Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15422 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15422 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20181-2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
CONSORZIO PER LA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO SPELEOLOGICO DELLE GROTTE DI PASTENA E COLLEPARDO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 537/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/02/2021 R.G.N. 345/2017;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale di Cassino, rigettava le domande proposte da un gruppo di lavoratori socialmente utili (LSU) che avevano prestato servizio presso il consorzio in epigrafe ed erano stati da questo stabilizzati, con decorrenza 10.2.2012, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e inquadramento nella cat. B CCNL Autonomie locali – profilo professionale di assistente operatore; il contratto di lavoro di ciascun lavoratore era poi stato dichiarato nullo dallo stesso ente, unitamente agli atti della procedura di stabilizzazione, in sede di autotutela con nota 5-7 maggio 2012, contenente risoluzione dei rapporti di lavoro per violazione di norme imperative di rilevanza pubblicistica disciplinanti il contenimento della spesa del personale, perché in mancanza di copertura finanziaria, in violazione dell’art. 33, comma 1, d. lgs. n. 165/2001 e per stipulazione dei contratti da parte di soggetto non legittimato (Commissario straordinario);
i lavoratori avevano agito in giudizio per l’accertamento della nullità o illegittimità o inefficacia o annullamento del licenziamento, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna dell’ente al pagamento di indennità risarcitoria parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, o, in subordine, al risarcimento dei danni per omessa attivazione della procedura di collocamento in disponibilità di cui all’art. 33 d.lgs. n. 165/2001 del personale pubblico in soprannumero o eccedentario;
il Tribunale aveva accolto la domanda risarcitoria, commisurata a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, per il danno subito in conseguenza della stipulazione del risolto contratto;
la Corte territoriale, per quanto qui rileva, anche richiamando giurisprudenza amministrativa, osservava che la ragione posta a base del provvedimento in autotutela (mancanza della copertura finanziaria per le assunzioni) era effettivamente sussistente e che, quindi, il provvedimento adottato era legittimo; che non era configurabile, vista la legittimità del provvedimento in autotutela, la responsabilità di natura contrattuale dell’ente per non aver dato corso a una stabilizzazione in mancanza della necessaria copertura finanziaria, ossia contra legem ; che la configurabilità di eventuale responsabilità extracontrattuale per perdita di chances non era stata allegata né provata;
per la cassazione della predetta sentenza ricorrono i lavoratori (o eredi) indicati in epigrafe con tre motivi, illustrati da memoria; il RAGIONE_SOCIALE intimato non si è costituito nel presente grado di giudizio; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, i ricorrenti deducono omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., e motivazione apparente in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.; denunciano vizio della sentenza per aver ritenuto insussistente la copertura finanziaria in forza della quale i lavoratori erano stati stabilizzati mentre, al contrario, la medesima al tempo dell’avvenuta risoluzione del rapporto da parte del RAGIONE_SOCIALE sussisteva, applicando per relationem una motivazione apparente fondata su decisioni amministrative non attinenti al caso di specie;
il motivo non è fondato;
nella sentenza impugnata (v. in particolare pp. 9 -10) è stato efficacemente spiegato il vizio genetico della procedura di stabilizzazione dei rapporti per cui è causa, avvenuta in mancanza di copertura finanziaria per carenza del presupposto della programmazione delle assunzioni secondo il piano di triennale di fabbisogno del personale e per superamento non giustificato dei vincoli normativi in tema di riduzione delle spese da parte delle amministrazioni pubbliche, oltre che per erronea imputazione dei fondi;
il fatto che l’annullamento della procedura sia successivo non incide sulla natura viziata ab origine della procedura e rileva non ai fini di una (non prevista) sanatoria della procedura ex post , ma unicamente ai fini del diritto alla retribuzione per le prestazioni di lavoro svolte nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, ai sensi dell’art. 2126 c.c.;
con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa interpretazione dell’art. 33, comma 1, d. lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 12 delle Preleggi, violazione dell’art. 3, legge n. 604/1966 e successive modifiche e integrazioni in relazione al principio di immodificabilità dei motivi del licenziamento, violazione del principio dell’esercizio del potere di autotutela della p.a., violazione o falsa interpretazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.; si denuncia l’errata interpretazione ed applicazione delle norme relative alla procedura di stabilizzazione cui era tenuto il RAGIONE_SOCIALE, diverse, rispetto agli enti locali, trattandosi di un ente pubblico economico;
il motivo non è fondato;
osservato che l’ente intimato dagli atti risulta essere un consorzio di comuni che applicava il CCNL autonomie locali, la questione centrale della controversia, come decisa dalla Corte territoriale e non incisa dalle censure di parte ricorrente, risiede nella distinzione tra vizio genetico del contratto di lavoro e risoluzione del rapporto di lavoro per fatti
