Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16769 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16769 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1341-2022 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti principali –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME,
ricorrenti principali – controricorrenti incidentali avverso la sentenza n. 652/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/07/2021 R.G.N. 1094/2020;
RNUMERO_DOCUMENTO.N. 1341/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
1.- Gli odierni ricorrenti deducevano di essere dipendenti di RAGIONE_SOCIALE e di svolgere mansioni di tecnico on field , addetti agli interventi presso i clienti, e quindi di dovere prelevare l’automezzo aziendale all’inizio di ogni giorno lavorativo, raggiungere la prima sede di lavoro esterna ed infine, concluso l’ultimo intervento, riportare l’automezzo nella sede aziendale.
Assumevano che fino al 30/06/2013 il tempo di viaggio dalla sede aziendale al primo cliente e dall’ultimo cliente alla sede aziendale era stato considerato tempo di lavoro e come tale retribuito. Invece, dall’01/07/3013, a seguito di accordo sindacale aziendale del 27/03/2013 nell’ambito di una ristrutturazione dell’orario di lavoro, era stato previsto che il tempo di lavoro iniziasse all’arrivo dei tecnici presso il primo cliente e terminasse alla fine dell’intervento presso l’ultimo cliente, sicché il tempo di viaggio per recarsi al domicilio del cliente e per tornare alla sede aziendale non veniva più retribuito se non nella misura eventualmente eccedente rispetto a 30 minuti al giorno (15 per l’andata e 15 per il ritorno), sulla base del controllo del tempo di viaggio affidato alla geolocalizzazione dell’automezzo.
Deducevano che questa parte dell’accordo sindacale era nulla, in quanto in contrasto sia con l’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 66/2003, secondo cui rientra nel tempo di lavoro e quindi come tale deve essere retribuito ogni momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nello svolgimento delle sue mansioni, compreso il tempo dello spostamento necessario, sia con la giurisprudenza della C.G.U.E.
Adìvano, pertanto, il Tribunale di Milano per ottenere la declaratoria di nullità parziale del predetto accordo sindacale e, previa sua integrazione, l’accertamento del loro diritto ad essere retribuiti per trenta minuti ogni giorno di lavoro e la condanna di RAGIONE_SOCIALE a pagare il relativo importo dall’01/07/2013.
2.- Il Tribunale riteneva che la franchigia prevista dall’accordo aziendale del 2 marzo 2013 si poneva in contrasto con la normativa in materia di orario di lavoro come dettata dalla legge italiana e come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria mentre rigettava la domanda dei lavoratori di condanna al pagamento delle differenze retributive per mancata allegazione specifica di ciascuna franchigia, dovendosi applicare analogicamente alla fattispecie i principi giurisprudenziali in tema di prova del lavoro straordinario e non potendosi, per contro, accedersi ad una liquidazione meramente equitativa.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello di Milano, decidendo sui gravami hic et indi proposti , confermava la pronuncia di prime cure.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
da una interpretazione degli accordi del 27 marzo 2013, condotta alla stregua dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e s.s. c.c., non emergevano indici univoci a sostegno della essenzialità delle clausole in parola per cui, per il principio di conservazione del contratto, appariva corretto circoscrivere la dichiarazione di nullità alle sole clausole ritenute viziate; in ogni caso, qualora le dette clausole, da reputarsi affette da nullità, fossero da ritenersi essenziali e determinanti, ne deriverebbe l’estensione della nullità all’intero accordo aziendale e non certo l’inammissibilità della domanda come invece sostenuto da RAGIONE_SOCIALE;
i lavoratori ricoveravano l’automezzo aziendale presso una sede della società, dove quindi si recavano ogni giorno per prelevarlo e guidarlo fino al luogo del primo intervento e alla fine della giornata dovevano tornare in quella sede e lasciare l’automezzo;
come pure rilevato dal Tribunale, la clausola dell’accordo aziendale che considera questo tempo, convenzionalmente stabilito in 30 minuti, come di non lavoro è in contrasto con la norma imperativa dell’art. 1, co. 2, lett. a), d.lgs. n.
66/2003, secondo cui è orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni;
i compiti dei lavoratori erano di manutenzione presso il domicilio dei clienti, sicché il viaggio era strettamente funzionale alla prestazione lavorativa, compreso quello ritorno, che è complementare al primo;
dunque, rileva anche C.G.U.E. 10/09/2015 in causa C266/14, relativa ad un caso del tutto analogo;
inoltre, il tempo di quei tragitti è eterodiretto, come dimostrato dal sistema di geolocalizzazione dell’automezzo tramite sistema RAGIONE_SOCIALE, di cui si dà atto nello stesso accordo aziendale;
invece la domanda di condanna andava respinta perché i lavoratori non avevano precisamente allegato, né offerto di provare, se ed in quale misura, nel periodo oggetto di causa, gli stessi avessero effettivamente reso, quotidianamente, la prestazione nei limiti (minimi o massimi) della franchigia.
4.- Avverso tale sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui hanno resistito con controricorso i ricorrenti principali.
6.- Le parti hanno depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato dapprima il ricorso incidentale e poi quello principale.
RICORSO INCIDENTALE
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la società ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e/o errata interpretazione dell’Accordo del 2013, anche in relazione agli artt. 1363 e 1419 cc e violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 112 cpc’, per avere la Corte territoriale escluso la rilevanza della clausola di inscindibilità ai fini dell’ammissibilità della domanda.
Il motivo è infondato.
