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Successione contratti a termine: quando scatta l’assunzione

Un lavoratore, dopo una serie di contratti a termine diretti con un’azienda, prosegue il rapporto tramite un’agenzia di somministrazione, superando i 12 mesi totali. Il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità di tale pratica, disponendo la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato con l’azienda utilizzatrice. La sentenza analizza la successione contratti a termine, stabilendo che il superamento dei limiti di durata senza una valida causale comporta la stabilizzazione del lavoratore, oltre al riconoscimento di un inquadramento superiore e delle relative differenze retributive.

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Pubblicato il 11 gennaio 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Successione Contratti a Termine: Limiti e Conseguenze secondo il Tribunale

La gestione dei rapporti di lavoro flessibili è un tema cruciale per le aziende, ma nasconde insidie che possono portare a conseguenze significative. Una recente sentenza del Tribunale di Milano ha fatto luce sulla successione contratti a termine, includendo anche i periodi di lavoro in somministrazione, chiarendo quando questa pratica diventa illegittima e porta alla conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Questo caso offre spunti fondamentali per lavoratori e datori di lavoro del settore logistico e non solo.

I Fatti del Caso: una Catena di Contratti Precari

Il caso ha visto protagonista un lavoratore che aveva prestato la propria attività per un totale di 18 mesi presso un’importante azienda del settore logistico. Inizialmente, il rapporto era regolato da contratti a tempo determinato stipulati direttamente con l’azienda. Successivamente, senza soluzione di continuità, il lavoratore ha continuato a svolgere le medesime mansioni nello stesso magazzino, ma attraverso un contratto di somministrazione stipulato con un’agenzia per il lavoro.

Il lavoratore ha contestato due aspetti principali: in primo luogo, il suo inquadramento formale (livello 6J del CCNL Logistica), ritenuto inferiore rispetto alle mansioni di picking con carrelli elettrici effettivamente svolte, che a suo avviso corrispondevano al livello 5. In secondo luogo, ha sostenuto l’illegittimità della catena di contratti, che aveva superato la durata massima di 12 mesi senza l’indicazione di una specifica causale giustificativa, chiedendo la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato.

La Decisione del Tribunale di Milano

Il Giudice del Lavoro ha accolto le richieste del lavoratore. Ha accertato il suo diritto all’inquadramento superiore (livello 5) sin dall’inizio del rapporto, condannando l’azienda al pagamento delle relative differenze retributive.

Soprattutto, ha dichiarato la nullità del contratto di somministrazione, riconoscendo che la successione contratti a termine e in somministrazione aveva superato il limite legale. Di conseguenza, ha dichiarato costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e l’azienda utilizzatrice, ordinando l’immediata riammissione in servizio e il pagamento di un’indennità risarcitoria.

Le Motivazioni: l’Abuso della Successione Contratti a Termine

La sentenza si fonda su un’analisi approfondita della normativa nazionale ed europea. Il Tribunale ha ribadito che, ai fini del calcolo della durata massima di 12 mesi (oltre la quale è necessaria una causale), si devono sommare tutti i periodi di lavoro svolti per la stessa azienda utilizzatrice, indipendentemente dal fatto che siano stati formalizzati con contratti a termine diretti o con contratti di somministrazione.

Questa interpretazione, conforme alla Direttiva europea 2008/104/CE, mira a prevenire l’abuso di forme contrattuali flessibili per coprire esigenze lavorative stabili e durature. L’obiettivo della norma è garantire che il lavoro temporaneo rimanga tale e non diventi una situazione permanente mascherata.

L’Inquadramento Superiore e le Differenze Retributive

Attraverso le testimonianze raccolte, il giudice ha accertato che il lavoratore svolgeva mansioni qualificate, utilizzando carrelli elettrici per la preparazione degli ordini (picking). Queste attività, secondo il CCNL Logistica, rientrano nel livello 5 e non nel livello 6J, che è riservato a mansioni più semplici. Poiché l’onere della prova delle mansioni svolte è a carico del lavoratore, le deposizioni testimoniali sono state decisive per dimostrare la discrepanza tra l’inquadramento formale e la realtà operativa, portando alla condanna dell’azienda al pagamento delle differenze retributive maturate.

La Conversione del Rapporto e l’Indennità Risarcitoria

Una volta superato il limite dei 12 mesi senza una valida causale, la legge (D.Lgs. 81/2015) prevede una sanzione specifica: la trasformazione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Il Tribunale ha individuato nell’azienda utilizzatrice, e non nell’agenzia, il soggetto responsabile, poiché è l’unica parte ad avere piena conoscenza della storia contrattuale pregressa del lavoratore presso la propria struttura. Oltre alla riammissione in servizio, al lavoratore è stata riconosciuta un’indennità onnicomprensiva, quantificata in 5 mensilità dell’ultima retribuzione, per il danno subito a causa dell’illegittima interruzione del rapporto.

Le Conclusioni: Implicazioni per Lavoratori e Aziende

Questa sentenza del Tribunale di Milano rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro: la flessibilità contrattuale non può essere utilizzata in modo elusivo per aggirare le tutele previste per il lavoro subordinato a tempo indeterminato. Per le aziende, emerge la necessità di una gestione estremamente attenta della successione contratti a termine e in somministrazione, monitorando scrupolosamente la durata complessiva dei rapporti con i singoli lavoratori per evitare costose conversioni e sanzioni. Per i lavoratori, la decisione conferma che i periodi di lavoro, anche se formalizzati con diversi strumenti contrattuali, devono essere considerati unitariamente quando si prestano per lo stesso datore di lavoro sostanziale, garantendo una tutela effettiva contro la precarietà ingiustificata.

I contratti a termine diretti e i contratti in somministrazione con la stessa azienda si sommano ai fini della durata massima?
Sì, la sentenza conferma che, per calcolare il limite massimo di durata (attualmente 12 mesi in assenza di causale), devono essere sommati tutti i periodi di lavoro svolti per la stessa azienda utilizzatrice, sia tramite contratti a termine diretti sia tramite agenzia di somministrazione.

Cosa succede se si superano i 12 mesi di lavoro con contratti a termine successivi senza una causale?
Il rapporto di lavoro si trasforma in un contratto a tempo indeterminato a partire dalla data di superamento del limite. L’azienda è tenuta a riammettere in servizio il lavoratore e a riconoscergli un’indennità risarcitoria.

Chi è responsabile della conversione del contratto, l’agenzia di somministrazione o l’azienda utilizzatrice?
La responsabilità ricade sull’azienda utilizzatrice. Secondo il giudice, è l’utilizzatore l’unico soggetto a conoscenza della storia contrattuale completa del lavoratore presso la propria organizzazione e, quindi, responsabile delle violazioni relative al superamento dei limiti di durata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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