o atti intervenuti durante lo svolgimento del rapporto di lavoro medesimo;
ebbene, la categoria della nullità del contratto di lavoro è ben nota alla disciplina del rapporto di lavoro privatistico, come dimostra l’art. 2126 c.c., che, nel regolamentare le conseguenze della nullità o dell’annullamento del contratto di lavoro, ne dispone l’inefficacia per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione; la nullità prevista in via generale dall’art. 1418 c.c. per i contratti (ivi compreso quello di lavoro) contrari a norme imperative di legge, trova, inoltre, una specifica conferma per i contratti di lavoro del pubblico impiego privatizzato, nell’art. 36 d. lgs. 165/2001, ove è previsto che la violazione di disposizione imperative per l’assunzione e l’impiego dei lavoratori non comporta la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato;
tanto premesso, osserva il Collegio che la pubblica amministrazione nel rapporto di pubblico impiego pubblico contrattualizzato non esercita più poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro privato e nell’ambito di un rapporto contrattuale paritario; di conseguenza, non è inibito all’amministrazione – datrice di lavoro utilizzare gli strumenti civilistici, riservati al datore di lavoro privato, quale ad esempio la nullità del contratto di lavoro, come accertato e dichiarato nel caso in esame;
la sentenza gravata è dunque conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in materia di pubblico impiego privatizzato, i processi di stabilizzazione sono effettuati – in presenza dei requisiti soggettivi previsti – nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale del fabbisogno; di conseguenza, in assenza dei presupporti, non è configurabile un diritto soggettivo alla stabilizzazione escludendosi, pertanto, l’esistenza di qualsivoglia diritto di natura risarcitoria in capo ai suoi potenziali destinatari – né
un diritto alla proroga dei contratti a termine in scadenza, ammissibile solo nell’ipotesi di concreta possibilità di definire utilmente la procedura finalizzata alla trasformazione del rapporto a tempo indeterminato (Cass. n. 23019/2018); infatti, in tema di costituzione del rapporto di lavoro, la nullità della procedura concorsuale per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, indipendentemente dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o ne abbiano avuto consapevolezza (Cass. n. 20416/2019);
è stato altresì osservato che, nel pubblico impiego contrattualizzato, in caso di illegittimità dell’assunzione, il rapporto di lavoro affetto da nullità può produrre effetti nei soli limiti indicati dall’art. 2126 c.c., applicabile anche alla PRAGIONE_SOCIALEA.; ne consegue che, ferma l’irripetibilità delle retribuzioni corrisposte in ragione della prestazione resa, non può tenersi conto ai fini di successive assunzioni o avanzamenti di carriera di detto rapporto di lavoro, in applicazione del principio ‘ quod nullum est nullum producit effectum ” (Cass. n. 32263/2021; cfr. anche Cass. n. 30235/2022); le decisioni datoriali che incidono sul costo del personale e comportano spese a carico della Pubblica Amministrazione richiedono la necessaria copertura finanziaria e di spesa, in mancanza della quale gli atti e le procedure eventualmente svolte sono prive di effetti e non producono il sorgere di diritti delle parti, eccezion fatta per i rapporti di lavoro di fatto, stipulati in violazione sia della legge che della contrattazione collettiva, che devono essere comunque remunerati per effetto del disposto dell’art. 2126 c.c. e dei principi costituzionali sanciti agli artt. 35 e 36 della Carta (Cass. n. 15364/2023);
con il terzo motivo, i ricorrenti deducono violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., violazione del principio di non contestazione e dell’art. 2697 c.c., violazione dell’art. 2043 c.c. anche in relazione agli artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione all’art. 360,
3, c.p.c.; si denuncia la violazione delle norme relative al mancato riconoscimento della responsabilità dell’ente RAGIONE_SOCIALE in relazione ai danni tutti dedotti ed allegati dai lavoratori e non contestati dal RAGIONE_SOCIALE;
il motivo non è ammissibile, perché non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, in cui si è sottolineato che non sussisteva a carico del RAGIONE_SOCIALE un obbligo risarcitorio ancorato a una responsabilità contrattuale per omessa stabilizzazione, e che non vi era prova di una responsabilità extracontrattuale e di un danno conseguente;
dato atto che il consorzio ha contestato an e quantum della propria dedotta responsabilità nei precedenti gradi di giudizio, in mancanza di prova di un comportamento illecito che possa configurare un obbligo risarcitorio a titolo tanto contrattuale quanto aquiliano, non è configurabile una tale responsabilità derivante da atto lecito (l’annullamento della procedura di stabilizzazione avvenuta in violazione di legge); in mancanza di fatto illecito, non vi è nesso di causa con il danno lamentato dagli odierni ricorrenti, e l’obbligo risarcitorio da essi invocato risulta privo di base normativa;
il ricorso deve, pertanto, essere respinto;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione di controparte nel grado;
alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r . n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 4 aprile 2024.