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Tempo tuta: quando va pagato? La Cassazione decide

La Cassazione ha stabilito che il ‘tempo tuta’ deve essere retribuito a tutti i dipendenti sanitari obbligati a indossare la divisa sul luogo di lavoro, non solo ai turnisti. La Corte ha annullato una decisione d’appello che negava tale diritto a lavoratori non turnisti e ha chiarito l’errata applicazione del principio del giudicato in un caso simile. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo Tuta: La Cassazione ne conferma la Retribuzione anche per i non Turnisti

Il tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa di lavoro, noto come tempo tuta, rappresenta una questione cruciale nel diritto del lavoro, specialmente in settori come quello sanitario dove la divisa è un presidio di igiene e sicurezza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo che tale tempo deve essere retribuito non solo ai lavoratori turnisti ma a tutti i dipendenti per i quali la vestizione sul posto di lavoro è un obbligo.

I Fatti di Causa: La Controversia sul Tempo Tuta

Un gruppo di operatori sanitari, dipendenti di un’azienda sanitaria locale, si era rivolto al tribunale per ottenere il riconoscimento del diritto al pagamento del tempo necessario per indossare e togliere gli indumenti di lavoro. La loro richiesta era stata respinta in primo grado e successivamente anche dalla Corte d’Appello.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello aveva rigettato le richieste dei lavoratori sulla base di tre argomentazioni principali:
1. Per alcune lavoratrici, ha ritenuto che la questione fosse già stata decisa in un precedente giudizio, applicando il principio del ne bis in idem (o giudicato).
2. Per i lavoratori turnisti, ha considerato che il tempo per la vestizione fosse già ricompreso in una indennità forfettaria di 15 minuti riconosciuta per il passaggio di consegne.
3. Per gli altri lavoratori non turnisti, ha negato il diritto in quanto non era stato provato che svolgessero attività in reparti di degenza con continuità assistenziale.

I lavoratori hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Cassazione sul Tempo Tuta e il Giudicato

La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dei lavoratori, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame.

Applicazione errata del principio “ne bis in idem”

In primo luogo, la Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello aveva applicato erroneamente il principio del giudicato. Il precedente giudizio, infatti, si era basato sulla presunta assenza di una regolamentazione aziendale sul punto. La causa attuale, invece, verteva su un periodo diverso e sull’analisi di regolamenti aziendali esistenti. Essendo diversi i presupposti di fatto e di diritto, la questione poteva e doveva essere riesaminata nel merito.

La gestione del tempo tuta per i lavoratori turnisti

Per quanto riguarda i lavoratori turnisti, la Cassazione ha ritenuto che l’interpretazione della Corte d’Appello, secondo cui i 15 minuti forfettari per il cambio consegne potessero includere anche il tempo tuta, fosse una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità. La Corte territoriale aveva logicamente argomentato che le due operazioni (cambio consegne e vestizione) fossero contigue e preparatorie al turno, potendo essere regolate in modo unitario.

Il Diritto al Pagamento del Tempo Tuta per i Lavoratori non Turnisti

La parte più innovativa della decisione riguarda i lavoratori non adibiti a turni o a continuità assistenziale. La Cassazione ha corretto il ragionamento della Corte d’Appello, affermando che il diritto alla retribuzione del tempo tuta non dipende dalla modalità di articolazione dell’orario (turni o meno), ma dall’esistenza di un obbligo imposto dal datore di lavoro di effettuare la vestizione sul posto di lavoro.

Se per ragioni di igiene e sicurezza, come nel settore sanitario, la divisa deve essere indossata e dismessa all’interno della struttura aziendale, quel tempo è funzionale alla prestazione lavorativa e deve essere considerato orario di lavoro a tutti gli effetti. Di conseguenza, deve essere retribuito.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati sia a livello nazionale che europeo. L’orario di lavoro è definito come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”. Il tempo dedicato alla vestizione, quando eterodiretto dal datore di lavoro, rientra pienamente in questa definizione. Negare la retribuzione a una categoria di lavoratori (i non turnisti) solo perché la loro organizzazione del lavoro è diversa, pur in presenza dello stesso obbligo, costituisce un errore di diritto. La Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare in concreto se quel tempo fosse stato o meno già ricompreso e remunerato nell’orario di lavoro di tali dipendenti, a prescindere dal loro inquadramento come turnisti.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: il tempo tuta è orario di lavoro retribuito ogni qualvolta la vestizione e svestizione sono obbligatorie e devono avvenire sul luogo di lavoro. Questa regola si applica a tutti i dipendenti, indipendentemente dal fatto che lavorino su turni o meno. La sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà ora riesaminare la posizione dei lavoratori non turnisti alla luce di questo principio, verificando se il tempo per la vestizione sia stato effettivamente compensato.

Il tempo impiegato per indossare la divisa (“tempo tuta”) deve essere sempre retribuito?
Sì, se l’obbligo di indossare la divisa è imposto dal datore di lavoro e deve essere adempiuto sul luogo di lavoro per ragioni di igiene e sicurezza. Questo tempo rientra a tutti gli effetti nell’orario di lavoro.

Il diritto alla retribuzione del “tempo tuta” spetta solo ai lavoratori che fanno i turni?
No. La Corte ha chiarito che il diritto spetta a tutti i lavoratori soggetti a tale obbligo, a prescindere dal fatto che svolgano il lavoro per turni o meno. Ciò che conta è che il tempo non sia già stato ricompreso e remunerato nell’orario di lavoro.

Una precedente sentenza che ha negato il pagamento del tempo tuta impedisce di fare una nuova causa per un periodo successivo?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che se la nuova causa si basa su presupposti di fatto e di diritto diversi (ad esempio, l’esistenza di regolamenti aziendali prima non considerati), il principio del “ne bis in idem” (giudicato) non si applica e la domanda può essere riesaminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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