Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6186 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6186 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23566/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 86/2021 pubblicata il 19/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bari, con la sentenza n.86/2021 pubblicata il 19/03/2021, ha rigettato il gravame proposto dalla Agenzia delle entrate nella controversia con NOME COGNOME
La controversia ha per oggetto il risarcimento del danno richiesto dalla COGNOME per la ingiusta protrazione, in violazione dei limiti di durata massima previsti, della sospensione cautelare dal servizio in relazione alla pendenza di un procedimento penale per il quale era poi stata assolta con sentenza irrevocabile.
Il Tribunale di Bari accoglieva la domanda risarcitoria proposta dalla COGNOME ritenendo la ingiusta protrazione della sospensione a far tempo dal 12/09/2012 in poi.
La corte territoriale ha ritenuto che si fossero succeduti nel tempo tre distinti periodi di sospensione cautelare dal servizio: un primo, di giorni 7, di sospensione obbligatoria; un secondo, di giorni 343 di sospensione facoltativa; ed un ultimo periodo, di anni 4 mesi 4 e giorni 11, di sospensione obbligatoria; che alla luce della sentenza della Corte costituzionale nn.206/1999 e 145/2002 doveva ritenersi che il limite massimo di anni 5, previsto dall’art.9 della legge n.19/1990, fosse applicabile sia alla sospensione cautelare obbligatoria che a quella facoltativa; che cumulando i tre periodi di sospensione oggetto di causa conseguiva il superamento del termine massimo quinquennale a far tempo dal 12/09/2012.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate, con ricorso affidato ad un unico motivo. La dott.ssa COGNOME resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.91 e 92 del d.P.R. n.3/1957, degli artt.4 ed 8 della legge n.97/2001, dell’art.9 della legge n.19/1990, dell’art.70 del CCNL agenzie fiscali, dell’art.1362 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
La ricorrente deduce che il termine massimo di durata della sospensione cautelare dal servizio, come previsto dall’art.9 legge n.19/1990, ripreso dall’art.70 del CCNL Agenzie fiscali pro tempore applicabile, è riferibile alla sola sospensione obbligatoria, e dunque nel caso in esame non può ritenersi superato, essendo il periodo di sospensione obbligatoria pari ad anni 4 mesi 4 e giorni 24. Richiama sul punto il precedente di Cass. 04/09/2014 n.18673, nella parte in cui ha ritenuto che: «non può cumularsi, ai fini del termine di cinque anni previsto dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, comma 2 il tempo della sospensione obbligatoria con quella facoltativa essendo tale termine riferibile, alla stregua dell’interpretazione fornita nella citata sentenza della Corte costituzionale, alla sola sospensione obbligatoria “ancorata, a differenza di quella facoltativa, al solo dato formale’».
Ritiene la Corte che non si possa dare continuità al precedente citato, peraltro isolato, visto che in senso contrario, si rinviene Cass. 23/05/2003 n.8210 (non menzionata da Cass. n. 18673/2014 e seguita da Cass. 15/05/2007 n. 11102 e altre), ove è stato stabilito che: il termine massimo di sospensione cautelare dal servizio, stabilito dall’art. 27, comma ottavo, in cinque anni, deve ritenersi operante, alla luce dei principi di ragionevolezza, presunzione di innocenza e buon andamento della pubblica amministrazione – affermati in materia dalle sentenze della Corte costituzionale n. 447 del 1995, 239 del 1996 e 145 del 2002 -, per ogni caso di sospensione cautelare determinata da un procedimento penale, e cioè sia in caso di rinvio a giudizio non preceduto (o accompagnato) dalla emissione di una misura
restrittiva della libertà personale (art. 27, comma primo), sia nel caso in cui la sospensione, nella ricorrenza delle condizioni di cui al comma secondo, faccia seguito alla cessazione dello stato di restrizione della libertà personale di cui al comma primo.
Ne deriva la necessità di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 9 legge n.19/1990 ai principi di buon andamento ed uguaglianza, come stabiliti dagli artt.3 e 97 Cost.
Cass. n. 18673/2014, infatti, si confronta solo in parte con la giurisprudenza costituzionale in materia di sospensione cautelare dal servizio del pubblico dipendente, richiamando in motivazione soltanto la sentenza n.447/1995, senza considerare che dopo la pronuncia del 1995 la Corte costituzionale è tornata ad affrontare -funditus -la materia nelle sentenze nn.206/1999 e 145/2002.
In particolare, nella sentenza n.206/1999 la Corte costituzionale ha ritenuto che: «una misura cautelare, proprio perché tale, e cioè tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento (nella specie giudiziale), deve per sua natura essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime”, in ossequio al criterio di proporzionalità della misura cautelare, riconducibile all’art. 3 della Costituzione».
Nella successiva sentenza n. 145/2002 la Corte costituzionale, nel pronunciare sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.4 delle legge n.97/2001, ha ritenuto che: «come si afferma nella più volte citata sentenza n. 206 del 1999, è, infatti, possibile rinvenire nel sistema una previsione di durata massima della misura cautelare sospensiva -quella, di cinque anni, contenuta nell’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti) -alla quale deve attribuirsi il
carattere di una vera e propria clausola di garanzia, avente portata generale e dunque comprensiva -in difetto di diversa disciplina legislativa – di ogni e qualsiasi ipotesi di “sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale”, sia facoltativa che obbligatoria» (Corte cost, 03/05/2002 n.145, § 3.3. del considerato in diritto).
Per le anzidette ragioni si intende superare l’orientamento espresso dalla richiamata Cass. n. 18673/2014, dando continuità a quello espresso da Cass. n. 8210/2003 (e dalle altre pronunce conformi), perché alla luce delle sentenze nn.206/1999 e 145/2002 della Corte costituzionale si impone la necessità di una interpretazione dell’art.9 comma 2 della legge n.19/1990, costituzionalmente orientata agli artt. 3 e 97 Cost., attribuendo alla disposizione il significato che il limite massimo da essa previsto debba ritenersi riferibile non solo ai casi di sospensione obbligatoria, ma anche ai casi di sospensione facoltativa, pur nella consapevolezza del rinvio ai contratti collettivi di comparto della disciplina riguardante la sospensione cautelare facoltativa (Cass. 10/06/2016 n. 11988), visto che il principio indicato dall’art. 9, comma 2, cit. è un principio fondamentale che ha come base la tutela di diritti costituzionalmente garantiti, come indicato dalla Corte costituzionale.
Diversamente opinando si consentirebbe una protrazione sine die della sospensione cautelare facoltativa, tale da trasformarla in misura afflittiva di per sé e non misura strumentale alla tutela dell’interesse della pubblica amministrazione per un ragionevole lasso di tempo, stabilito dalla disposizione in esame in anni cinque.
La corte territoriale ha fatto esatta applicazione dell’art.9 comma 2 della legge n.19/1990 e per le indicate ragioni il ricorso deve essere rigettato.
La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.000,00 per compensi
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
11. N on sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non applicandosi la norma, fra l’altro, nei confronti delle Agenzie fiscali, che mediante il meccanismo della prenotazione a debito sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex aliis, Cass. 17361/2017).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro