LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14848/2024, ha stabilito che il tempo impiegato da un lavoratore tra la timbratura del cartellino all’ingresso e il login alla propria postazione, così come il percorso inverso a fine turno, deve essere considerato orario di lavoro effettivo e quindi retribuito. Il caso riguardava alcuni dipendenti di una società di telecomunicazioni. La Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, affermando che questo lasso di tempo, definito ‘tempo tuta’, rientra nell’orario di lavoro quando le attività preparatorie sono necessarie, obbligatorie e soggette al potere direttivo del datore di lavoro, che decide l’organizzazione della sede e le procedure da seguire.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo tuta: è orario di lavoro e va pagato, lo conferma la Cassazione

Il cosiddetto tempo tuta, ovvero il periodo necessario al lavoratore per compiere le operazioni preparatorie all’inizio della prestazione lavorativa dopo aver timbrato il cartellino, deve essere retribuito? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14848 del 28 maggio 2024, ha dato una risposta chiara: sì, se tale tempo è necessario, obbligatorio e soggetto al controllo del datore di lavoro.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di alcuni dipendenti di una grande società di telecomunicazioni. I lavoratori sostenevano di aver diritto alla retribuzione per i 5 minuti impiegati ogni giorno all’inizio del turno per percorrere il tragitto dalla timbratura al tornello fino al completamento del login sulla propria postazione, e per i 5 minuti necessari per il percorso inverso a fine giornata. La Corte d’Appello di Roma aveva dato loro ragione, condannando l’azienda al pagamento delle differenze retributive. La società, non condividendo la decisione, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo principalmente una violazione delle norme sull’orario di lavoro.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso presentato dall’azienda, confermando la sentenza della Corte d’Appello. I giudici hanno stabilito che il tempo impiegato per raggiungere la postazione e per le procedure di avvio del sistema informatico rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro retribuibile, in quanto si tratta di un’attività funzionale alla prestazione e svolta sotto la direzione del datore di lavoro.

L’analisi del “tempo tuta” e dell’orario di lavoro

Il fulcro della decisione si basa sull’interpretazione dell’orario di lavoro secondo il D.Lgs. 66/2003 e le direttive comunitarie. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: l’orario di lavoro non è solo il tempo di prestazione effettiva, ma anche quello in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro e sotto il suo potere direttivo (eterodirezione).
Nel caso specifico, è l’azienda a decidere dove collocare i tornelli e le postazioni, quale percorso far effettuare, quali computer utilizzare e quali procedure di accensione seguire. I dipendenti non sono liberi di autodeterminarsi in questo lasso di tempo, ma devono seguire precise disposizioni aziendali per essere operativi all’orario esatto di inizio turno. Di conseguenza, queste attività preparatorie e finali, essendo necessarie e obbligatorie, diventano parte integrante della prestazione lavorativa.

L’onere della prova e la quantificazione del tempo

L’azienda aveva contestato anche la quantificazione dei 5 minuti, sostenendo che i lavoratori non avessero fornito prove sufficienti sulla durata di questo tempo. La Corte ha ritenuto inammissibile anche questo motivo. Ha chiarito che la valutazione della durata è un accertamento di fatto, di competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello), e non può essere riesaminata in sede di legittimità. I giudici di appello avevano operato una valutazione del tempo minimo, necessario e inevitabile per compiere tali operazioni, senza violare alcuna regola sull’onere della prova.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione fondandosi sulla giurisprudenza costante in materia. Ha evidenziato che tutte le attività preparatorie e preliminari alla prestazione vera e propria devono essere retribuite se sono eterodirette, ovvero imposte e regolate dal datore di lavoro. Non rileva che il lavoratore non stia ancora svolgendo la sua mansione principale (ad esempio, rispondere al telefono), perché è già a disposizione dell’azienda e sta eseguendo delle direttive. Il fatto che fino al 2013 la stessa azienda considerasse e retribuisse questo tempo come orario di lavoro è stato un ulteriore elemento a supporto della tesi dei lavoratori. La Corte ha concluso che l’azienda non ha fornito la prova che, in quel frangente, il lavoratore fosse libero di autodeterminarsi e non soggetto al potere gerarchico.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela dei lavoratori. Il tempo tuta e, più in generale, ogni attività preparatoria imposta dall’azienda (come percorrere tragitti interni, accendere macchinari o effettuare login) devono essere considerati orario di lavoro e, come tali, retribuiti. Per i datori di lavoro, questa sentenza rappresenta un monito a considerare attentamente l’intera organizzazione del lavoro, includendo nel calcolo dell’orario e della retribuzione anche quei periodi che, seppur non di produzione diretta, sono funzionali e necessari all’avvio della prestazione e sono disciplinati da regole aziendali.

Il tempo per andare dal tornello alla postazione di lavoro è orario di lavoro retribuito?
Sì, secondo l’ordinanza, questo tempo è considerato orario di lavoro effettivo e deve essere retribuito quando il percorso e le operazioni preliminari (come il login) sono necessari, obbligatori e svolti sotto la direzione del datore di lavoro, che organizza la sede e le procedure.

Chi deve provare la durata del “tempo tuta” in una causa?
I lavoratori devono richiedere il pagamento per il tempo impiegato. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto sufficiente la richiesta basata sul tempo minimo e inevitabile per compiere gli spostamenti, considerando la valutazione di tale durata un accertamento di merito non sindacabile in Cassazione.

Cosa significa che un’attività lavorativa è “eterodiretta”?
Significa che l’attività è soggetta al potere direttivo del datore di lavoro. Il lavoratore non è libero di decidere come e quando svolgerla, ma deve seguire le istruzioni e le procedure imposte dall’azienda. Nel caso analizzato, il percorso interno e il login sono stati considerati eterodiretti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati