Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7239 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7239 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4169/2024 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. NOMECODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso; -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente agli Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al controricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza del Tribunale di Napoli nord n. 2879/2023, depositata il 5/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citò, dinanzi al Giudice di pace di Barra, la Società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, SSCN o semplicemente ‘il Napoli’), per far valere l’inesatto adempimento del contratto di abbonamento valevole per assistere alle partite casalinghe della squadra partenopea della stagione 2016/2017 nella tribuna ‘Posillipo’, con conseguente condanna della società al risarcimento del danno (ovvero, in via subordinata, alla restituzione dell’indebito arricchimento) corrispondente alla differenza tra il corrispettivo versato per l’acquisto del suddetto abbonamento (€ 1.510,00) e la somma del costo dei singoli biglietti per le 19 partite casalinghe (che, all’esito del ribasso deciso dalla società, rispetto agli importi pubblicizzati prima dell’inizi o della stagione, era finita per ammontare complessivamente ad € 975,00).
Il giudice di primo grado accolse la domanda dell’attore, dichiarando ‘la violazione del principio della buona fede da parte della convenuta società nell’esecuzione del contratto per cui è causa’ e condannandola a un risarcimento del danno di € 535,00.
La sentenza venne, poi, riformata, in sede d’appello, dal Tribunale di Napoli, il quale osservò che l’appellato di era visto riconoscere, in primo grado, ‘ un risarcimento sulla scorta di una aspettativa, rientrante nella sua sfera soggettiva, ma che non trova fondamento giuridico, in quanto non risulta da alcun atto e quindi non è provato che la Società Calcio Napoli avrebbe garantito per gli acquirenti degli abbonamenti, sconti o vantaggi economici, né questa può considerarsi clausola da applicare ex lege nel contratto unilaterale predisposto, proprio perché non previsto da alcuna norma, né desumibile dal sistema ‘ (pag. 18 della sentenza impugnata).
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.
Ha depositato controricorso la SSCN.
La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. Il Pubblico Ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la ‘ violazione o falsa applicazione degli artt. 1322 e 1362 c.c. in relazione alla interpretazione della reale intenzione delle parti e della causa in concreto del contratto, in violazione degli articoli 2 e 3 Cost. e in falsa applicazione dell ‘ art. 41 cost., in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. ‘.
Si duole che il giudice dell’appello abbia omesso di considerare la meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti ai sensi dell’art. 1322, 2° comma, c.c., in base al quale è asseritamente da ‘ritenere sproporzionato il vantaggio economico ottenuto dalla SSCN, in danno degli abbonati/consumatori, dalla vendita degli abbonamenti ad un prezzo decisamente superiore di € 535,00 (per un totale di circa due milioni di euro) rispetto al prezzo totale dei singoli biglietti in virtù dell’improvviso abbassamento di prezzi’ (pag. 16 del ricorso per cassazione).
Lamenta non essersi considerato che il risparmio di spesa rientra nella causa concreta del contratto di abbonamento de quo , come un’interpretazione conforme al canone dell’art. 1362 c.c. avrebbe disvelato , posto che ‘la comune intenzione delle parti era quella di vendere, e di contro acquistare, un abbonamento alle gare ‘interne’ della SSCN ad un prezzo, pagato in unica soluzione, più vantaggioso, anche se di poco, rispetto all’acquisto dei singoli bigliet ti, come già avvenuto nelle stagioni precedenti’ (pag. 20 del ricorso per cassazione).
Con il secondo motivo la sentenza di merito viene censurata per ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1375, 1440 e 1458 c.c. in relazione all ‘equità nei rapporti contrattuali prevista dall’art. 2 del codice del consumo ed alla facoltà di intervento correttivo del giudice adito in applicazione dei principi di cui all’art. 1384 c.c., in violazione
dell’art. 3, comma II, Cost. e dell’art. 2 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
Si duole il ricorrente che la SSCN non abbia ‘rispettato il proprio dovere d’informazione, sia al momento del lancio della c ampagna abbonamenti allorquando preannunciava un aumento del prezzo dei singoli biglietti sia, poi, allorquando decideva di abbassarne il costo senza comunicare alcunché agli abbonati, né riconoscendo loro dei benefit o voucher tali da poter compensare l’importante surplus di prezzo corrisposto ad inizio stagione da migliaia di consumatori’ (pag. 25 del ricorso per cassazione).
