LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Tempo di vestizione: quando va pagato? La Cassazione

La Corte di Cassazione esamina un caso relativo al tempo di vestizione dei dipendenti di una società cooperativa. La Corte d’Appello aveva stabilito che il tempo per indossare e togliere la divisa (10 minuti prima e dopo il turno) dovesse essere retribuito, in quanto attività eterodiretta dal datore di lavoro. Tuttavia, prima della decisione finale della Cassazione, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo. Di conseguenza, la Suprema Corte non si è pronunciata nel merito, ma ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, chiudendo il caso e rendendo inefficace la sentenza d’appello.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Tempo di Vestizione: Va Considerato Orario di Lavoro Retribuito?

Il tempo di vestizione, ovvero i minuti che un lavoratore impiega per indossare e togliere la divisa aziendale, è una questione ricorrente nel diritto del lavoro. Deve essere retribuito come orario di lavoro effettivo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 715/2024, torna sul tema, anche se con un esito particolare che merita un’analisi approfondita.

I Fatti del Caso

La controversia nasce dalla richiesta di alcuni dipendenti di una grande catena di supermercati. I lavoratori, addetti a vari reparti come gastronomia e servizio clienti, sostenevano che il tempo necessario per indossare la divisa prima dell’inizio del turno e per toglierla alla fine, circa 10 minuti per ogni operazione, dovesse essere considerato a tutti gli effetti orario di lavoro e, di conseguenza, retribuito.

Inizialmente, il tribunale di primo grado aveva respinto la loro richiesta. Successivamente, la Corte d’Appello di Roma ha ribaltato la decisione, dando ragione ai lavoratori. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione per contestare questa seconda sentenza.

La Decisione della Corte d’Appello e il Concetto di Eterodirezione

La Corte d’Appello aveva ritenuto fondata la richiesta dei dipendenti sulla base di un principio chiave: l’eterodirezione dell’attività. Secondo i giudici di secondo grado, il tempo di vestizione non era una scelta libera del lavoratore, ma un’attività imposta e regolamentata dal datore di lavoro. Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono stati:

* Obbligo di cambio sul posto di lavoro: I dipendenti dovevano cambiarsi all’interno di uno spogliatoio aziendale.
* Inidoneità all’uso esterno: La divisa, per la sua natura e per ragioni igieniche (specialmente per chi lavora a contatto con alimenti), non poteva essere indossata al di fuori dell’ambiente lavorativo.
* Controllo datoriale: L’obbligo di indossare la divisa solo all’interno del supermercato configurava un esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro.

Per queste ragioni, la Corte d’Appello aveva concluso che quei 20 minuti giornalieri rientravano a pieno titolo nell’orario di lavoro da retribuire.

L’Esito in Cassazione: La Cessazione della Materia del Contendere

Quando il caso è arrivato in Cassazione, si è verificato un colpo di scena. Prima dell’udienza di discussione, la società e i lavoratori hanno raggiunto un accordo transattivo, una conciliazione in sede sindacale. Con questo accordo, la società ha rinunciato al ricorso e i lavoratori hanno accettato tale rinuncia, chiudendo di fatto la disputa.

Di fronte a questa novità, la Corte di Cassazione non è entrata nel merito della questione sul tempo di vestizione. Invece, ha applicato un principio processuale: ha dichiarato la “cessazione della materia del contendere”.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è di natura puramente processuale. I giudici hanno spiegato che, nel momento in cui le parti di un processo trovano un accordo che risolve la loro controversia, viene meno l’oggetto stesso del giudizio. Non c’è più nulla su cui il giudice debba decidere.

L’accordo tra le parti, infatti, sostituisce la sentenza del giudice nel regolare i loro rapporti. La sentenza della Corte d’Appello, che era stata impugnata, viene così “travolta e caducata”, perdendo ogni efficacia. La volontà delle parti, espressa nell’accordo, prevale sulla decisione giudiziaria precedente.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione, pur non stabilendo un nuovo principio di diritto sul tempo di vestizione, offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma che la qualificazione del tempo per indossare la divisa come orario di lavoro dipende strettamente dal grado di controllo (eterodirezione) esercitato dal datore di lavoro. Se il lavoratore è obbligato a cambiarsi in un luogo e tempo specifici, è probabile che quel tempo debba essere retribuito. In secondo luogo, evidenzia l’importanza degli accordi transattivi come strumento efficace per porre fine a una lite, anche quando questa è giunta al massimo grado di giudizio. In questo caso, l’accordo ha chiuso definitivamente la vertenza, sostituendosi a ogni precedente pronuncia dei giudici.

Il tempo per indossare la divisa aziendale va sempre retribuito?
L’ordinanza non fornisce una risposta universale. Riporta la decisione della Corte d’Appello, secondo cui il tempo va retribuito se l’attività è eterodiretta, cioè controllata dal datore di lavoro (es. obbligo di cambiarsi in azienda). Tuttavia, la Cassazione non ha confermato questo principio perché il caso si è chiuso con un accordo tra le parti.

Cosa significa che la Corte ha dichiarato la ‘cessazione della materia del contendere’?
Significa che le parti hanno risolto la loro disputa tramite un accordo privato (conciliazione) prima della decisione finale. Di conseguenza, non essendoci più una controversia da decidere, il processo si è estinto e la Corte ha semplicemente preso atto di questa circostanza.

L’accordo tra le parti annulla la precedente sentenza della Corte d’Appello?
Sì. Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, l’accordo raggiunto tra le parti sostituisce completamente la sentenza impugnata. Quest’ultima viene definita ‘travolta e caducata’, perdendo quindi tutta la sua efficacia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati