Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20784 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20784 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
l’obbligo di indossare la divisa e non avesse mai effettuato distinzioni tra professionalità, espressamente anzi riconoscendo che anche tali lavoratori avevano l’obbligo di indossare e dismettere il predetto camice all’interno dell’Ospedale;
2.
i motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica e -a parte il quinto -vanno disattesi;
va comunque rilevato come resti insondabile – come eccepito anche in memoria dai ricorrenti l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire, sollevata nel controricorso in relazione agli infermieri COGNOME, COGNOME e COGNOME;
ad essi il diritto al c.d. tempo tuta è stato riconosciuto dalla Corte d’Appello per il periodo dal 1.8.2010 al 31.12.2015 (punto 1.3 dello storico di lite) e tuttavia, come gli altri ricorrenti la cui domanda è stata parzialmente accolta, evidentemente rivendicano il riconoscimento di una misura più ampia del loro diritto;
è dunque insostenibile una carenza di interesse ad agire;
3.
ciò posto, è indubbio che, sia i tempi di vestizione/svestizione, sia i tempi di passaggio consegne possano integrare a tutti gli effetti orario di lavoro da remunerare;
la giurisprudenza di questa RAGIONE_SOCIALE. quanto ai tempi c.d. tuta in ambito infermieristico ha ritenuto che essi danno diritto alla retribuzione, trattandosi -per quanto attiene alla vestizione/svestizione -di obblighi imposti dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, riguardanti sia alla gestione del servizio pubblico sia la stessa
incolumità del personale addetto (per tutte, v. Cass. 24 maggio 2018, n. 12935);
non diversamente, si è ritenuto che il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all’esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest’ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente effettiva prestazione di lavoro, sicché va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologica, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale (Cass. 22 novembre 2017, n. 27799);
non è dunque legittimo un sistema di rilevazione dell’orario che in ipotesi lasci al di fuori dei tempi di lavoro e di quanto vada remunerato, il tempo tuta o il tempo di passaggio consegne ed è chiaro che i due tempi di lavoro, almeno nella loro definizione astratta individuano due autonomi momenti della prestazione;
come sottolineato già da Cass. 26 gennaio 2016, n. 1352, « la soluzione è coerente con la previsione contenuta nel d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 1, comma 2 lett. a), (che recepisce le Direttive 93/104 e 00/34 CE, concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), secondo la quale per orario di lavoro si intende “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, con definizione sovrapponibile a quella ripetuta nella successiva Direttiva 2003/88/CE, art. 2 n. 1) » ed in senso conforme -sottolinea ancora Cass. 1352/2016 -si è espressa la Corte di Giustizia la quale ha precisato che è tempo di lavoro quello in cui il lavoratore è « presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro » per « tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno (v., in tal senso, sentenza Dellas e a., C-14/04, punto 48, nonché ordinanze Vorel, C-437105, punto 28, e Grigore., C-258/10, punto
63 » (v. anche Corte di giustizia UE 10 settembre 2015 nella causa C-266/14, RAGIONE_SOCIALE sindicato RAGIONE_SOCIALE , in relazione ai tempi di spostamento come tempi di lavoro);
4.
la Corte d’Appello non si è discostata salvo quanto si dirà rispetto al quinto motivo – da tali principi, in quanto essa non ha negato, ma ha anzi affermato la remunerazione di quei tempi;
sennonché, nel fare ciò, ha considerato, per gli infermieri impegnati in turni in servizi di continuità assistenziale o in sala operatoria, nei casi in cui ha riconosciuto il diritto precedentemente non onorato dalla ASL, quindici minuti complessivi e comprensivi sia dei tempi di vestizione/svestizione, sia del cambio consegne;
4.1
in proposito va intanto detto che, ferma la distinzione concettuale tra i due tempi di lavoro, non può considerarsi in sé illegittima la loro regolazione unitaria in un unico tempo a forfait che li comprenda entrambi, anche perché si tratta di tempi tra loro contigui, reciprocamente interferenti e misurabili solo in via di approssimazione che -al di là di ipotesi manifestamente determinate in eccesso o in difetto -è ragionevole possano essere ricomprese in un’unica misura onnicomprensiva, dovendosi evitare anche il rischio che, attraverso segmentazioni logiche, si finiscano per moltiplicare i tempi di lavoro senza reale coerenza con la realtà fattuale;
4.2
il punto controverso nella presente causa non è però questo, quanto il fatto che la Corte territoriale, per stabilire la misura del dovuto, ha preso in considerazione quei quindici minuti, per i servizi di continuità assistenziale e di sala operatoria, desumendoli da due regolamenti del 2011 e del 2012 che facevano riferimento solo ai tempi di passaggio consegne;
nel fare ciò la Corte di merito, pur riconoscendo che vestizione e svestizione sono ‘esterne’ rispetto al passaggio consegne, ha poi riportato i quindici minuti ‘in uscita’ che i regolamenti ASL hanno ad riconosciuto -e che la Corte d’Appello ha esteso ai periodi in cui essi non erano stati pagati -ai « 15 minuti complessivi tra vestizione, svestizione e passaggi di consegne » che la successiva contrattazione del 2016-2018, qui non ancora applicabile ratione temporis , ha esplicitamente riferito ad entrambi i tempi di lavoro, regolandone a forfait l’attribuzione per gli infermieri adibiti a servizi di continuità assistenziale;
4.3
non può intanto dirsi che, in tal modo, vi sia stata esorbitanza dall’oggetto del contendere perché rispondendo al primo motivo di ricorso -in quel modo si è semplicemente fornita una soluzione al merito della causa, valutando in quella misura i tempi necessari all’intero novero delle attività preparatorie, conformate dal datore di lavoro o comunque dalle necessità del lavoro, proprie del cambio turno;
