LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo di viaggio: quando è orario di lavoro retribuito

Due tecnici hanno citato in giudizio la loro azienda, una società di telecomunicazioni, a causa di un accordo aziendale che escludeva dal calcolo della retribuzione i primi 30 minuti di tempo di viaggio giornaliero (sede-primo cliente e ultimo cliente-sede). La Corte di Cassazione ha confermato che tale tempo di viaggio costituisce a tutti gli effetti orario di lavoro e deve essere retribuito. Di conseguenza, ha dichiarato nulla la clausola della ‘franchigia’ non pagata. La Corte ha inoltre precisato che, una volta stabilito il diritto alla retribuzione, il giudice di merito ha il dovere di quantificare le somme dovute, anche in assenza di una prova dettagliata da parte del lavoratore per ogni singola giornata, rinviando il caso alla Corte d’Appello per la determinazione degli importi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo di Viaggio: Quando il Tragitto Sede-Cliente è Orario di Lavoro

Il tempo impiegato dai lavoratori per spostarsi dalla sede aziendale al primo luogo di intervento è da considerarsi orario di lavoro? Con l’ordinanza n. 16674/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il tempo di viaggio effettuato dai tecnici esterni, sotto le direttive e il controllo del datore di lavoro, rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro e deve essere retribuito. Questa decisione chiarisce la nullità degli accordi aziendali che prevedono ‘franchigie’ non retribuite.

I Fatti del Caso: La Clausola della “Franchigia”

La vicenda riguarda due tecnici dipendenti di una grande società di telecomunicazioni, addetti a interventi presso i clienti. All’inizio di ogni giornata lavorativa, dovevano recarsi presso la sede aziendale per prelevare l’automezzo di servizio e raggiungere il primo cliente; alla fine della giornata, compivano il percorso inverso.

Fino al 2013, questo tempo era regolarmente retribuito. Successivamente, un nuovo accordo aziendale ha modificato il regime, stabilendo che l’orario di lavoro iniziasse solo all’arrivo presso il primo cliente e terminasse alla conclusione dell’ultimo intervento. L’accordo introduceva una ‘franchigia’ di 30 minuti giornalieri (15 per l’andata e 15 per il ritorno) per il tempo di viaggio, che non veniva più retribuita. Solo l’eventuale eccedenza, monitorata tramite geolocalizzazione del veicolo, veniva pagata.

Ritenendo tale clausola illegittima, i due lavoratori si sono rivolti al Tribunale per chiederne la nullità e ottenere il pagamento delle differenze retributive.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Il Tribunale di primo grado, pur riconoscendo la potenziale nullità della clausola, ha respinto la domanda, sostenendo che i lavoratori non avessero provato l’esatta durata dei loro spostamenti giornalieri.

La Corte d’Appello ha parzialmente riformato la decisione: ha dichiarato la nullità della clausola sulla franchigia, affermando il diritto dei lavoratori a essere retribuiti per l’intero tempo di viaggio. Tuttavia, ha confermato il rigetto della domanda di pagamento, ritenendo che i lavoratori non avessero fornito prova sufficiente a quantificare le somme dovute, essendosi limitati a chiedere il pagamento forfettario di 30 minuti al giorno.

La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, con ricorso principale dei lavoratori e ricorso incidentale dell’azienda.

Le ragioni della nullità del tempo di viaggio non retribuito

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni dell’azienda, confermando in toto la nullità della clausola. I giudici hanno chiarito che il concetto di ‘orario di lavoro’, definito dal D.Lgs. 66/2003, è una norma imperativa e non può essere derogata da un accordo collettivo.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su alcuni punti cardine:
1. Definizione di Orario di Lavoro: Rientra nell’orario di lavoro ‘qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni’. Il tempo di viaggio dalla sede aziendale al cliente, effettuato con un mezzo fornito e geolocalizzato dall’azienda, soddisfa pienamente questi requisiti. Il lavoratore non è libero di gestire quel tempo, ma è sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro.
2. Nullità della Clausola e Sostituzione Automatica: Una clausola contrattuale che contrasta con una norma imperativa è nulla. In questi casi, non si verifica la nullità dell’intero accordo, ma si applica il meccanismo della ‘sostituzione automatica’ (art. 1419, co. 2, c.c.), per cui la clausola nulla viene rimpiazzata di diritto dalla norma di legge.
3. Distinzione tra Diritto e Quantificazione: La Corte d’Appello ha errato nel negare il pagamento per una presunta carenza di prova. Una volta accertata l’esistenza del diritto alla retribuzione (l’ an), il giudice ha il dovere di procedere alla sua quantificazione (il quantum). La mancata allegazione puntuale dei minuti esatti per ogni giorno non fa venir meno il diritto, ma incide solo sulla fase di calcolo. Il giudice avrebbe dovuto utilizzare gli strumenti a sua disposizione, come i dati della stessa geolocalizzazione aziendale o una consulenza tecnica, per determinare l’importo esatto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza. Per le aziende che impiegano personale ‘on field’ (tecnici, manutentori, agenti), ne derivano chiare implicazioni: il tempo di viaggio dalla sede operativa al primo cliente e dall’ultimo cliente alla sede è, a tutti gli effetti, tempo di lavoro da retribuire.

Gli accordi aziendali non possono introdurre franchigie o esclusioni forfettarie che violino la definizione legale di orario di lavoro. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta una tutela fondamentale, garantendo che tutto il tempo in cui sono a disposizione del datore di lavoro venga correttamente riconosciuto e compensato. La decisione sottolinea inoltre che l’onere della prova sulla quantificazione non può trasformarsi in un ostacolo insormontabile per l’affermazione di un diritto.

Il tempo che un tecnico impiega per andare dalla sede aziendale al primo cliente è considerato orario di lavoro?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che questo tempo è a tutti gli effetti orario di lavoro, in quanto il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro, sotto la sua direzione (utilizzando un mezzo aziendale geolocalizzato) e sta svolgendo un’attività funzionale alla prestazione lavorativa.

Un accordo aziendale può stabilire una ‘franchigia’ di tempo non retribuito per questi spostamenti?
No. Qualsiasi clausola di un accordo collettivo che preveda una franchigia temporale non retribuita per il tempo di viaggio necessario all’esecuzione della prestazione è nulla, perché in contrasto con la norma imperativa che definisce l’orario di lavoro (D.Lgs. 66/2003).

Se un lavoratore non dimostra l’esatta durata degli spostamenti per ogni singolo giorno, perde il diritto alla retribuzione?
No. Secondo la Corte, una volta accertata la nullità della clausola e quindi l’esistenza del diritto alla retribuzione per quel tempo, il giudice deve procedere alla quantificazione delle somme dovute. La mancata allegazione specifica rileva solo sulla quantificazione, non sull’esistenza del diritto, e il giudice può usare altri strumenti, come la consulenza tecnica o i dati aziendali, per determinarla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati