Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32943 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32943 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
R.G.N. 1883/2020
C.C. 4/12/2024
VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1883/2020) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in atti, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e con elezione di domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE RAPPRESENTANZA GENERALE PER L’ITALIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso (contenente anche ricorso
incidentale), dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 4628/2019 (pubblicata il 24 ottobre 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dalla società controricorrente RAGIONE_SOCIALE
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 753/2013, l’adito Tribunale di Vicenza dichiarava improcedibile l’opposizione e la relativa domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (società di diritto francese) avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti per l’importo di euro 108.577,00, su ricorso della RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, a titolo di corrispettivo della vendita di un determinato quantitativo di trasformatori elettrici. Tale declaratoria era conseguente alla mancata allegazione, da parte della citata opponente, dell’originale della procura ‘ad litem’ e, comunque, in virtù della nullità della stessa, siccome autenticata da avvocato francese e priva dei requisiti di validità richiesti dalla legge italiana. Da tale pronuncia derivava la definitività dell’opposto decreto monitorio, con la condanna della medesima società opponente alla rifusione delle spese giudiziali sia nei confronti dell’opposta che della terza chiamata in causa RAGIONE_SOCIALE
Decidendo sull’appello formulato dalla RAGIONE_SOCIALE e nella costituzione di entrambe le appellate, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 4628/2019 (pubblicata il 24 ottobre 2019), dichiarava l’inammissibilità del gravame,
condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore delle controparti.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte lagunare rilevava in adesione all’eccezione preliminare dedotta dall’appellata RAGIONE_SOCIALE il difetto di ‘ius postulandi’ in capo al difensore della società appellante, da cui non poteva che discendere l’inammissibilità dell’impugnazione.
In particolare, la Corte territoriale rilevava che la procura alle liti conferita all’estero per la proposizione del gravame da parte del legale rappresentante dell’appellante (costituente atto di natura sostanziale e, in quanto tale, rientrante tra quelli per i quali la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con la legge n. 1253/1966, ha abolito l’obbligo della legalizzazione, assoggettandoli alla formalità della ‘apostille’) risultava autenticata da un notaio esercente in uno Stato aderente alla citata Convenzione (quale quello francese), ma era sprovvisto di ‘apostille’, requisito senza il quale non poteva essere riconosciuta alcuna efficacia all’atto pubblico straniero, che, pertanto, non era idoneo a tenere luogo di mandato alla lite. Oltretutto, aggiungeva la Corte veneta, l’autenticazione della firma apposta in calce al documento non consentiva a quest’ultimo l’equiparabilità ad una scrittura privata autenticata, poiché il notaio francese non aveva identificato il soggetto che l’aveva sottoscritta, né emergeva che la sottoscrizione fosse stata apposta in sua presenza.
Pertanto, versandosi in una ipotesi di inesistenza della procura alle liti (e non di nullità), non poteva trovare applicazione nemmeno il rimedio previsto dall’art. 182, comma 2, c.p.c., nella formulazione introdotta per effetto dell’art. 46, comma 2, della legge n. 69/2009.
Inoltre, il giudice di appello evidenziava che la procura conferita al difensore dell’appellante per il primo grado di giudizio non poteva sortire efficacia per quello di secondo grado, giacché l’autenticazione della firma del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE era stata effettuata da avvocato francese, il cui potere di certificazione dell’autografia della sottoscrizione del mandato non poteva che esplicarsi entro l’ambito territoriale di esercizio della professione forense (come già ritenuto dal Tribunale).
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito con distinti controricorsi (contenenti anche ricorsi incidentali) le intimate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
RICORSO PRINCIPALE
Con il primo motivo, la ricorrente principale denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in rubrica la violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 2017 (recte: 25 maggio 1987), ratificata dallo Stato italiano con legge del 24 aprile 1990, n. 106, prospettando l’erroneità della sentenza impugnata sul presupposto che, nel caso di specie, avrebbe dovuto trovare applicazione detta Convenzione, in virtù della quale gli Stati contraenti -fra i quali l’Italia e la Francia avevano convenuto che gli atti pubblici redatti sul territorio di uno Stato contraente, tra i quali ‘gli atti notarili’, sono esenti ‘da qualsiasi forma di legalizzazione o da qualsiasi altra formalità equivalente o analoga’ e, quindi, da ‘apostille’.
Sottolinea la citata ricorrente che il precedente di cui a Cass. n. 15073/2018 richiamato nella sentenza impugnata aveva ad oggetto una procura rilasciata nella Repubblica Dominicana e,
quindi, in un Paese che non aveva aderito alla suddetta Convenzione di Bruxelles.
Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 182 c.p.c. e ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, per non aver la Corte di appello -come era suo dovere – concesso termine ai sensi della menzionata norma per sanare il vizio della procura alle lite, in quanto da considerarsi nulla e non inesistente, come statuito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21689/2018 proprio con riferimento ad un caso di procura alle liti rilasciata all’estero senza autenticazione da parte di un pubblico ufficiale.
Con il terzo motivo, la ricorrente principale lamenta -avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 91 c.p.c. per essere stata ingiustamente condannata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore delle controparti.
Con il quarto motivo, la ricorrente principale prospetta -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115/2002 per illegittima imposizione a suo carico dell’ulteriore onere fiscale previsto da quest’ultima norma.
Con il quinto ed ultimo motivo, la ricorrente principale deduce -in ordine all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti, non avendo la Corte di appello esaminato i motivi posti a base del gravame, avendo accolto l’eccezione pregiudiziale ed assorbente di difetto di ‘ius postulandi’.
