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Tempo di vestizione: quando va retribuito in sanità?

Un infermiere ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria per ottenere il pagamento dell’indennità per il tempo di vestizione. La Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha rigettato il ricorso. È stato stabilito che l’onere di dimostrare che le operazioni di vestizione e svestizione avvengono al di fuori dell’orario di lavoro registrato dalle timbrature spetta al lavoratore. In assenza di tale prova, la richiesta di retribuzione aggiuntiva non può essere accolta.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo di vestizione in Sanità: la Cassazione stabilisce l’onere della prova

Il riconoscimento del tempo di vestizione come orario di lavoro retribuito è una questione da tempo dibattuta, specialmente nel settore sanitario. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, fornendo un chiarimento cruciale sull’onere della prova che grava sul lavoratore che ne chiede il pagamento. Vediamo nel dettaglio i fatti del caso e i principi di diritto affermati dai giudici.

I fatti del caso

Un infermiere dipendente di un’Azienda Sanitaria Provinciale si rivolgeva al Tribunale per ottenere il pagamento di una somma a titolo di indennità per il tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa da lavoro, per un periodo di circa dieci anni. In primo grado, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo al lavoratore una somma a titolo di differenza retributiva nei limiti della prescrizione quinquennale.

L’Azienda Sanitaria proponeva appello e la Corte territoriale ribaltava la decisione, rigettando la domanda dell’infermiere. Secondo la Corte d’Appello, il lavoratore non aveva adeguatamente provato che le operazioni di vestizione e svestizione fossero state eseguite al di fuori dell’orario di lavoro risultante dalle timbrature del cartellino. Il caso giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione sul tempo di vestizione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la sentenza d’appello. I giudici hanno stabilito un principio di diritto molto chiaro: l’infermiere che chiede il pagamento per il tempo impiegato a indossare e dismettere la divisa, sostenendo che tale attività ecceda l’orario ordinario, ha l’onere di dimostrare di aver effettuato tali operazioni prima di timbrare in entrata e dopo aver timbrato in uscita.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su un’attenta analisi delle norme contrattuali e dei principi giurisprudenziali consolidati. In primo luogo, ha esaminato l’art. 27 del CCNL Sanità 2016-2018, il quale prevede che il tempo per la vestizione, svestizione e passaggio di consegne debba essere ricompreso nell’orario di lavoro e risultare dalle timbrature. Questa disposizione, secondo la Corte, non crea un diritto automatico a una retribuzione aggiuntiva, ma impone al datore di lavoro di organizzare i turni in modo da includere questo tempo nell’orario retribuito e registrato.

Il punto cruciale della motivazione risiede nell’onere della prova. La Cassazione ha ribadito che, se un lavoratore sostiene di aver svolto un’attività lavorativa (come la vestizione imposta dal datore) al di fuori dell’orario registrato, spetta a lui fornire la prova di tale circostanza. Nel caso di specie, il ricorrente non solo non aveva allegato specificamente di essere stato costretto a cambiarsi fuori orario, ma la sua richiesta di prova testimoniale non era mirata a dimostrare questo aspetto decisivo.

La Corte ha precisato che il diritto alla retribuzione per il cambio d’abito sorge solo se si dimostra che la vestizione e la svestizione avvenivano prima e dopo l’orario di lavoro ordinario, per imposizione del datore di lavoro. Mancando questa prova, la circostanza non può considerarsi pacifica e la domanda deve essere respinta.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento fondamentale in materia di tempo di vestizione: la semplice richiesta di pagamento non è sufficiente. Il lavoratore deve provare in modo specifico e rigoroso che il tempo per indossare e togliere la divisa sia stato imposto dal datore di lavoro e si sia svolto al di fuori dell’orario di lavoro ufficialmente registrato dalle timbrature. Per i datori di lavoro del settore sanitario, ciò sottolinea l’importanza di una chiara regolamentazione aziendale su queste procedure, come peraltro previsto dal CCNL, per evitare contenziosi. Per i lavoratori, invece, emerge la necessità di raccogliere prove concrete (testimonianze, documentazione) a sostegno delle proprie rivendicazioni, qualora ritengano che i loro diritti non vengano rispettati.

A chi spetta dimostrare che il tempo di vestizione è avvenuto fuori dall’orario di lavoro registrato?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta interamente al lavoratore. È l’infermiere che deve dimostrare di aver effettuato le operazioni di vestizione prima della timbratura in entrata e quelle di svestizione dopo la timbratura in uscita.

Il tempo per indossare la divisa è sempre considerato orario di lavoro retribuito?
Il tempo per indossare la divisa è considerato orario di lavoro retribuibile se gli indumenti sono imposti da esigenze di sicurezza e igiene e se l’operazione deve avvenire in un tempo e luogo specificati dal datore di lavoro. Tuttavia, per ottenere una retribuzione aggiuntiva, il lavoratore deve provare che tale tempo è stato svolto al di fuori dell’orario registrato.

Cosa prevede il CCNL Sanità 2016-2018 riguardo al tempo di vestizione?
L’art. 27 del CCNL prevede che il tempo per vestizione, svestizione e passaggio di consegne (fino a 15 minuti complessivi) debba essere riconosciuto e risultare dalle timbrature effettuate. Impone quindi al datore di lavoro di includere questo tempo nell’orario di lavoro retribuito, ma non stabilisce automaticamente un’indennità separata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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