Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10315 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10315 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
1.Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME ( dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE con mansioni di coadiutore amministrativo) volte ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di sospensione adottato dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 4 legge n. 97/2001, a seguito della sentenza di primo grado emessa in data 30.1.2020 con cui la medesima era stata condannata alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione per concorso nel reato di peculato; la COGNOME aveva inoltre chiesto la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE a reintegrarla in servizio e a corrisponderle la differenza tra le somme percepite a titolo di indennità ex art. 68 del CCNL di comparto e la retribuzione ordinaria, eventualmente previa remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale della norma.
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso tale sentenza.
La Corte territoriale ha premesso che il Tribunale non si era limitato ad aderire formalmente alle ordinanze emesse in sede cautelare, ma ne aveva puntualmente e condivisibilmente richiamato i passaggi rilevanti a sostegno dell’infondatezza della prospettazione attorea, con una valutazione confermata anche dalla disamina delle ulteriori difese contenute nel ricorso introduttivo del giudizio; ha inoltre evidenziato che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che il giudice esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzi one e con l’iter argomentativo seguito.
Il giudice di appello ha rilevato che l’appellante non aveva contestato il principio affermato nelle sentenze nn. 206/1999 e 145/2002 della Corte costituzionale, secondo cui rientra nella discrezionalità del legislatore, entro i limiti della non irragionevolezza, la facoltà di individuare specifiche ipotesi nelle quali è ravvisabile in via generale e astratta la prevalente esigenza cautelare sottesa alla sospensione del dipendente dal servizio ed è stabilito in via generale l’ambito di applicazione della misura in relazione ai soggetti e al nesso fra l’accusa e le funzioni pubbliche.
5 . Ha condiviso le statuizioni del Tribunale in ordine all’assenza di un riferimento testuale che espliciti la necessità di un collegamento tra la condotta del dipendente e le funzioni dal medesimo esercitate ed ha ritenuto che il tenore letterale della disposizione sia coerente con la ratio indicata dalla Consulta di tutela del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. e della correlata credibilità dell’amministrazione presso il pubblico ; ha escluso che la sussistenza di tale necessità possa ricavarsi dalla mancata inclusione della condanna del ‘corruttore’ ai sensi dell’art. 321 cod. pen., atteso che nell’elenco di cui all’art. 3 della legge n. 97/2001 è inserita l’ipotesi prevista dall’ art. 319-quater, comma 2, cod. pen., che punisce l’ extraneus e prescinde dunque da tale nesso.
6 . Ha escluso l’irragionevolezza e l’incongruità della sospensione obbligatoria in caso di condanna del dipendente per i reati previsti dall’art. 3 della legge n. 97/2001 a titolo di concorso eventuale, sussistendo anche in tale ipotesi l’esigenza cautelare di evitare il pregiudizio per l’interesse generale alla credibilità dell’azione della RAGIONE_SOCIALE a causa del ‘discredito’ derivante dalla permanenza nell’ufficio di un sogget to accusato di avere agito contro tale interesse, ancorché si tratti di ufficio pubblico diverso da quello in concreto ‘danneggiato’ dal reato ed il concorrente non abbia abusato delle proprie funzioni.
7 . Considerato che i reati di falso e truffa, ancorché commessi nell’esercizio di funzioni connesse all’impiego pubblico, offendono beni giuridici differenti rispetto a quelli indicati nell’art. 3 della legge n. 97/2001, ha ritenuto ragionevole e congrua la scelta legislativa di rimettere all’Amministrazione l’apprezzamento del pregiudizio e dell’esigenza cautelare di sospensione per tali reati.
8. Ha infine escluso che la diversità di trattamento tra la fattispecie di cui agli artt. 321 cod. pen. e quella di cui all’art. 319 -quater cod. pen. possa fondare un dubbio rilevante sulla costituzionalità della norma, in quanto l’oggetto del contendere è il concorso dell’ extraneus nel diverso reato di peculato di cui all’art. 314 cod. pen. per il quale, a fronte dell’obiettiva gravità del vulnus al regolare funzionamento dell’Amministrazione e il pericolo della perdita di fiducia dei cittadini nell’operato del dipendente che si è reso corresponsabile della violazione, è ravvisabile la medesima esigenza cautelare sottesa alla sospensione ex lege dell’ intraneus .
