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Superminimo società in house: quando è nullo?

La Cassazione ha stabilito la nullità del superminimo per un dirigente di una società in house, in quanto non previsto dalla contrattazione collettiva. Tale trattamento economico è illegittimo da quando la normativa pubblicistica è divenuta applicabile al rapporto di lavoro, con conseguente obbligo per il dirigente di restituire le somme indebitamente percepite da quella data.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Superminimo società in house: la Cassazione ne sancisce la nullità

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un tema di grande rilevanza nel diritto del lavoro pubblico: la legittimità del superminimo in una società in house. Questa pronuncia stabilisce un principio chiaro: i trattamenti economici aggiuntivi, non previsti dalla contrattazione collettiva, sono nulli per i dirigenti di società che operano come un’estensione della pubblica amministrazione. Analizziamo la vicenda e le motivazioni che hanno portato a questa importante decisione.

I fatti di causa

La controversia nasce dal rapporto di lavoro tra un dirigente e una società di servizi pubblici, interamente partecipata da un ente locale e qualificata come società in house. Il dirigente, assunto inizialmente nel 2008, percepiva un trattamento economico che includeva un cospicuo superminimo, pattuito individualmente in aggiunta alla retribuzione prevista dal contratto collettivo.

Nel 2013, a seguito di un intervento della Procura della Corte dei Conti, la società aveva iniziato a trattenere la quota del superminimo, ritenendola non dovuta. Il dirigente aveva quindi agito in giudizio per ottenere la restituzione delle somme trattenute. La Corte d’Appello gli aveva dato ragione, ritenendo illegittima la decurtazione. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la nullità della clausola contrattuale relativa al superminimo, in quanto contrastante con le norme sul contenimento della spesa pubblica applicabili alle società in house.

La questione giuridica: il superminimo nelle società in house

Il cuore della questione risiede nella natura delle società in house providing. Queste entità, sebbene abbiano forma societaria, sono considerate dalla giurisprudenza come una longa manus (un braccio operativo) della pubblica amministrazione. Di conseguenza, sono soggette a molte delle normative di diritto pubblico, in particolare quelle relative al reclutamento del personale e al contenimento dei costi.

Il D.L. n. 112 del 2008 ha esteso a queste società i vincoli previsti per le pubbliche amministrazioni, imponendo l’adeguamento delle politiche del personale ai principi di contenimento degli oneri contrattuali. Questo implica che la retribuzione dei dipendenti e dirigenti non può superare i limiti fissati dalla contrattazione collettiva, escludendo la possibilità di pattuire individualmente trattamenti economici migliorativi come il superminimo.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, ribaltando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno chiarito che il giudice di secondo grado aveva errato nel fondare la propria decisione esclusivamente sull’esito del procedimento contabile, omettendo di valutare la questione centrale della nullità della pattuizione del superminimo.

La Cassazione ha operato una distinzione temporale cruciale:
1. Fase iniziale del rapporto (dal 2008): Al momento dell’assunzione, la disciplina pubblicistica non era ancora pienamente applicabile. In quella fase, la pattuizione del superminimo era legittima secondo le regole del diritto privato.
2. Fase successiva (dal 1° luglio 2013): A partire da questa data, con la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e il consolidamento della natura di società in house soggetta alla normativa pubblicistica, la clausola sul superminimo è diventata nulla. La legge (in particolare l’art. 18, comma 2-bis, del D.L. 112/2008) imponeva infatti di allineare la retribuzione a quanto previsto dalla sola contrattazione collettiva, vietando erogazioni ad personam.

La nullità del trattamento economico superiore a quello previsto dal CCNL ha quindi un effetto retroattivo limitato al momento in cui la normativa vincolistica è divenuta applicabile al rapporto di lavoro.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda del dirigente. Inoltre, ha parzialmente accolto la domanda riconvenzionale della società, condannando il dirigente a restituire tutte le somme percepite a titolo di superminimo a decorrere dal 1° luglio 2013.

Questa sentenza consolida un principio fondamentale: i dirigenti e i dipendenti delle società in house sono equiparati, per quanto riguarda il trattamento economico, ai dipendenti pubblici. Non è possibile derogare ai limiti imposti dalla contrattazione collettiva attraverso accordi individuali, neanche se migliorativi. La sentenza rappresenta un monito per le società partecipate e un chiarimento definitivo sulla portata dei vincoli di spesa pubblica nel contesto del lavoro alle dipendenze di enti strumentali della P.A.

È legittimo un superminimo per un dirigente di una società in house?
No, non è legittimo se il rapporto di lavoro è disciplinato da norme di diritto pubblico. La retribuzione deve essere conforme a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, senza trattamenti economici aggiuntivi individuali, dal momento in cui tali norme diventano applicabili.

Da quando il superminimo diventa illegittimo se una società diventa in house dopo l’assunzione del dirigente?
Diventa illegittimo dal momento in cui le norme pubblicistiche sul contenimento della spesa e sulla retribuzione diventano applicabili al rapporto di lavoro, come nel caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato avvenuta quando la società era già pacificamente in house.

Il dirigente deve restituire il superminimo percepito?
Sì, ma solo le somme percepite dal momento in cui la pattuizione è diventata nulla per contrasto con la normativa sopravvenuta. Nel caso specifico, il dirigente ha dovuto restituire il superminimo percepito a decorrere dal 1° luglio 2013.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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