RICORSO INCIDENTALE di RAGIONE_SOCIALE
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la RAGIONE_SOCIALE denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. -la violazione degli artt. 324, 327 e 112 c.p.c., deducendo l’avvenuto passaggio in giudicato (pur non eccepito in secondo grado) della sentenza di primo grado per tardività -e quindi -inammissibilità dell’appello proposto avverso la stessa dalla RAGIONE_SOCIALE Infatti, tenendo presente che la sentenza del Tribunale di Vicenza era stata pubblicata il 23 luglio 2013 e che l’atto di appello era stato consegnato per la notifica il 4 dicembre 2014, il gravame si sarebbe dovuto considerare proposto oltre il termine previsto dall’art. 327 c.p.c., nel testo anteriore alla modifica intervenuta con la legge n. 69/2009, ‘ratione temporis’ applicabile nella fattispecie.
RICORSO INCIDENTALE di RAGIONE_SOCIALE COMPANY.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale (qualificato come condizionato rispetto al mancato accoglimento dell’eccezione pregiudiziale di giudicato) la citata controricorrente società deduce la stessa censura formulata dall’altra ricorrente incidentale.
ESAME PREGIUDIZIALE DEL COMUNE MOTIVO DEI RICORSI INCIDENTALI
Rileva il collegio che b isogna, ovviamente, prendere in considerazione in via pregiudiziale il comune motivo di ricorso incidentale proposto dalle società controricorrenti, anche se sarebbe stato sufficiente che la questione dell’inammissibilità dell’appello per tardività, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, fosse stata sollevata con apposita eccezione, peraltro anch’essa formulata dalle stesse società, che, solo prudenzialmente, hanno inteso
formalizzarla pure sotto forma di apposita doglianza di ricorso incidentale.
Oltretutto, è da rimarcare che la questione in discorso della possibile tardività dell’appello sarebbe stata comunque rilevabile anche d’ufficio nella presente sede di legittimità non essendo essa stata dibattuta davanti al giudice di secondo grado e non avendo formato oggetto di una sua pronuncia: ciò perché l’indagine sulla tempestività del gravame si risolve nell’accertamento di un presupposto processuale per la proseguibilità del giudizio, determinando la sua tardiva proposizione il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (cfr. Cass. n. 12794/2000; Cass. SU n. 16979/2019 e Cass. n.1654/2020).
1.1. Il motivo è fondato.
Infatti, sulla scorta della riscontrata successione temporale delle cadenze dipendenti dall’avvenuta pubblicazione della sentenza di primo grado in data 23 luglio 2013 e della proposizione dell’appello con consegna del relativo atto per la notificazione in data 4 dicembre 2014 (come attesta la stessa sentenza di appello: cfr. pag. 5, nonché che la medesima ricorrente principale nel contenuto del suo ricorso, oltre a risultare ex actis ), emerge che l’appello dell’attuale ricorrente principale era stato proposto oltre il termine di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c. nella versione ‘ratione temporis’ applicabile, ovvero in quella vigente anteriormente alla modifica di detta norma intervenuta ad opera dell’art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, applicabile ai giudizi introdotti dal 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore di detta legge), come quello di cui trattasi in cui il decreto ingiuntivo emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (avente sede in Francia) era stato a questa notificato il 19 novembre 2008
(criterio rilevante ai fini della determinazione della litispendenza ai sensi dell’art. 643, ultimo comma, c.p.c.), con la successiva notificazione di atto di citazione in opposizione ex art. 645 c.p.c. in data 7 gennaio 2009.
Invero, tenendo presente la suddetta data della pubblicazione della sentenza di primo grado (23 luglio 2013), computando il termine c.d. lungo di un anno (previsto dal precedente testo dell’art. 327 c.p.c.), con l’aggiunta del doppio intervallo temporale riconducibile alla duplice sospensione feriale dei termini processuali secondo la durata vigente nel 2013 e nel 2014 (46 gg. + 46 gg.), si perviene al risultato che il termine complessivo (di un anno e 92 gg.) -da computarsi applicandosi il criterio “ex nominatione dierum” (cfr ., tra le tante, Cass. n. 15029/2020 e Cass. n. 25570/2023) si era già consumato al momento della richiesta di notificazione dell’atto di appello, sopravvenuta il 4 dicembre 2014, essendo già scaduto il 21 ottobre 2014.
In definitiva, per le ragioni esposte, poiché l’appello avrebbe dovuto essere ritenuto tardivo e, quindi, inammissibile (con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado), per cui la causa non poteva essere proseguita in secondo grado, in applicazione dell’art. 382, comma 3, c.p.c., la sentenza di appello impugnata deve essere cassata senza rinvio.
A tale pronuncia consegue la condanna della ricorrente principale soccombente al pagamento -in favore di entrambe le controricorrenti-ricorrenti incidentali -sia delle spese del giudizio di appello che di quelle del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo (tenendo presente le distinte attività difensive esplicate dalle parti vittoriose e, in particolare, della circostanza che la società
RAGIONE_SOCIALE ha depositato anche memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna la ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della controricorrente-ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia, delle spese del giudizio di appello, liquidate in euro 2.700,00, oltre accessori di legge, nonché di quelle del giudizio di cassazione, quantificate in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge. Condanna, altresì, la stessa ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della controricorrentericorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di appello, liquidate in euro 2.700,00, oltre accessori di legge, nonché di quelle del giudizio di cassazione, quantificate in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione