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Superminimo: quando può essere eliminato? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un superminimo non assorbibile, concesso per compensare differenze retributive dopo un trasferimento d’azienda e derivante da un accordo collettivo, può essere legittimamente eliminato se tale accordo viene disdettato. La tutela dell’art. 2112 c.c. non congela le condizioni retributive per sempre, ma le protegge solo al momento del trasferimento. Le successive dinamiche della contrattazione collettiva possono modificare o rimuovere tali voci retributive.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Superminimo: può essere rimosso dopo un trasferimento d’azienda?

Il superminimo in busta paga è una voce retributiva che spesso genera dubbi, specialmente quando interviene un trasferimento d’azienda. Un emolumento aggiuntivo, definito ‘non assorbibile’, può essere considerato un diritto acquisito per sempre? Con l’ordinanza n. 18941/2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiarimento, stabilendo che la sua sopravvivenza è strettamente legata alla fonte che lo ha generato. Analizziamo insieme questa decisione cruciale.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un gruppo di lavoratrici dipendenti di una società di servizi. Molti anni prima, a seguito di un trasferimento di ramo d’azienda, era stato loro riconosciuto un superminimo non assorbibile. Questo importo aveva lo scopo di colmare la differenza tra il trattamento retributivo precedentemente goduto e quello, meno favorevole, previsto dal nuovo contratto collettivo applicato dall’azienda cessionaria.

Questo trattamento di favore, formalizzato in un ‘Accordo di Salvaguardia’ e successivamente recepito in un accordo integrativo aziendale, è stato corrisposto per oltre vent’anni. Tuttavia, nel 2018, la società ha comunicato la disdetta formale di tutti gli accordi integrativi, con effetto dal 2020. A partire da quella data, il superminimo è stato eliminato dalle buste paga delle lavoratrici, che hanno quindi agito in giudizio per ottenerne il ripristino.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Superminimo

La Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva dato ragione all’azienda, revocando i decreti ingiuntivi ottenuti dalle lavoratrici. Queste ultime hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo principalmente sulla presunta violazione dell’art. 2112 c.c. (trasferimento d’azienda) e dell’art. 2103 c.c. (principio di irriducibilità della retribuzione).

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando la legittimità della decisione dell’azienda. Gli Ermellini hanno chiarito che la tutela offerta ai lavoratori in caso di trasferimento d’azienda non è assoluta e illimitata nel tempo, e che le voci retributive di fonte collettiva seguono il destino del contratto che le ha previste.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Cassazione si fonda su tre pilastri argomentativi fondamentali.

L’applicazione dell’art. 2112 c.c. e i limiti della tutela

La Corte ha ribadito, in linea con la giurisprudenza nazionale ed europea, che l’art. 2112 c.c. mira a proteggere i lavoratori da un peggioramento delle condizioni lavorative che sia conseguenza diretta e immediata del trasferimento. La norma impedisce che il lavoratore subisca una decurtazione retributiva al momento della cessione e per il solo fatto della cessione.

Tuttavia, questo non significa ‘congelare’ per sempre le condizioni economiche derivanti dal contratto collettivo del cedente. La vita del rapporto di lavoro prosegue e rimane soggetta alle dinamiche della contrattazione collettiva. Se il contratto collettivo che prevedeva un certo trattamento viene a scadenza o, come in questo caso, viene legittimamente disdettato, le clausole in esso contenute cessano di avere effetto. Nel caso specifico, il trattamento di favore era stato mantenuto per oltre vent’anni, dimostrando che non vi era stata alcuna penalizzazione immediata legata al trasferimento.

La natura collettiva del superminimo

Un punto cruciale della motivazione è la distinzione tra superminimo di natura individuale e quello di natura collettiva. Un superminimo individuale, pattuito direttamente tra lavoratore e datore di lavoro per riconoscere specifiche qualità professionali o mansioni, si incorpora nel contratto individuale e diventa un diritto acquisito, insensibile alle vicende della contrattazione collettiva.

Nel caso di specie, invece, il superminimo era nato da un accordo collettivo (‘Accordo di Salvaguardia’) stipulato tra l’azienda e le rappresentanze sindacali. Esso non era legato alle qualità personali delle lavoratrici, ma aveva la funzione di compensare una differenza tra due contratti collettivi. Essendo la sua fonte un accordo collettivo, la sua esistenza è rimasta legata a quella dell’accordo stesso. Una volta che l’accordo è stato legittimamente disdettato, anche il diritto da esso derivante è venuto meno.

L’inapplicabilità del principio di irriducibilità

Le ricorrenti avevano invocato anche la violazione del principio di irriducibilità della retribuzione (art. 2103 c.c.). La Corte ha respinto anche questa doglianza, chiarendo che tale principio protegge il patrimonio retributivo del lavoratore da modifiche unilaterali del datore di lavoro, ma non può impedire gli effetti di una modifica in peius (peggiorativa) derivante da una fonte collettiva. Poiché il superminimo era di origine collettiva, la sua eliminazione, a seguito della cessazione del contratto che lo prevedeva, non costituisce una violazione di tale principio.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre un’importante lezione pratica: le tutele nel diritto del lavoro, anche quelle fondamentali come la protezione in caso di trasferimento d’azienda, devono essere contestualizzate. Il superminimo non è un diritto intoccabile a prescindere dalla sua origine. Se nasce da un accordo collettivo, la sua sorte è legata a quella dell’accordo. La disdetta o la scadenza di un contratto collettivo può legittimamente portare alla cessazione delle voci retributive in esso contenute, senza che ciò violi né la tutela dell’art. 2112 c.c. né il principio di irriducibilità della retribuzione.

Un superminimo non assorbibile, nato da un accordo collettivo in seguito a un trasferimento d’azienda, può essere eliminato in futuro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se il superminimo ha origine da un contratto collettivo, la sua esistenza è legata a quella del contratto stesso. Se il contratto collettivo viene legittimamente disdettato o scade, anche il superminimo può essere eliminato, in quanto non si incorpora nel contratto individuale come diritto acquisito in modo permanente.

La tutela per i lavoratori in caso di trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.) è illimitata nel tempo?
No. La tutela prevista dall’art. 2112 c.c. vieta un peggioramento delle condizioni retributive al momento del trasferimento e per il solo fatto del trasferimento. Non impedisce, tuttavia, che la retribuzione dei lavoratori trasferiti possa essere successivamente influenzata dalle normali dinamiche contrattuali, come la scadenza o la modifica dei contratti collettivi.

L’eliminazione di un superminimo di origine collettiva viola il principio di irriducibilità della retribuzione (art. 2103 c.c.)?
No. La Corte ha stabilito che il principio di irriducibilità della retribuzione non impedisce la modifica o l’eliminazione di voci retributive la cui fonte è un contratto collettivo, qualora tale contratto venga legittimamente modificato o cessi di avere efficacia. Il trattamento retributivo derivante da fonte collettiva resta esterno al contratto individuale e può essere modificato, anche in senso peggiorativo, da successivi contratti collettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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