Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2876 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2876 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
ORDINANZA
Oggetto
Farmacia RAGIONE_SOCIALE –
Dirigente 1 livello Svolgimento mansioni di dirigente II livello Differenze retributive.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/01/2024
CC
sul ricorso 32950-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio RAGIONE_SOCIALE alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 155/2018 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 14/05/2018 R.G.N. 403/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con la quale era stata rigettata la domanda – proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche solo RAGIONE_SOCIALE) volta al riconoscimento delle mansioni di direttore responsabile di II livello, superiori a quelle di inquadramento di dirigente di I livello, svolte ininterrottamente dal 9.8.1995 e fino al 28.2.2006, su posto vacante e poi messo a concorso della RAGIONE_SOCIALE di NOME, e, per l’effetto, alla condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle somme indicate nel ricorso ex art. 414 c.p.c. per differenze retributive, al netto dell’indennità forfettaria lorda di sostituzione, in aggiunta allo stipendio, oltre al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed alla rivalutazione monetaria sulle somme pagategli con ritardo.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Parte ricorrente deposita altresì memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, articolato in due sottocensure, vengono dedotte:
la nullità della sentenza, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 99 c.p.c.; nello specifico si lamenta l’omessa pronunzia della Corte territoriale sul richiesto accertamento dell’effettivo svolgimento di mansioni superiori da parte del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, oggetto anche di espresso motivo di appello;
la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c. con riguardo all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.,
come integrato dall’art. 118 delle disp. att. c.p.c., all’art. 115 c.p.c. e all’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 167 c.p.c.; nel dettaglio, premesso che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente oggetto di contestazione, si torna a riaffermare lo svolgimento da parte dell’odierno ricorrente in cassazione, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, delle superiori mansioni dirigenziali, attraverso il richiamo ad una serie di documenti specificamente indicati nel corpo del motivo.
1.1. Il motivo è inammissibile in entrambi i profili in cui è articolato, che non si confrontano affatto con le ragioni poste a fondamento della decisione da parte del giudice di appello.
1.2. La corte territoriale, infatti, ha ritenuto incontestato e provato che l’incarico fosse stato svolto nei termini allegati nel ricorso ex art. 414 c.p.c., ma ha anche escluso che si trattasse, in senso proprio, di svolgimento di mansioni superiori e che fosse applicabile l’art. 2103 c.c.
1.3. L’inammissibilità del motivo, in entrambe le censure in cui è profilato, deriva, quindi, dal mancato confronto delle doglianze con le ragioni della decisione.
Con il secondo motivo viene denunziata l’omessa, falsa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c.; la nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione ex art. 360, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 111 della Costituzione; l’inapplicabilità all’ipotesi qui in esame dei principi affermati dal giudice della nomofilachia in Cass. n. 9879/2017. Si ribadisce che il AVV_NOTAIO per 12 anni ha svolto solo ed esclusivamente le funzioni di dirigente apicale di II livello della struttura complessa e si sostiene l’erroneità della affermazione del giudice di appello laddove ritiene che l’incarico del COGNOME non comporta la dismissione dei compiti della propria qualifica, ma solo il graduale
ampliamento’. Il ricorrente reitera la tesi secondo cui, se correttamente applicati i principi affermati in Cass. n. 9879/2017, nel caso di specie, avendo la sostituzione i caratteri della continuità, della frequenza e della sistematicità, va riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive pretese. A fondamento delle proprie ragioni richiama anche i principi espressi dalla S.C. in Cass. n. 13809/2015. Sostiene l’impossi bilità di configurare nel caso di specie un’ipotesi di cd. doppia conforme, essendosi in appello costituito, quale interventore volontario, il sindacato RAGIONE_SOCIALE.
2.1. Il motivo è quanto ad alcuni profili del tutto inammissibile e quanto ad altri aspetti del tutto infondato.
2.2. In primo luogo va segnalata l’erronea indicazione fra i canali di accesso al ricorso per cassazione, di quello di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., qui inutilizzabile in presenza di cd. doppia conforme, essendo irrilevante, ai fini dell’ammissibilità , l’intervento volontario dell’RAGIONE_SOCIALE in appello, in difetto di segnalazione di difformità motivazionali, tra la pronunzia di rigetto in primo grado ed in appello.
