Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 715 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14179-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME DE NOME COGNOME tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che li rappresentano e difendono;
– controricorrenti –
nonchŁ contro
– intimata –
RECEPUTI COGNOME;
R.G.N. 14179/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 3903/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/10/2018 R.G.N. 1524/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che il tempo utilizzato per indossare e dismettere la divisa dagli originari ricorrenti, dipendenti della Unicoop Tirreno società cooperativa e addetti ai settori gastronomia, servizio clienti, ecc. presso un supermercato, rientrava nel normale orario di lavoro ed andava pertanto remunerato; ha condannato la società al pagamento delle correlative differenze retributive, da quantificarsi in separata sede, indicando quale tempo necessario per detta attività in 10 minuti prima del turno e 10 minuti alla fine del turno.
2. Il giudice di appello – premesso che non erano contestate le circostanze di fatto alla base della pretesa azionata in merito all ‘ obbligo alla divisa aziendale, da indossare all’interno del posto di lavoro prima dell’inizio del turno e da lasciare in sede al termine, nell’armadietto personale sito in apposito spogliatoio, in dichiarata adesione ai principi affermati dal giudice di legittimità, ha ritenuto che l’attività preparatoria concernente la vestizione, ove eseguita secondo pregnanti disposizioni del datore di lavoro circa il tempo ed il luogo dell’esecuzione, assumeva i connotati di attività
eterodiretta ed andava pertanto retribuita, e tale situazione era ravvisabile nel caso concreto in quanto si trattava di indumenti che, secondo il criterio di normalità sociale dell’abbigliamento, mal si prestavano ad un utilizzo al di fuori del luogo di lavoro, sia per la loro incongruenza con l’abbigliamento consueto, sia, soprattutto, per ragioni di igiene nei confronti dei consumatori e dei clienti (invero, ove non fosse rispettato l’obbligo di utilizzare detti indumenti solo nel luogo di lavoro conseguirebbe un inadempimento di regole sanitarie e meriterebbe, se necessario, di essere espressamente interdetto e sanzionato).
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di quattro motivi. I lavoratori NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME resistono con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi (D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, art. 98 CCNL Commercio, distribuzione cooperative, art. 2104 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3) dovendo considerarsi il tempo di vestizione come tempo di lavoro solo nell’ipotesi in cui lavoratore durante tale tempo sia eterodiretto dal datore di lavoro.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto
di discussione fra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5) con riguardo al presunto esercizio del potere di eterodirezione nelle operazioni di vestizione e svestizione, avendo la Corte territoriale, omesso di esaminare puntualmente la circostanza della mancanza di eterodirezione nella vestizione.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in ordine alla prova della eterodirezione (in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3) in quanto la prova come articolata dai lavoratori in primo grado (non ammessa dai giudici di merito) non avrebbe potuto determinare alcun risultato utile ai lavoratori stessi.
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. in ordine alla quantificazione del tempo di vestizione svestizione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la Corte territoriale trascurato di svolgere attività istruttoria circa i tempi di vestizione.
Preliminarmente, va dato atto che, in corso di causa, prima dell’udienza di discussione, la società ha depositato verbali di conciliazione dai quali risultano che NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno sottoscritto (i primi due in data 1.7.2020, la terza l’11.11.2020), in sede sindacale, un accordo con cui la società RAGIONE_SOCIALE rinuncia al giudizio pendente presso la Cassazione ed avente n. R.G. 14179/2019, i lavoratori accettano la rinuncia, dandosi -le parti
-atto della dell’intervenuta, amichevole definitiva conciliazione;
6. deve, dunque, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere tra dette parti, in quanto la definizione della lite in sede sindacale, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, comportando la sostituzione del nuovo assetto pattizio voluto dalle parti del rapporto controverso alla regolamentazione datane dalla sentenza impugnata, che resta così travolta e caducata, determina la cessazione della materia del contendere; invero: “nel caso in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata” (in termini: Cass. S.U. n. 8980 del 2018; conf. Cass. n. 24632 del 2019);
in mancanza di una diversa pattuizione contenuta nel verbale di conciliazione le spese si intendono compensate ai sensi dell’art. 92, ultimo comma, cod.proc.civ.;
P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere compensando le spese di lite tra le parti;
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della