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Tempo di vestizione: quando è orario di lavoro?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il tempo di vestizione di un infermiere deve essere retribuito solo se l’operatore prova che tale attività è stata svolta al di fuori dell’orario di lavoro registrato dalle timbrature. In assenza di una specifica allegazione e di prove concrete, la richiesta di pagamento per il tempo extra non può essere accolta. L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Il tempo di vestizione è orario di lavoro? La Cassazione chiarisce l’onere della prova

Il tempo di vestizione, ovvero il tempo necessario a indossare e dismettere la divisa aziendale, rappresenta da sempre un tema dibattuto nel diritto del lavoro, specialmente nel settore sanitario. Quando questo tempo deve essere retribuito? A fare chiarezza interviene la Corte di Cassazione con un’importante ordinanza, che definisce i confini dell’orario di lavoro e, soprattutto, l’onere della prova a carico del dipendente. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I fatti del caso: la richiesta di un infermiere

Un infermiere di categoria D si rivolgeva al Tribunale per ottenere il pagamento di un’indennità legata al tempo impiegato quotidianamente per indossare e togliere la divisa di servizio. Sosteneva di essere stato costretto a un surplus lavorativo di circa 15-20 minuti al giorno rispetto al suo orario contrattuale di 36 ore settimanali. Tale tempo extra, accumulato per un lungo periodo, non era mai stato retribuito dall’Azienda Sanitaria per cui lavorava. La sua richiesta ammontava a oltre 9.500 euro.

Il percorso giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda del lavoratore, condannando l’Azienda Sanitaria al pagamento di una somma ridotta. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava completamente la decisione. I giudici di secondo grado osservavano che il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) Sanità prevede la possibilità di riconoscere fino a 15 minuti complessivi per le operazioni di vestizione, svestizione e passaggio di consegne, ma a una condizione precisa: che tale tempo risulti dalle timbrature del cartellino. La Corte territoriale evidenziava una lacuna cruciale nell’azione legale dell’infermiere: non aveva mai specificamente allegato, né tantomeno provato, che le operazioni di cambio divisa avvenissero al di fuori dell’orario di lavoro risultante dalle timbrature.

L’analisi del tempo di vestizione secondo la Cassazione

La questione è giunta infine dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso dell’infermiere, confermando la decisione d’appello e delineando un principio di diritto molto chiaro. Gli Ermellini hanno ribadito che le operazioni di vestizione e svestizione rientrano nell’orario di lavoro retribuibile quando la divisa è imposta da superiori esigenze di sicurezza e igiene, come nel settore sanitario. Tuttavia, il punto focale della controversia non era se il tempo di vestizione fosse astrattamente retribuibile, ma come dimostrarne l’effettivo svolgimento al di fuori dell’orario contrattuale.

L’importanza dell’allegazione e della prova

La Corte ha sottolineato che il CCNL di settore offre già uno strumento per includere questo tempo nell’orario retribuito, ovvero la timbratura. Se un lavoratore sostiene che questo meccanismo non è sufficiente o non è stato applicato correttamente, e che il cambio divisa è avvenuto prima di timbrare l’inizio del turno e dopo aver timbrato la fine, ha l’onere di allegarlo e provarlo. Non è sufficiente una generica richiesta di pagamento. Nel caso di specie, il lavoratore non solo non aveva specificato questa circostanza nei suoi atti, ma la sua richiesta di prova testimoniale era stata formulata in modo troppo generico per dimostrare il punto decisivo.

Le motivazioni della decisione

La ratio decidendi della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del processo civile: l’onere della prova. Il lavoratore che chiede una retribuzione aggiuntiva per il tempo di vestizione deve dimostrare due elementi fondamentali:
1. L’obbligo, imposto dal datore di lavoro, di indossare la divisa in un luogo e tempo specifici.
2. L’effettivo svolgimento di tale operazione al di fuori dell’orario di lavoro registrato ufficialmente, ovvero prima della timbratura in entrata e dopo quella in uscita.

In assenza di una puntuale allegazione dei fatti e di un conseguente supporto probatorio, la domanda non può essere accolta. La Corte ha chiarito che il tempo per il cambio divisa non è un lavoro straordinario automatico, ma una prestazione che, per essere retribuita extra, deve essere provata come tale, eccedente l’orario registrato.

Conclusioni: cosa significa questa sentenza per i lavoratori

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche per tutti i lavoratori del settore sanitario e, più in generale, per chiunque sia obbligato a indossare una divisa. La decisione non nega il diritto alla retribuzione per il tempo di vestizione, ma ne ancora il riconoscimento a un rigoroso onere probatorio. I lavoratori che intendono far valere questo diritto devono assicurarsi di:

1. Formulare correttamente le proprie richieste legali, specificando che il cambio divisa avviene fuori dall’orario timbrato.
2. Raccogliere prove concrete e specifiche a sostegno della propria tesi (ad esempio, testimonianze precise che confermino gli orari esatti delle operazioni rispetto alle timbrature).

In definitiva, la sentenza riafferma che un diritto, per essere tutelato in giudizio, deve essere non solo affermato, ma anche e soprattutto provato nei modi e nelle forme previste dalla legge.

Il tempo per indossare la divisa è sempre considerato orario di lavoro retribuito?
No. Secondo la Corte, rientra nell’orario di lavoro se l’uso della divisa è imposto dal datore di lavoro per ragioni di igiene e sicurezza. Il CCNL Sanità prevede che questo tempo, fino a 15 minuti, sia ricompreso nell’orario lavorativo a condizione che risulti dalle timbrature di entrata e uscita.

Su chi ricade l’onere di provare che il tempo di vestizione è avvenuto fuori dall’orario di lavoro registrato?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore. È il dipendente che deve allegare (cioè dichiarare formalmente nei propri atti) e poi dimostrare con prove specifiche di aver effettuato le operazioni di vestizione prima di timbrare l’entrata e dopo aver timbrato l’uscita.

Perché la richiesta del lavoratore è stata respinta in questo caso?
La richiesta è stata respinta perché il lavoratore non ha specificamente allegato nel suo ricorso che la vestizione avveniva al di fuori dell’orario registrato dalle timbrature e, di conseguenza, non ha fornito prove adeguate a dimostrarlo. La sua richiesta di prova testimoniale è stata ritenuta troppo generica per essere decisiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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