Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19823 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19823 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
1.La Corte di Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME , infermiera professionale alle dipendenze dell’azienda Ospedaliero -Universitaria di Ferrara, avverso la sentenza del Tribunale di Ferrara che aveva respinto le sue domande, volte ad accertare l’illegittimità dell’apertura del procedimento disciplinare ( per vicende extralavorative per cui pendeva procedimento penale), dell’immediata sospensione del procedimento disciplinare e del provvedimento di sospensione cautelare contestualmente disposta nei suoi confronti.
La Corte d’Appello ha escluso la violazione dell’art. 55 ter del d.lgs. n. 165 del 2001 come vigente ratione temporis; ha inoltre ritenuto la specificità della contestazione e la mancanza di violazione della comunicazione della relativa informazione all’UPD.
Considerato che il procedimento disciplinare era stato sospeso ha altresì escluso la sussistenza del diritto all’audizione o alla ostensibilità di eventuali atti.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
L’Azienda Ospedaliero -Universitaria di Ferrara ha resistito con controricorso.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
L’Azienda Ospedaliero -Universitaria di Ferrara ha resistito con controricorso, assistito da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., dell’art. 55 -ter d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 14, comma 2 del CCNL e dell’art. 2697 cod. civ.
Sostiene che l’art. 14, comma 2, del CCNL contrasta con l’art. 55 -ter del d.lgs. n. 165/2001, disposizione imperativa che anche in pendenza del procedimento penale obbliga l’Amministrazione a proseguire e concludere il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto in tutto o in parte fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, e consente al datore di lavoro pubblico di sospendere il procedimento disciplinare solo quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione.
Addebita alla Corte territoriale di avere violato l’art. 55 ter d.lgs. n. 165/2001 sulla base di motivazioni non risultanti dalla lettera di sospensione, che aveva disposto la sospensione solo in ragione della pendenza di un procedimento penale.
2. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha fatto applicazione dell’art. 14 del CCNL, ma ha ravvisato la legittimità della sospensione, stante la necessità di attendere l’esito del procedimento penale per i fatti addebitati alla COGNOME ed inerenti alla sua condotta extra-lavorativa.
La sentenza impugnata è dunque conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’art. 55 -ter ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, che è dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità dell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione dell’illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. n. 8410/2018).
Si è inoltre chiarito che la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale, di cui all’art. 55 ter, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce facoltà discrezionale attribuita alla P.A., la quale, fermo il principio della tendenziale autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, può esercitarla qualora, per la complessità degli accertamenti o per altre cause, non disponga di elementi necessari per la definizione del procedimento, essendo legittimata, peraltro, a riprendere il procedimento disciplinare, senza attendere che quello penale venga definito con sentenza irrevocabile, allorquando ritenga che gli elementi successivamente acquisiti consentano la decisione. (Cass. Sez. L., 13/05/2019, n. 12662).
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., degli artt. 55-bis, quarto comma e 55-ter d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 13 e 14 del CCNL e dell’art. 1362 cod. civ. , in relazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Insiste nel sostenere la mancanza dei presupposti per la sospensione del procedimento disciplinare, evidenziando l’insussistenza della particolare gravità dei fatti di rilevanza penalistica.
Sostiene che la fattispecie della minaccia semplice non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 13, commi 6 e 7, del CCNL, essendo invece riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 13, comma 5, del medesimo CCNL
(relativa a comportamenti minacciosi nei confronti di terzi); evidenzia che tale fattispecie è di minore gravità rispetto alle condotte indicate in dette disposizioni, e punite con sanzione conservativa.
Lamenta la violazione del principio dell’autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, del l’art. 2119 cod. civ. e del l’art. 3 della legge n. 604/1966 ed il principio di proporzionalità tra l’addebito e la sanzione.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata contiene solo un generico riferimento all’art. 612 cod. pen. (che ricomprende anche le ipotesi di minaccia grave e di minaccia fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339 cod. pen.), e la censura non assolve agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. , in quanto non riporta i fatti oggetto di contestazione disciplinare, né i capi di imputazione ed i fatti oggetto di accertamento in sede penale.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per la controversia in punto di tempestività della contestazione dell’addebito, in relazione dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale l’omesso esame della circostanza di fatto relativa all’effettiva conoscenza dei fatti da parte dell’Amministrazione, avvenuta in data 27.5.2017, da parte dell’Ufficio Legale.
Evidenzia che le vicende penali della COGNOME erano state da tempo trattate dalla stampa locale, come risulta dalla comunicazione pec dell’Avv. COGNOME del 25.10.2017, che l’unica data certa di protocollazione del certificato dei carichi pendenti della Cerasi è quella dell’elaborazione da pate dell’ufficio, del 11.9.2017 e che la parte datoriale non aveva fornito alcuna data di protocollazione di tale documento.
La censura è inammissibile, in applicazione del l’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Con il quarto motivo il ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 132 cod. proc. civ. e all’art. 111 Cost.
Lamenta l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla denunciata violazione del diritto alla difesa e alla mancata audizione della COGNOME.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ.
Lamenta che a fronte delle doglianze riguardanti la genericità del provvedimento di sospensione disciplinare e la mancata audizione, la Corte territoriale aveva erroneamente escluso la sussistenza di un interesse concreto a far valere i vizi del procedimento disciplinare.
Il quarto e il quinto motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.
Non sussiste l’apparenza della motivazione, avendo la Corte territoriale evidenziato l’ontologica diversità tra il procedimento cautelare e quello disciplinare, nonché la mancata adozione di un provvedimento sanzionatorio; ha pertanto ritenuto che pot esse solo essere scrutinata l’astratta idoneità della contestazione a giustificare la massima sanzione espulsiva all’esito del procedimento ed ha affermato la sussistenza dei presupposti che legittimavano l’adozione del provvedimento.
La Corte territoriale, dopo avere evidenziato che il procedimento disciplinare non era concluso, ha ritenuto la contestazione specifica, ha considerato tempestiva la comunicazione all’UPD ed ha escluso la sussistenza di un diritto all’audizione o all’o stensibilità degli atti, a fronte del provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare.
La sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la sospensione cautelare è una misura interinale e provvisoria, adottata per garantire l’efficienza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione in attesa della definizione del procedimento penale (Cass. 4411 del 2021).
Si è inoltre chiarito che non sussiste un obbligo di previa audizione dell’interessato prima della sospensione cautelare, poiché tale misura non ha natura sanzionatoria ma è finalizzata a tutelare l’interesse pubblico
10 . Con il sesto motivo il ricorso denuncia l’apparenza della motivazione in ordine alla specificità della contestazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.
La censura è inammissibile.
Questa Corte ha infatti chiarito (Cass. n. 13667/2018) che l’apprezzamento del carattere della specificità della contestazione dell’addebito, da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali, è riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata; del resto (cfr. Cass. n. 3820/2022), la contestazione dell’addebito ha la funzione di indicare il fatto contestato al fine di consentire la difesa del lavoratore, mentre non ha per oggetto le relative prove, soprattutto per i fatti che, svolgendosi fuori dall’azienda, sfuggono alla diretta cognizione del datore di lavoro, e conseguentemente, è sufficiente che quest’ultimo indichi la fonte della sua conoscenza; poiché la contestazione degli addebiti e il relativo grado di precisione rispondono all’esigenza di consentire concretamente all’incolpato di approntare la propria difesa, spetta al lavoratore, che si dolga della genericità della contestazione e della violazione del principio di sua immodificabilità, chiarire in che modo ne sia risultato leso il suo diritto di difesa (Cass. n. 30271/2022).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della