Lamenta che viene al riguardo in rilievo l’ipotesi del dolo incidente, ‘presupposto sufficiente per la proposizione dell’azione risarcitoria, anche ai sensi dell’art. 1337 c.c, in quanto il contratto concluso, seppur valido, è in ogni caso pregiudizievole per l’abbonato che pagava un maggior prezzo rispetto ag li spettatori occasionali’ ( ibidem ).
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Va anzitutto osservato che l’odierno ricorrente formula invero le censure in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’articolo 366, 1° co. n. 6, c.p.c. là dove omette di riportare nel ricorso atti e documenti del giudizio di merito posti a base delle mosse doglianze ( es., il contratto di abbonamento ).
Deve porsi ulteriormente in rilievo che denunzia la violazione di criteri legali d’interpretazione senza invero porre a relativa base argomentazioni idonee, limitandosi invero ad inammissibilmente riproporre in termini di mera contrapposizione la propria non accolta tesi difensiva, al riguardo richiedendo -in particolare con riferimento alla doglianza circa l’asserita violazione ad opera di controparte del suo affidamento- un’inammissibile rivalutazione della vicenda invero presupponente accertamenti di fatto preclusi a questa Corte di legittimità.
Senza sottacersi, con particolare riferimento alla lamentata violazione dell’art. 1322 c.c., che come questa Corte ha già avuto modi di affermare ‘un contratto (…) non può dirsi diretto a realizzare interessi ‘immeritevoli’ di tutela sol perché poco conveniente per una delle parti; l’ordinamento garantisce il contraente il cui consenso sia stato stornato o prevaricato, ma non quello che, libero e informato, abbia compiuto scelte contrattuali non pienamente satisfattive dei propri interessi economici; affinché dunque un patto atipico possa dirsi diretto a realizzare interessi ‘immeritevoli’, ai sensi dell’art. 1322 c.c., è necessario accertare la contrarietà (non del patto, ma) del risultato cui esso mira con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati’ (così Cass. n. 28998 del 2023 ).
Si è al riguardo sottolineato che ‘l’impossibilità di far coincidere lo squilibrio delle prestazioni con la convenienza del contratto: chi ha fatto un cattivo affare non può pretendere di sciogliersi dal contratto invocando ‘lo squilibrio delle prestazioni’. L’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale (così Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 36740 del 25/11/2021, Rv. 663148 – 01)’. E si è posto altresì in rilievo che ‘l’evocabilità, in caso di squilibrio (economico) tra prestazioni, del rimedio della rescissione per lesione (ove lo squilibrio sia genetico) o della risoluzione per eccessiva onerosità (in caso di sopravvenienze) (…) esclude la necessità stessa di ricorrere a fantasiose invenzioni circa l’immeritevolezza d’un contratto che preveda ‘prestazioni squilibrate’ (Sez. U, Sentenza n. 5657 del 23/02/2023, cit.)’.
Uno scenario di tal fatta esclude invero in radice la pure evocata ipotesi del dolo , senza al riguardo sottacersi che l’odierno ricorrente ha invocato in prima battuta una tutela prettamente risarcitoria, non deducendo alcun profilo di nullità e nemmeno di risoluzione del contratto di abbonamento.
Quanto all’ipotizzato esercizio di un non meglio precisato ‘potere correttivo’ del giudice, sulla falsariga di un principio generale asseritamente promanante dalla disciplina dell’art. 1384 c.c., è sufficiente notare come esso non può certamente intaccare la libertà negoziale delle parti dall’angolo visuale della convenienza economica dell’affare (come evince anche dall’art. 34, comma 2, cod. cons., secondo cui ‘la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile’) , e in ogni caso ridonderebbe in termini di invalidità (totale o parziale) del negozio, secondo una prospettiva di tutela non evocata -come detto – dal ricorrente.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 900,00 , di cui € 700,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione