Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20791 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20791 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
assimilavano, equiparandoli, i tempi di cambio consegne e di vestizione/svestizione, che invece vanno autonomamente retribuiti, trattandosi di operazioni diverse;
il secondo motivo adduce analoga violazione sul presupposto che la Corte territoriale abbia richiesto, ai fini del riconoscimento del c.d. tempo tuta, requisiti, quali la turnazione a fini di continuità assistenziale o l’inquadramento in determinate figure professionali, che non sono invece in sé necessari, in quanto tali tempi di lavoro sono da remunerare a prescindere da essi;
il terzo motivo denuncia infine l’omesso esame di un fatto decisivo con riferimento alla ricorrente NOME che non era, come ritenuto in sentenza, un’impiegata amministrativa, ma infermiera addetta alla sterilizzazione della strumentazione chirurgica;
2.
i motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati;
3.
è indubbio che, sia i tempi di vestizione/svestizione, sia i tempi di passaggio consegne possano integrare a tutti gli effetti orario di lavoro da remunerare;
la giurisprudenza di questa RAGIONE_SOCIALE quanto ai tempi c.d. tuta in ambito infermieristico ha ritenuto che essi danno diritto alla retribuzione, trattandosi -per quanto attiene alla vestizione/svestizione -di
obblighi imposti dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia alla gestione del servizio pubblico sia la stessa incolumità del personale addetto (per tutte, v. Cass. 24 maggio 2018, n. 12935);
non diversamente, si è ritenuto che il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale (Cass. 22 novembre 2017, n. 27799);
non è dunque legittimo un sistema di rilevazione dell’orario che in ipotesi lasci al di fuori dei tempi di lavoro e di quanto vada remunerato, il tempo tuta o il tempo di passaggio consegne ed è chiaro che i due tempi di lavoro, almeno nella loro definizione astratta individuano due autonomi momento della prestazione;
come sottolineato già da Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352, « la soluzione è coerente con la previsione contenuta nel d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) » ed in senso conforme -sottolinea ancora Cass. 1352/2016 -si è espressa la Corte di Giustizia la quale ha precisato che è tempo di lavoro quello in cui il lavoratore è « presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro » per « tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno
(v., in tal senso, sentenza RAGIONE_SOCIALE, C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C-437105, punto 28, e Grigore., C-258/10, punto 63 » (v. anche Corte di giustizia 10 settembre 2015 nella causa C266/14, RAGIONE_SOCIALE sindicato Comisiones RAGIONE_SOCIALE , in relazione ai tempi di spostamento come tempi di lavoro);
4.
ciò posto, il fatto che, per certe figure (infermieri ed altro personale della continuità assistenziale e della sala operatoria operanti in turni), la Corte territoriale abbia ritenuto di individuare una disciplina dei tempi di vestizione/svestizione e di cambio consegne nei regolamenti 2011 e 2012 che avrebbero -sempre secondo la Corte -anticipato la successiva disciplina di cui al CCNL 20162018, nulla ha a che vedere con il fatto che, anche in relazione al restante personale -cui appartiene quello coinvolto nella presente causa – si ponga una questione di remunerazione dei c.d. tempi tuta;
fare riferimento ai meri compiti amministrativi di un’addetta, all’elasticità dell’orario di lavoro di un’altra, allo svolgimento al di fuori dell’ospedale dei turni dei tecnici autisti di ambulanza, al non lavorare in turno del tecnico di radiologia o al fatto che il tecnico di laboratorio non abbia funzioni di assistenza ai pazienti, nonché al l’esclusione di sovrapposizioni orarie per i tecnici RAGIONE_SOCIALE non esaurisce il tema;
così come non ha rilievo la possibilità teorica di vestirsi e svestirsi entro l’orario di lavoro, per l’assenza di un regime di sovrapposizioni prestazionali;
ciò che conta non è infatti l’assetto astratto degli obblighi, ma quanto in concreto sia accaduto, ovverosia se nell’orario di lavoro di tale personale siano stati ricompresi i tempi di vestizione e svestizione, perché se ciò non è accaduto, evidentemente anch’essi, previa stima di quanto a ciò necessario, vanno
remunerati, a prescindere dal fatto che il lavoro si svolga per turni o meno, a contatto con pazienti o meno, al di fuori dell’ospedale o meno;
certamente è pregiudiziale -specie per gli autisti di ambulanza per quali la Corte di merito dice che le divise non sarebbero soggette alle medesime regole di igiene e di sicurezza -l’accertamento in ordine al trattarsi, sempre in concreto, di attività assoggettate al potere di conformazione del datore di lavoro e dunque eterodirette, sia per esplicita disciplina d’impresa sia per natura degli indumenti, sia per la specifica funzione che questi ultimi devono assolvere, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento (v. Cass. 28 marzo 2018, n. 7738; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352);
una volta acquisiti tali dati però, se risulti il c.d. tempo tuta rientra nella prestazione subordinata secondo i parametri giurisprudenziali sopra citati, è ineludibile la verifica in merito al fatto che in concreto quei tempi siano stati o meno considerati nei tempi di lavoro, al fine di determinarne, in mancanza, la remunerazione secondo quanto sopra detto e sulla base dei criteri di computo più adeguati al caso di specie;
le considerazioni appena svolte superano dunque ogni profilo riguardante i regolamenti del 2011 e 2012 ed anche la posizione fattuale della NOME -cui solo è destinato il terzo motivo – potrà essere disaminata sulla base dei criteri appena visti;
4.1 5.
in definitiva la pronuncia va cassata e la causa va rimessa alla medesima Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, affinché svolga gli accertamenti sopra indicati, definendo, in ragione di essi, quanto oggetto del contendere;
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18.4.2024.