Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17550 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17550 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
Oggetto
a
–
–
a
–
–
Successione di
contratti
termine
Superamento
del
termine
massimo di 36
mesi
Contratti
di
lavoro
progetto
non
convertiti
Rilevanza
Fondamento
ORDINANZA
R.G.N. 17114/2022
COGNOME
sul ricorso 17114-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
Rep.
Ud. 27/05/2025
CC
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI E DELLE REGIONI D’EUROPA – DELLA TOSCANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 18/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/03/2022 R.G.N. 667/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. Con ricorso innanzi il Tribunale di Firenze NOME COGNOME aveva allegato di aver stipulato con la RAGIONE_SOCIALE, senza soluzione di continuità, dapprima contratti di lavoro a progetto (contratto a progetto del 18 aprile 2011, della durata di 9 mesi; contratto a progetto del 1° gennaio 2012) e poi contratti di lavoro subordinato a termine (contratto a termine del 28 dicembre 2012, per la durata di un anno dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2013, prorogato di un altro anno, sino al 31 dicembre 2014; contratto a termine del 22 gennaio 2015 per la durata dal 2 febbraio 2015 al 31 luglio 2015, senza indicazione di causale; contratto a termine del 16 settembre 2015 per il periodo dal 23 settembre 2015 al 22 marzo 2016) ed aveva chiesto di accertare che il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa fosse considerato rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato sin dalla data di costituzione per assenza di specifico progetto ai sensi dell’art. 61 n. 1 d.lgs. 276/2003 e comunque per aver egli svolto la prestazione lavorativa con le modalità della subordinazione ai sensi del co. 2 del medesimo art. 61, e, previo riconoscimento dell’inquadramento al livello III del ccnl Commercio e Terziario, condannare la convenuta al pagamento delle differenze retributive spettanti, pari ad € 14.525,17 di cui € 2.591,79 a titolo di trattamento di fine rapporto. Quanto ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, il ricorrente aveva chiesto di accertare la nullità del termine apposto per difetto di causale e in ogni caso per superamento della durata complessiva di 36 mesi nella successione di contratti, con conversione in rapporto a tempo indeterminato dal 28 dicembre 2012 ovvero dalla data di superamento del trentaseiesimo mese, e ordinare alla convenuta la riammissione
in servizio del ricorrente con condanna della datrice di lavoro al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 414/2020, pubblicata il 20 luglio 2020 il Tribunale di Firenze, in parziale accoglimento del ricorso, accertava che tra NOME COGNOME e A.I.C.C.R.E. Toscana era intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 18/04/2011 al 31/12/2012, con orario di lavoro di 24 ore settimanali, con qualifica di impiegato da inquadrarsi al III livello del CCNL Commercio e terziario e condannava A.I.C.C.R.E. Toscana al pagamento delle differenze retributive determinate nella somma di € 14.525,17 di cui € 2.591,79 a titolo di TFR. Rigettava, invece, la domanda relativa ai contratti di lavoro subordinato a termine non essendo stato superata la durata massima di 36 mesi in considerazione dell’impossibilità di sommare alla durata dei contratti a termine quella dei precedenti contratti a progetto, trattandosi di tipologie contrattuali diverse, sottoposti a diverse discipline.
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 18/2022 pubblicata il 24.3.2022, rigettava sia l’appello principale proposto dal lavoratore che quello incidentale proposto dalla Associazione, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a due motivi.
La AICCRE Toscana ha replicato con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso il COGNOME deduce, ex art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 61, co. 1 ,
del d.lgs. n. 276 del 2003 per essersi limitata la Corte d’appello ad accertare la natura subordinata del rapporto, senza, tuttavia, accertare e dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto nonostante la ritenuta carenza nell’individuazione di uno specifico progetto. Ad avviso del ricorrente la sentenza di appello è incorsa nella violazione suddetta per aver ritenuto, confermando quanto deciso in primo grado, che, nonostante l’accoglimento della domanda del ricorrente avente per oggetto l’applicazione dell’art. 61, co. 1 del d.lgs n. 276 del 2003, non dovessero trarsi le conseguenze giuridiche previste da questa disposizione in termini di conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto, oltre alla conversione in rapporto di lavoro di natura subordinata. Riportava le conclusioni del ricorso di primo grado ove chiedeva di ‘ accertare e dichiarare che il rapporto di lavoro inter partes, formalizzato con contratto di lavoro a progetto del 18 aprile 2011, della durata di 9 mesi dal 18 aprile 2011 al 31 dicembre 2011 e, con successivo contratto a progetto del 1 gennaio 2012, della durata di 12 mesi dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2012, è carente di uno specifico progetto ai sensi dell’art. 61, primo comma, del d. lgs n. 276 del 2003 e, per l’effetto, accertare e dichiarare l’esistenza di rapporti di lavoro a tempo (in) determinato sin dalla data di costituzione dei rapporti ‘ evidenziando che l’uso del termine ‘determinato’ anziché ‘indeterminato’ nelle suddette conclusioni era ‘chiaramente frutto di un refuso’. La Corte fiorentina, dunque, avrebbe errato nel ritenere che, stante la mancata individuazione di uno specifico progetto e il conseguente accertamento di un rapporto di lavoro di natura
subordinata, il rapporto inter partes non dovesse considerarsi a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione.