L’art. 1419, co. 1, c.c., prevede che la nullità parziale, ossia limitata a singole clausole, si traduca in nullità totale del contratto soltanto se
. Al riguardo questa Corte ha già precisato che ‘ Il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto ‘ (Cass. ord. n. 18794/2023).
Nel caso di specie la società non ha chiesto né ha eccepito la nullità totale dell’accordo aziendale, bensì ha invocato l’inammissibilità della domanda, istituto che si colloca – in modo eclettico rispetto alle questioni affrontate – su un piano processuale piuttosto che sostanziale. Dunque, in mancanza di prospettazione di nullità totale dell’accordo aziendale, esattamente la Corte territoriale ha dato atto che la clausola nulla è stata sostituita di diritto dalla norma imperativa.
Inoltre, proprio il meccanismo della sostituzione automatica, prevista dall’art. 1339 c.c. e richiamato dall’art. 1419, co. 2, c.c., ha una valenza inderogabile. Pertanto, da un lato impedisce in radice la possibilità di estendere la nullità parziale di qualche clausola all’intero contratto; dall’altro rende a sua volta nulle eventuali clausole cc.dd. di inscindibilità, sicché la decisione dei
giudici d’appello si rivela conforme a diritto.
La sostituzione automatica delle clausole, infatti, opera in un duplice senso: ristabilisce un determinato equilibrio contrattuale secondo una precisa scelta del legislatore che si impone alle parti private in modo inderogabile ed assicura la conservazione del contratto, impedendo al giudice la valutazione (altrimenti possibile) di essenzialità di quella clausola per il consenso di uno o di entrambi i contraenti.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e/o interpretazione dell’art. 1, co. 2, lett. a), e dell’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003, dell’art. 5 co. 1 RD n. 1955/1923 in relazione all’accordo del 27 marzo 2013, nonché in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 115 co. 1 cpc’, per avere la Corte territoriale ritenuta la c.d. franchigia prevista dall’accordo aziendale come tempo di lavoro.
Il motivo è palesemente infondato.
Come già affermato da questa Corte di legittimità, ‘ Il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell’orario di lavoro se le relative operazioni si svolgano sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro; ne consegue che – in ipotesi di personale tecnico “on field”, addetto all’installazione e alla manutenzione degli impianti presso le abitazioni e i locali dei clienti, dotato di un terminale aziendale attraverso il quale visualizzare i luoghi degli interventi da compiere, “timbrare” l’orario di inizio del lavoro e ricevere le disposizioni datoriali – sono da considerare nulli gli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale è posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento, nonché, alla fine della giornata lavorativa, per il tragitto inverso ‘ (Cass. n. 37286/2021).
RICORSO PRINCIPALE
1.- Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione di norme di
legge (artt. 36 Cost., art. 2094, 2099, 2108, 1223, 1226 c.c., 432 cpc, art. 1 D.lgs. n. 66/2003), per avere la Corte territoriale accertato l’esistenza di prestazioni di lavoro subordinato, ma di avere, poi, erroneamente negato il diritto alla retribuzione per tale lavoro anziché provvedere alla sua liquidazione, anche in via equitativa.
Il motivo è fondato.
Una volta dichiarata la nullità della clausola di cui sopra, la Corte territoriale avrebbe dovuto dedurre che il tempo impiegato dagli odierni ricorrenti per recarsi presso il cliente, provenendo dalla sede aziendale, e per fare ritorno alla sede aziendale provenendo dall’ultimo cliente, è certamente da retribuire, in omaggio al principio di corrispettività delle prestazioni. In tale prospettiva consequenziale, la mancata specifica allegazione dei tempi in concreto impiegati in ciascun giorno lavorativo rileva non ai fini dell’esistenza del diritto alle conseguenti differenze retributive posto che è pacifico che essi sono tecnici esterni – ma solo della loro quantificazione, ben potendo quei tempi di lavoro essere anche inferiori ai 30 minuti giornalieri. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere al relativo accertamento sulla base delle istanze (anche di consulenza tecnica d’ufficio) riproposte dagli appellanti e sulla base del pacifico sistema aziendale di geolocalizzazione dell’automezzo da loro impiegato per recarsi dai clienti e per fare ritorno alla sede aziendale.
A tal fine si impone dunque la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per effettuare il predetto accertamento ai fini della precisa liquidazione delle differenze retributive.
2.- Con il secondo motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo per la decisione, consistente nella osservanza di un preciso orario giornaliero ampliato, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non aver la Corte territoriale considerato minimamente il fatto storico rappresentato dalla generale osservanza, da parte dei tecnici, di un determinato orario lavoro ampliato rispetto al passato, omettendo, quindi, di valutare tale circostanza la quale era
sicuramente determinante per la decisione.
3.- Il motivo è inammissibile, per ragioni procedurali, poiché non investe un ‘fatto storico’, bensì un profilo di allegazione della domanda ed un aspetto istruttorio, la cui valutazione è riservata al giudice del merito e, quindi, interdetta in sede di legittimità.
4.- Resta, infine, assorbito il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., con cui i ricorrenti lamentano ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 24 Cost. 115, 116 e 432 cpc, 1226 e 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che gravasse sui lavoratori l’onere di provare l’esatta misura dei tempi di lavoro non retribuiti, senza considerare il criterio della prossimità della prova e senza prendere in considerazione la valutazione equitativa’.
La sua trattazione trova, infatti, adeguata risposta in relazione a quanto già specificato con riguardo all’esame del primo motivo del ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo motivo del ricorso principale, inammissibile il secondo ed assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27/03/2024.