2.3. Il mezzo è altresì inammissibile laddove continua a sostenere l’assenza di motivazione, quanto al rigetto della domanda di riconoscimento delle differenze retributive per il dedotto svolgimento di mansioni superiori. Il motivo non si confronta con il percorso motivazionale del giudice di appello che, lungi dall’escludere lo svolgimento in fatto delle mansioni e dei compiti dedotti nel mezzo qui all’attenzione (come pure nel primo) esclude che detto svolgimento possa essere qualificato come espletamento di mansioni superiori. Al riguardo viene altresì precisato dal giudice di merito in modo chiaro che – decorso il termine massimo di cui al più volte citato art. 18 del c.c.n.l. del 2000 – non può affatto essere riconosciuto l’intero trattamento del dirigente di struttura
complessa, con conseguente irrilevanza della durata della sostituzione.
2.4. Il motivo è invece infondato nella parte in cui censura detto passaggio motivazionale e sostiene che dopo il decorso del termine massimo di 12 mesi previsto per la sostituzione dal più volte ricordato art. 18 del c.c.n.l., l’esercizio di fatto delle funzioni superiori determinerebbe l’applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, con conseguente diritto alle retribuzioni commisurate alle mansioni effettivamente svolte.
2.5. Al riguardo basterà ricordare il consolidato orientamento di segno contrario del giudice di legittimità, come di recente ribadito in Cass. Sez. L, n. 25421/2023, al cui percorso motivazionale ed all’ ampio richiamo alla conforme giurisprudenza della S.C. ivi contenuta questo Collegio si riporta anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. , non essendo emerse ragioni per discostarsene.
2.6. Occorre ribadire che : ‘ la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del C.C.N.L. dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito, ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.» (Cass. n. 21565/2018, che cita, quali precedenti conformi, Cass. nn. 6299/2015; 15577/2015, 584/2016, 9879/2017; successivamente, nello stesso senso, Cass. nn. 10440/2023; 4983/2022; 33136/2019; 7863/2019; 30913/2018) (…) Il d.lgs. n. 165
del 2001, all’art. 19 sancisce l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 c.c. che discende dalle peculiarità proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto dirigenziale il d.lgs. n. 165 del 2001, art. 52, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del titolo II, capo II, del medesimo d.lgs. cui non fa eccezione la dirigenza sanitaria, inserita ‘in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello (d.lgs. n. 502 del 1992, art. 15), per la quale la giuridica impossibililtà di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. è ribadita dal d.lgs. n. 502 del 1992, art. 15ter, inserito dal d.lgs. n. 229 del 1999, nonché dall’art. 28, comma 6, del medesimo ccnl dell’8.6.2000, secondo cui nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengon conto … che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103 c.c., comma 1, del c.c. (v. ex multis, la già citata Cass. n. 21506/2018). E se è vero che nella proroga sine die dell’incarico provvisorio retribuito solo con l’indennità mensile si annida il pericolo di un abuso nei confronti del dirigente (gravato – sia pure con il suo consenso – di una responsabilità alla quale ordinariamente sarebbe correlato un compenso superiore), ancor più evidente sarebbe il pericolo di abuso, nei confronti di tutti gli altri aspiranti, nel caso in cui col conferimento dell’incarico provvisorio prorogato oltre l’anno venisse normalizzato sul piano retributivo, aggirando le norme imperative che, anche nell’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, prescrivono adeguata procedura competitiva per la scelta del dirigente
titolare. Per lo stesso motivo si deve escludere che il pagamento della sola indennità sostitutiva determini una ingiustificata disparità di trattamento tra dirigenti con incarico provvisorio su posto vacante e dirigenti nominati all’esito della prescritta procedura selettiva e previa verifica dei titoli abilitanti. Infatti, proprio la diversità della procedura e dei presupposti della nomina impedisce di considerare le due diverse opzioni equivalenti (e quindi da assoggettare necessariamente alla medesima disciplina in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza’.
Con la terza censura viene infine dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, commi 3, 4, 5, 6, 7 e 8 del c.c.n.l. del 2000, oltre che degli artt. 1362, 1363, 1364, 1367 c.c. in tema di interpretazione dei contratti; si ribadisce l’erroneità dell’interpretazione dell’art. 18 del c.c.n.l. cit. che non consente – si sostiene – sostituzioni oltre il limite di 12 mesi, laddove nel caso di specie la sostituzione è durata ben 12 anni. Alla luce di quanto innanzi si reitera la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive per cui è causa.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato alla luce delle ragioni già esplicate ai punti 2.4, 2.5. e 2.6 con rinvio al consolidato insegnamento del giudice di legittimità.
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo per la parte ricorrente di versare l’ulteriore importo a titolo di cont ributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite alla parte controricorrente, che liquida in € 5,000,00 per compenso, € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO;
dà atto che sussiste l’obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’ 11.1.2024.