2. Con il secondo motivo di ricorso il COGNOME deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs n. 81 del 2015, per non aver disposto la conversione del rapporto a tempo indeterminato per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni del medesimo livello e categoria legale, di natura subordinata e ritenuti a tempo determinato, intercorsi con lo stesso datore di lavoro, per una durata complessiva che supera i trentasei mesi. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che i contratti di lavoro a progetto, pur non convertiti, non potevano sommarsi a quelli a termine successivamente stipulati ai fini della valutazione del superamento del termine massimo di 36 mesi. Evidenzia che la stessa sentenza di primo grado aveva qualificato i contratti a progetto come rapporti di lavoro subordinato a termine (avendo ‘accertato che tra NOME COGNOME e ARAGIONE_SOCIALE Toscana è intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 18/04/2011 al 31/12/2012, per 24 ore settimanali, con qualifica di impiegato da inquadrarsi al III livello del CCNL Commercio e terziario’) soggetti, dunque alla medesima disciplina dei contratti di lavoro subordinato a termine successivamente stipulati. In sostanza, la continuità e uniformità dell’intero rapporto intercorso tra le parti si traduce in una successione di contratti a termine, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, per la durata complessiva di 56 mesi, con le conseguenze di cui all’art. 19 D. Lgs. n. 81/2015.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile stante l’estraneità della censura all’ambito di applicazione del numero 3 dell’articolo 360 c.p.c., giacché essa non pone in discussione il significato e la portata applicativa della disposizione richiamata in rubrica, bensì la concreta applicazione che il Giudice di merito ne ha fatto. Il motivo, inoltre, non si confronta con la ratio decidendi della sentenza di secondo grado. La Corte d’appello ha, infatti, motivato il rigetto dell’appello – in ordine alla mancata conversione del rapporto di lavoro scaturente da un contratto a progetto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pur in assenza di un progetto – sulla base della considerazione che il Tribunale in primo grado aveva accolto la domanda del lavoratore ‘sì come proposta’. Sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno, infatti, interpretato la domanda del lavoratore come volta ad ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la condanna al pagamento delle differenze retributive ma non anche l’accertamento di un rapporto a tempo indeterminato, avendo concluso nel senso che, previa declaratoria dell’esistenza ‘di rapporti di lavoro a tempo determinato’ la datrice di lavoro fosse condannata al pagamento delle differenze retributive conseguenti anche a titolo di TFR. Che tale fosse il contenuto della domanda la Corte territoriale lo desume altresì dal rilievo che, nel contestare la legittimità dei successivi contratti di lavoro subordinato a termine, il ricorrente avesse chiesto accertarsi la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ‘dal 28 dicembre 2012’, ossia dal primo dei predetti contratti a termine.
3.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata,
comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, co. 1, n. 4, cod. proc. civ., non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sostengono la sentenza sottoposta ad impugnazione (Cass. 31/08/2015, n. 17330; Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 9/04/2024, n. 9450).
3.2. Il motivo, inoltre, risulta in realtà diretto a ribaltare l’interpretazione della domanda, come volta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per insussistenza di un progetto senza considerare che tale interpretazione rientra nel compito del giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere sindacato in Cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione entro i limiti in cui il sindacato della motivazione è tuttora consentito, e cioè nell’ipotesi in cui essa non soddisfi il requisito del «minimo costituzionale» (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053). Nel caso in esame, peraltro, il ricorso non censura né solleva alcun vizio in relazione all’interpretazione della domanda ed alla valutazione effettuata dalla Corte di appello.
Il secondo motivo è, invece, fondato. È opportuno ribadire, per una migliore comprensione della vicenda in esame, alcuni dati di fatto e le modifiche avvenute circa la normativa in materia.
4.1. In punto di fatto è stato accertato che tra il Bozzi e l’A.I.C.C.R.E. Toscana sono intervenuti, in successione e senza soluzione di continuità, due contratti di lavoro a progetto (il primo del 18 aprile 2011 della durata di 9 mesi dal 18 aprile 2011 al 31 dicembre 2011 e, il secondo del 1 gennaio 2012,
della durata di 12 mesi dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2012) e tre contratti di lavoro subordinato a termine (contratto stipulato il 28/12/2012, con durata dal 01/01/2013 al 31/12/2013, prorogato sino al 31/12/2014 (2 anni), contratto stipulato il 22/01/2015, con durata dal 02/02/2015 al 31/07/2015 (6 mesi); contratto stipulato il 16/09/2015 con durata dal 23/09/2015 al 22/03/2016 (6 mesi)).