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
10 . L’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con l’unico motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 1, della legge n. 97/2001, in relazione agli articoli 3, 4 e 24, secondo comma, 27, secondo comma, 35, 36 e 97 Cost.
Addebita alla Corte territoriale l’omessa considerazione della totale assenza di un nesso tra le funzioni svolte dalla COGNOME alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE e la ricezione, da un dipendente di altra e diversa struttura ospedaliera, incontrato al di fuori del lavoro, di alcuni farmaci che il medesimo aveva illegittimamente sottratto al proprio datore di lavoro.
Richiama le sentenze della Corte costituzionale nn. 206/1999 e 145/2002, evidenziando che secondo tali pronunce la misura deve risultare congrua rispetto all’effettività e alla consistenza dell’esigenza cautelare che la fonda, in rapporto alla gravità dell’accusa, al nesso di questa con le funzioni pubbliche svolte dall’impiegato e alla natura delle funzioni medesi me, nonché al bilanciamento con l’eventuale interesse dell’Amministrazione a continuare ad avvalersi dell’opera dell’impiegato nonostante la pendenza dell’accusa, e secondo cui
l’ambito di applicazione della misura è stabilito in via generale in relazione ai soggetti e al nesso fra l’accusa e le funzioni pubbliche.
Evidenzia che secondo la Consulta, la sospensione automatica dal servizio è costituzionalmente legittima solo se congrua rispetto all’esigenza cautelare perseguita, in rapporto al nesso dell’accusa con le funzioni pubbliche svolte dall’impiegato ed alla natura delle funzioni medesime, dond e la necessità di un collegamento tra le funzioni esercitate e il fatto illecito, ad eccezione che si versi in ipotesi di delitto di criminalità organizzata.
Argomenta che dalla mancata inclusione del reato di cui all’art. 321 cod. pen. nell’elenco di cui all’art. 3 della legge n. 97/2001 si desume l’irrilevanza del concorso nel reato del soggetto estraneo.
2. Il ricorso è inammissibile.
Nel lamentare la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della totale assenza di un nesso tra le funzioni svolte dalla RAGIONE_SOCIALE alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE e il fatto commesso e nel riproporre le argomentazioni svolte nei gradi di merito, la censura non si confronta con il decisum, tutto incentrato sull’irrilevanza del collegamento tra il reato commesso e le funzioni svolte dal dipendente, ai fini della sospensione obbligatoria dal servizio.
Il ricorso non spende alcuna argomentazione per censurare le statuizioni della sentenza impugnata secondo cui la necessità di un nesso tra la funzione svolta e l’illecito commesso non può ricavarsi dalla mancata inclusione della condanna del ‘corruttore’ ai sensi dell’art. 321 cod. pen., e secondo cui anche nell’ipotesi di concorso dell’ extraneus sussiste l’esigenza cautelare di evitare il pregiudizio per l’interesse generale alla credibilità dell’azione della PRAGIONE_SOCIALE. a causa del ‘discredito’ derivante dalla permanenza nell’ufficio di un soggetto accusato di avere agito contro tale interesse.
Il ricorso non censura nemmeno le statuizioni secondo cui è ragionevole e congrua la scelta legislativa di rimettere all’Amministrazione l’apprezzamento del pregiudizio e dell’esigenza cautelare di sospensione di falso e truffa, né le statuizioni della sentenza impugnata sul difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale riproposta.
Ciò premesso, deve rammentarsi che un’eventuale sollecitazione al giudice a sollevare una questione di legittimità costituzionale non può essere prospettata come ‘motivo di ricorso per cassazione’ perché non può essere configurata come vizio della sentenza impugnata idoneo a determinarne l’annullamento da parte di questa Corte;
I nfatti, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di costituzionalità di una norma, non solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla p arte interessata, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999 n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406; Cass. 22 gennaio 2019, n. 1624; Cass. S.U. n. 1043/2022).
D ato l’esito del giudizio di cassazione, qualunque questione di legittimità costituzionale sarebbe comunque priva di rilevanza.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza sono liquidate come in dispositivo.
7 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4 .000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore de ll’AVV_NOTAIO;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte