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Superminimo non assorbibile: si può eliminare?

La Corte di Cassazione ha stabilito che un superminimo non assorbibile, se istituito tramite un accordo collettivo, può essere legittimamente eliminato qualora tale accordo venga disdettato dall’azienda. Il caso analizzato riguarda dei lavoratori che, a seguito di un trasferimento d’azienda, avevano ottenuto un emolumento per compensare la differenza retributiva. La Corte ha chiarito che le tutele previste per il trasferimento d’azienda non impediscono le successive modifiche derivanti dalla dinamica della contrattazione collettiva.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Superminimo non assorbibile: la Cassazione chiarisce quando può essere eliminato

Il superminimo non assorbibile rappresenta una delle voci più delicate e discusse della busta paga. Si tratta di un importo aggiuntivo che, per sua natura, non dovrebbe essere eroso dagli aumenti contrattuali futuri. Ma cosa succede se questo beneficio non deriva da un patto individuale ma da un accordo collettivo che viene poi a cessare? Con l’ordinanza n. 18936 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiave di lettura, stabilendo che la sua sopravvivenza è strettamente legata alla vigenza della fonte collettiva che lo ha generato.

I Fatti del Caso: dal Trasferimento d’Azienda alla Disdetta dell’Accordo

La vicenda trae origine da un trasferimento di ramo d’azienda avvenuto molti anni fa. Alcuni dipendenti di un’organizzazione sindacale passarono alle dipendenze di una nuova società di servizi. Questo passaggio comportò l’applicazione di un nuovo e diverso Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), quello del settore terziario, che prevedeva un trattamento economico meno favorevole.

Per colmare questa differenza e salvaguardare il livello retributivo dei lavoratori trasferiti, le parti sociali stipularono un accordo specifico, denominato “Accordo di Salvaguardia”. Questo accordo istituì un “superminimo non assorbibile” pari esattamente alla differenza tra la vecchia e la nuova retribuzione. Tale condizione di favore fu poi recepita in successivi accordi integrativi aziendali.

Dopo oltre vent’anni, la società cessionaria ha comunicato alle organizzazioni sindacali la formale disdetta di tutti gli accordi integrativi in essere. Di conseguenza, a partire da maggio 2020, il superminimo è stato cancellato dalla busta paga dei lavoratori interessati.

La Decisione della Corte: Legittima la Rimozione del Superminimo da Fonte Collettiva

I lavoratori si sono opposti a questa decisione, ottenendo in primo grado un decreto ingiuntivo per il pagamento delle somme non corrisposte. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, dando ragione all’azienda. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha confermato la sentenza d’appello e respinto il ricorso dei dipendenti.

Il fulcro della decisione risiede nella natura dell’emolumento. La Corte ha stabilito che, essendo il superminimo non assorbibile nato da un accordo collettivo (l’Accordo di Salvaguardia), la sua esistenza era indissolubilmente legata a quella dell’accordo stesso. Una volta che l’accordo è stato legittimamente disdettato, anche gli effetti da esso prodotti, incluso il superminimo, sono venuti meno.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha basato il proprio ragionamento su alcuni principi cardine del diritto del lavoro.

Il primo riguarda la distinzione fondamentale tra le fonti della retribuzione. Un conto è un superminimo concesso ad personam, per specifiche qualità professionali del singolo lavoratore, che si incorpora nel contratto individuale e diventa un diritto quesito insensibile alle vicende della contrattazione collettiva. Altro conto è un emolumento, come quello in esame, che nasce e vive all’interno di una cornice collettiva per tutelare una generalità di lavoratori in una specifica situazione (in questo caso, un trasferimento d’azienda).

In secondo luogo, la Corte ha affrontato il tema dell’art. 2112 c.c. sul trasferimento d’azienda. I giudici hanno ribadito, in linea con la giurisprudenza nazionale ed europea, che questa norma garantisce la continuità delle condizioni di lavoro al momento del trasferimento, ma non le “congela” per sempre. Non impedisce, cioè, che la retribuzione dei lavoratori trasferiti possa essere successivamente influenzata dalle normali dinamiche contrattuali, come l’applicazione di un nuovo contratto collettivo o la disdetta di accordi preesistenti. Nella fattispecie, il trattamento di favore era stato mantenuto per oltre vent’anni, ben oltre la fase transitoria del trasferimento.

Infine, è stata ritenuta infondata anche la presunta violazione del principio di irriducibilità della retribuzione (art. 2103 c.c.). La Cassazione ha chiarito che tale principio non osta a modifiche in peius (peggiorative) derivanti da una successione di contratti collettivi. La retribuzione è “irriducibile” rispetto ad atti unilaterali del datore di lavoro, ma non è intangibile rispetto alle vicende della contrattazione tra le parti sociali.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per lavoratori e aziende. Essa chiarisce che le voci retributive derivanti da accordi collettivi, anche se definite “non assorbibili”, non sono diritti acquisiti per sempre. La loro durata è legata alla vigenza della fonte che le ha generate. La disdetta di un accordo integrativo aziendale o di salvaguardia è un atto legittimo che può portare alla cessazione dei benefici in esso contenuti. Per i lavoratori, diventa cruciale comprendere l’origine di ogni componente del proprio stipendio per valutarne la stabilità nel tempo; per le aziende, si conferma la possibilità di gestire e modificare, attraverso il dialogo con le parti sociali, i trattamenti economici collettivi al variare delle condizioni aziendali.

Un “superminimo non assorbibile” previsto da un accordo collettivo può essere eliminato?
Sì, può essere eliminato se l’accordo collettivo che lo ha istituito viene legittimamente disdettato o scade. La sua esistenza è legata a quella della fonte collettiva che lo prevede e non si incorpora in modo permanente nel contratto individuale.

Dopo un trasferimento d’azienda, il nuovo datore di lavoro è obbligato a mantenere per sempre le condizioni del contratto collettivo precedente?
No. L’art. 2112 c.c. e la normativa europea garantiscono il mantenimento delle condizioni al momento del trasferimento, ma non impediscono che, successivamente, si applichi il contratto collettivo del nuovo datore o che gli accordi preesistenti vengano modificati o disdettati secondo le regole della contrattazione collettiva.

La rimozione di un superminimo di origine collettiva viola il principio di irriducibilità della retribuzione?
No. Secondo la Corte, il principio di irriducibilità non impedisce che voci retributive di fonte collettiva vengano modificate o soppresse in seguito a mutamenti della contrattazione collettiva. Il principio protegge la retribuzione da modifiche unilaterali del datore di lavoro, non dalle dinamiche della negoziazione tra le parti sociali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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