neppure può dirsi -venendo al secondo motivo – che vi sia una contraddizione insanabile nella motivazione della Corte territoriale; è vero che essa ha ritenuto dapprima che la vestizione/svestizione avvengono in ambito ospedaliero prima e dopo la prestazione lavorativa tipica e quindi prima e dopo anche il cambio consegne da effettuare in reparto, ma ciò attiene all’ambito della distinzione formale tra i due tempi, mentre i quindici minuti attengono all’ambito dei tempi complessivamente necessari per l’una e l’altra operazione ed in tal senso -privo di contraddittorietà – va inteso l’asse decisionale della Corte di merito;
quanto alla lettura in quel senso dei regolamenti del 2011 e del 2012, è indubbio che essa vada al di là del dato testuale;
va però rilevato che quel dato testuale è anch’esso espressione di una valutazione a forfait e non precisa, in quanto una previsione
rigorosa avrebbe dovuto calcolare tempi sia in uscita che in entrata (mentre i regolamenti parlano di 15 minuti ‘in uscita’), essendo il cambio consegne evidentemente attività reciproca e sovrapposta di chi monta e chi smonta;
ciò posto, la Corte d’Appello, nell’andare oltre il significato solo delle parole, ha fatto leva su un dato -ovverosia quanto successivamente pattuito in sede di contrattazione collettiva -che non è irragionevole valorizzare, a fronte di un testo come detto già in sé impreciso;
non possono del resto sottacersi le difficoltà di una diversa soluzione contraria che renderebbe quanto stabilito dalla contrattazione nella sostanza un ribasso di quei quindici minuti;
viceversa, è proprio il fatto che poi anche le parti sociali abbiano inteso -non senza un approccio apparentemente appropriato e proporzionato -esprimere in quella misura quanto necessario per quelle due operazioni preparatorie, tra loro contigue e routinarie, a far ritenere complessivamente logica l’operazione ermeneutica svolta dalla Corte territoriale;
in definitiva, tale apprezzamento costituisce una non irrazionale considerazione di merito, data dalla valutazione in tal senso del significato effettivo di quelle previsioni regolamentari come destinate ad integrare l’intera fase preparatoria – da remunerare della prestazione tipica, con un’indicazione nel suo complesso quantitativamente non inappropriata;
vale del resto il principio consolidato per cui l’interpretazione del contratto -e qui dell’atto unilaterale/regolamento della ASL che è soggetto al medesimo regime ex art. 1324 c.c. – può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente per il solo fatto che il giudice di merito abbia scelto una tra le molteplici interpretazioni (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319);
infine, il quarto motivo non può essere accolto, in quanto le testimonianze esaminate dalla Corte territoriale e che si adduce non essere mai state ammesse né assunte nel processo, non hanno dispiegato in concreto alcun rilievo sfavorevole rispetto alle posizioni appena esaminate, essendo stata riconosciuta l’esistenza dei c.d. tempi tuta da remunerare e soltanto residuando in questa sede controversia sulla misura della retribuzione spettante e sulla computabilità di essa unitamente a quella riguardante i tempi di cambio consegne;
5.
ciò detto, le conclusioni della Corte territoriale non possono invece essere condivise per quanto attiene al restante personale ancora ricorrente per cassazione (COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME: tecnici di laboratorio; COGNOME, COGNOME: personale OTA; COGNOME e COGNOME: autisti di ambulanze; COGNOME NOME: addetta non impegnata in turno) per il quale la domanda è stata rigettata; anche rispetto ad esso la Corte d’Appello non sembra negare, nelle premesse comuni, che la vestizione/svestizione fosse da effettuare sul luogo di lavoro, per le ragioni di igiene già sopra richiamate e che comportano come tali il rientrare dei tempi nell’ambito della prestazione;
la Corte d’Appello ha tuttavia ritenuto che per quegli addetti non emergesse un obbligo di indossare o dismettere la divisa necessariamente prima o dopo il turno di lavoro e ciò sia perché, pur lavorando in turni, la loro attività non prevederebbe continuità assistenziale o passaggio consegne, sia perché taluni di loro non erano impegnati in attività caratterizzata da turni, sicché si sarebbe di fronte ad una obiettiva diversità della prestazione esigibile;
il ragionamento non è corretto, in quanto ciò che conta non è l’assetto astratto degli obblighi, ma quanto in concreto sia
accaduto, ovverosia se nell’orario di lavoro di tali addetti siano stati ricompresi e remunerati i tempi di vestizione e svestizione;
infatti, se ciò non è accaduto, evidentemente anche quei tempi, previa stima anche in questo caso di quanto a ciò necessario, vanno remunerati, a prescindere dal fatto che il lavoro si svolga per turni o meno e dal fatto che i tempi di vestizione/svestizione si sommino o meno a tempi di passaggio consegne -quest’ultimo aspetto potendo semmai solo giustificare una fissazione in misura minore, come del resto ha poi fatto il CCNL del 20162018 all’art. 27, co. 11;
sul punto è sostanzialmente fondato il quinto motivo, nella parte in cui rileva che l’obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro era anche per tali addetti pacifico;
a ciò doveva seguire ogni accertamento consequenziale, che invece la Corte territoriale, pur facendo menzione anche dell’ipotesi di cui all’art. 27, co. 11 della sopravvenuta contrattazione, ha rimesso ad « altra sede »;
6.
in definitiva, fermo il resto, va accolto il quinto motivo e la causa va rimessa alla medesima Corte d’Appello affinché, anche per il personale rispetto al quale il diritto al c.d. tempo tuta è stato integralmente disatteso, si svolgano i necessari accertamenti sopra detti;
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18.4.2024.