4.3. In punto di diritto, si osserva che l’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo in vigore fino al 24 giugno 2015, regolava le conseguenze della prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine apposto dalle parti al relativo contratto e disponeva, nella parte qui di interesse, al co. 1 che ‘ Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore ‘, al co. 2 che ‘ Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini ‘. Il co. 4 bis dell’art. 5 disponeva, per quel che qui maggiormente interessa, che ‘ Ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo
svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2 ‘. In seguito, l’art. 19, ai commi 1 e 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 ha previsto che: ‘ Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a trentasei mesi. Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, co. 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i trentasei mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento ‘.
4.4. Alla data della stipula del primo contratto a progetto ed anche del primo contratto di lavoro subordinato a termine, dunque, l’art. 5 del d.lgs. 368/2001 prevedeva la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ogni ipotesi di ‘successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti’ ‘fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso
lavoratore’ che avesse determinato il superamento del termine massimo di trentasei mesi e, facendo riferimento generico, nei suoi commi 1 e 2, ai concetti di “contratti di durata” e di “rapporto di lavoro”, lasciava intendere che andassero considerate indistintamente tutte le riassunzioni a termine (in tal senso si vd. Cass. n. 32154 del 2021). L’art. 19 del d.lgs. 81/2015, d’altra parte, riferisce il superamento del termine massimo di 36 mesi alla più ampia ipotesi di ‘successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale’.
4.5. La disciplina, sia quella dell’art. 5 del d.lgs 368/2001 che, ancor più, quella dell’art. 19 d.lgs. 81/2015, deve, dunque, essere intesa nel senso che la precarietà nel rapporto di lavoro subordinato non può durare più di trentasei mesi. La ratio della previsione del limite massimo oltre il quale l’utilizzo del rapporto a termine assume la connotazione abusiva va individuata, in chiara attuazione della clausola 5) lett. b) dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nella finalità di prevenire il rischio che, attraverso la successione di contratti o rapporti, il medesimo lavoratore continui ad essere utilizzato rispetto ad esigenze che fuoriescono dal paradigma della temporaneità (Cfr. Cass. n. 10571 del 18/04/2024). Come questa Corte ha già osservato (la citata Cass. 10571/2024), infatti, ‘ai fini dell’interpretazione teleologica della clausola 5 e, più in generale, della conformità dell’ordinamento interno alle finalità perseguite dall’accordo quadro e dalla direttiva cui lo stesso è allegato, è centrale il concetto della medesima occasione lavorativa, espresso nell’art. 5, comma 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 con la locuzione ‘mansione equivalente”. Non assume, pertanto, rilievo la modalità attraverso cui si perviene alla
stipula del contratto a termine bensì la posizione e l’attività lavorativa per la quale si fa ricorso alla flessibilità: se essa, al di là del nomen iuris utilizzato, presenta le medesime caratteristiche, per mansioni, modalità di espletamento, inserimento nell’organizzazione, etc., trova applicazione il limite massimo; se, invece, l’attività lavorativa si connota in maniera effettivamente differente, tanto da corrispondere anche ad esigenze differenti dal datore di lavoro, viene a mancare la stessa ratio di prevenzione dell’abuso, dovendosi comunque adottare un’interpretazione che non comporti la pratica diluizione del limite attraverso formule che valgano a differenziare la mansione solo sul piano formale ma non su quello sostanziale.
4.6. Tutto ciò premesso, va rilevato che nella specie, la Corte di merito ha accertato – con statuizione non censurata e, dunque, passata in giudicato – da un lato, che, per ammissione della stessa datrice di lavoro ‘l’attività svolta dal ricorrente entro la cornice dei formali contratti a progetto proseguita con caratteristiche sostanzialmente immutate durante la vigenza dei contratti a tempo determinato’ e, dall’altro, che tra NOME COGNOME e l’A.I.C.C.R.E. Toscana è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato dal 18 aprile 2011 al 31 dicembre 2012, tanto che ha riconosciuto la spettanza di € 2.591,79 a titolo di TFR.
5. Atteso, dunque, che anche i contratti a progetto stipulati dalle parti, in considerazione dell’accertamento, passato in giudicato, svolto dai giudici di merito, vanno considerati come contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, di essi si deve tener conto ai fini dell’eventuale superamento del termine triennale di cui all’art. 5 del d.lgs. 368/2001, ratione temporis applicabile.
Conclusivamente va dichiarato inammissibile il primo motivo e, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e accoglie per quanto di ragione il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, alla quale demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 27 maggio 2025.
Il Presidente dott. NOME COGNOME