunerazione che viceversa spetta, se ricorrano i presupposti di utilizzazione per la vestizione o svestizione di tempi di lavoro; infine si rileva che i cenni di cui ai menzionati motivi riferibili a quegli addetti escludono che essi non abbiano proposto -come eccepito nel controricorso – censure che li riguardassero; doveva dunque seguire ogni accertamento consequenziale, che invece la Corte territoriale, pur facendo menzione anche dell’ipotesi di cui all’art. 27, co. 11 della sopravvenuta contrattazione, ha rimesso ad « altra sede »;
6.
in definitiva, fermo il resto, il ricorso va accolto con riferimento alla posizione del personale nei cui riguardi vi è stato rigetto integrale della domanda (COGNOME; COGNOME, COGNOME e COGNOME) e la causa va rimessa alla medesima Corte d’Appello affinché, per tale personale e pur nella diversità delle mansioni, si svolgano i necessari accertamenti sopra detti;
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18.4.2024.