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Successione di contratti: computo dei 36 mesi

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini del calcolo del limite massimo di 36 mesi per la successione di contratti, devono essere sommati anche i periodi di lavoro svolti con contratti a progetto, qualora questi vengano giudizialmente riqualificati come rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato. La Corte ha sottolineato che prevale la sostanza del rapporto lavorativo sulla forma contrattuale adottata, al fine di prevenire l’abuso di contratti precari.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Successione di Contratti: Anche il Lavoro a Progetto Riqualificato Conta nel Limite dei 36 Mesi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: la successione di contratti e il calcolo del limite massimo di durata di 36 mesi. La decisione chiarisce che, una volta accertata la natura subordinata di precedenti contratti a progetto, i relativi periodi devono essere sommati a quelli dei successivi contratti a termine, con importanti conseguenze per la stabilità del rapporto di lavoro.

I Fatti di Causa: Dalla Collaborazione a Progetto al Lavoro a Termine

Il caso riguarda un lavoratore che aveva stipulato con un’associazione, senza soluzione di continuità, diversi contratti. Inizialmente, si trattava di due contratti di lavoro a progetto. Successivamente, il rapporto era proseguito con una serie di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.
Il lavoratore si è rivolto al Tribunale chiedendo di accertare la natura subordinata dei contratti a progetto per assenza di uno specifico progetto e, di conseguenza, di dichiarare la nullità del termine apposto ai successivi contratti per superamento della durata complessiva di 36 mesi, con la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

L’Iter Giudiziario e le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale, in primo grado, aveva parzialmente accolto il ricorso: aveva riqualificato i contratti a progetto in rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, condannando l’associazione al pagamento delle differenze retributive. Tuttavia, aveva rigettato la domanda di conversione del rapporto, sostenendo che non fosse possibile sommare la durata dei contratti a progetto (seppur riqualificati) con quella dei successivi contratti a termine, in quanto appartenenti a tipologie contrattuali diverse e soggette a discipline differenti. La Corte d’Appello aveva confermato questa impostazione, respingendo l’appello del lavoratore.

La Successione di Contratti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso del lavoratore. Il punto centrale della controversia era se, ai fini del calcolo del limite massimo di 36 mesi previsto dalla legge per la successione di contratti a termine, si dovessero considerare anche i periodi lavorativi svolti sulla base di contratti a progetto giudizialmente accertati come rapporti di lavoro subordinato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha affermato che la normativa che pone un limite massimo alla durata dei rapporti a termine (prima l’art. 5 del D.Lgs. 368/2001, poi l’art. 19 del D.Lgs. 81/2015) ha lo scopo di prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti precari per soddisfare esigenze lavorative stabili. La ratio della legge è proteggere il lavoratore dalla precarietà ingiustificata.
Per questo motivo, ciò che rileva non è il nomen iuris (cioè il nome formale dato al contratto), ma la sostanza del rapporto. Se un giudice accerta che un contratto, formalmente ‘a progetto’, era in realtà un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, quel periodo di lavoro deve essere considerato a tutti gli effetti come tale. I giudici di merito avevano accertato che l’attività lavorativa era proseguita con caratteristiche sostanzialmente immutate per tutta la durata dei rapporti. Pertanto, i contratti a progetto riqualificati dovevano essere trattati come contratti di lavoro subordinato a tempo determinato e la loro durata cumulata con quella dei contratti successivi. Poiché l’attività svolta era la medesima, per mansioni equivalenti, si configurava una successione di contratti che, superando il limite legale, comportava la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato.

Conclusioni: L’Importanza della Sostanza sulla Forma Contrattuale

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel diritto del lavoro, la realtà effettiva del rapporto prevale sulla qualificazione formale data dalle parti. La finalità anti-abuso della normativa sui contratti a termine impone di considerare l’intera durata del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le stesse parti per mansioni equivalenti, indipendentemente dal tipo di contratto formalmente utilizzato. Di conseguenza, anche i periodi di lavoro svolti sotto un contratto a progetto, se di fatto subordinati, contribuiscono al raggiungimento del limite massimo di 36 mesi, oltre il quale il rapporto di lavoro deve essere considerato a tempo indeterminato.

I contratti a progetto, se riqualificati come lavoro subordinato, si contano nel limite dei 36 mesi per la successione di contratti a termine?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, una volta accertata giudizialmente la natura di lavoro subordinato a tempo determinato di un contratto a progetto, la sua durata deve essere sommata a quella dei successivi contratti a termine ai fini del calcolo del limite massimo di 36 mesi.

Cosa prevale nel calcolo della durata massima dei contratti a termine: la forma o la sostanza del rapporto?
Prevale la sostanza. La Corte ha chiarito che, per prevenire l’abuso di contratti precari, si deve guardare alla reale natura dell’attività lavorativa svolta e non al nome formale (nomen iuris) dato al contratto. Se l’attività è di natura subordinata e le mansioni sono equivalenti, i periodi si sommano.

Qual è lo scopo del limite massimo di 36 mesi per la successione di contratti a termine?
Lo scopo è quello di prevenire il rischio che un datore di lavoro utilizzi una serie di contratti a termine per coprire esigenze lavorative stabili e durature, abusando della flessibilità e mantenendo il lavoratore in uno stato di precarietà. La norma mira a garantire che il contratto a tempo indeterminato sia la forma comune di rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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