Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12146 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12146 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. IRENE TRICOMI
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso 20640 -2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
-ricorrente –
Oggetto: Impiego pubblico -sospensione dalla retribuzione -art. 70, co. 3, c.c.n.l. 20022005 Comparto Agenzie fiscali
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 91/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 04/02/2021 R.G.N. 596/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME dipendente dell’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale Sicilia -, inquadrato nella terza area retributiva, addetto all’attività ispettiva, a seguito del suo rinvio a giudizio disposto con decreto del 30/6/2017 per i reati di cui agli artt. 110 e 640, commi 1 e 2, n. 1 cod. pen., per avere, in concorso con altro funzionario ispettivo dell’Agenzia, con artifizi e raggiri, indotto i gestori di due ristoranti a farsi rilasciare due fatture dell’importo di euro 23,00 ciascuna, inducendo in errore la Pubblica Amministrazione circa l’effettivo sostenimento di tali spese (circostanza questa mai avvenuta) nell’ambito dello svolgimento dei compiti istituzionali, procurandosi così l’ingiusto profitto consistito nell’indebito conseguimento del rimborso di tali spese, era stato sospeso dal servizio ai sensi dell’art. 7, comma 3, del c.c.n.l. 2002-2005 Comparto Agenzie Fiscali.
Il COGNOME aveva impugnato tale provvedimento dinanzi al Tribunale di Sciacca che aveva respinto l’impugnazione ritenendo che i requisiti necessari e sufficienti per disporre la sospensione cautelare fossero: – il rinvio a giudizio del dipendente; l’essere in fatti per cui si procede in sede penale direttamente connessi con l’attività lavorativa.
La Corte d’appello di Palermo confermava tale decisione.
Riteneva non necessaria una specifica motivazione del provvedimento di sospensione ulteriore rispetto al richiamo al rinvio a giudizio, all’attinenza dei fatti oggetto di procedimento penale con il rapporto di lavoro, al nocumento che con il progredire del procedimento penale poteva derivare all’immagine dell’amministrazione al rientro in servizio del dipendente in parola, stante l’ampio risalto dato dalla stampa locale e on line ai fatti sottostanti il ripetuto procedimento penale; evidenziava che l’art. 70 non dettava alcuna regola atta a specificare il contenuto dell’obbligo motivazionale.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato ad un motivo.
Il Ministero ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 70, commi 1 e 3, del c.c.n.l. Comparto Agenzie Fiscali 20022005, dell’art.3 della legge n. 241/1990 e successive modifiche ed integrazioni, nonché dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c. stante la carenza di motivazione che connota il provvedimento di sospensione del dipendente dal servizio.
Sostiene che l’Amministrazione resistente non ha ‘ adeguatamente ‘ esternato, come avrebbe dovuto in ossequio al generalizzato obbligo di motivazione che connota gli atti e/o i provvedimenti amministrativi concernenti il personale anche nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, le ‘ specifiche ‘ ragioni giuridiche che hanno giustificato il provvedimento di immediata sospensione del dipendente dal servizio con privazione della retribuzione in pendenza di , procedimento penale attraverso una motivazione conno tata da ‘ congruità ‘, ‘ ragionevolezza ‘ e da ‘ logicità intrinseca ed estrinseca ‘ tale da permettere, a propria volta, al Giudice di merito di valutare, nel caso concreto, l’ iter logico-
giuridico seguito dalla stessa Amministrazione, non ritenendosi sufficiente il richiamo a mere e generiche enunciazioni di principio adattabili a situazioni indefinite che facciano esclusivo riferimento al dato formale dell’imputazione penale, senza alcuna valutazione di ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del dipendente.
Assume che lo stesso esercizio della facoltà discrezionale di cui al comma 1 dell’art. 70 del c.c.n.l. la stessa l’Amministrazione ha una mera facoltà discrezionale (infatti il dipendente « può essere sospeso» e non « è sospeso d’ufficio» ) che impone, anche in ossequio ai principi di principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, di dare conto con una ‘ idonea ‘ motivazione della scelta di sospendere il dipendente.
In sede di memoria il ricorrente ha dato atto che con se nte nza n. 329/2022 del Tribunale Penale di Sciacca emessa in data 01-06-2022, depositata in Cancelleria il 15-06-2022 e divenuta irrevocabile il 17-102022, è stato assolto con la più ampia formula assolutoria perchè il ‘fatto non sussiste’ (la sentenza è stata allegata alla memoria).
2. Il motivo è infondato.
Va premesso che nell’impiego pubblico contrattualizzato, gli atti di gestione del rapporto, in quanto espressione dei poteri propri del datore di lavoro privato, hanno natura privatistica, con la conseguenza che il rispetto dell’obbligo di motivazione imposto dalla legge o dalla contrattazione collettiva va parametrato, da un lato, alla natura dell’atto ed agli effetti che esso produce, dall’altro, ai principi di correttezza e buona fede ai quali, nello svolgimento del rapporto di lavoro, è obbligato ad attenersi il datore di lavoro pubblico, senza che trovi applicazione l’art. 3 della l. n. 241 del 1990 che disciplina la motivazione degli atti amministrativi (cfr. ex multis Cass. 3 agosto 2022, n. 24122).
Tanto precisato va osservato che, in tema di rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, l’art. 55 -ter del d.lgs.
n. 165 del 2001 – secondo cui la pubblica amministrazione datrice di lavoro può disporre la sospensione cautelare del dipendente – non contiene una specifica regolamentazione dei presupposti applicativi del provvedimento, che è destinato ad incidere significativamente nella sfera giuridica del lavoratore e, dunque, richiede la previsione di idonee garanzie; perciò, detti presupposti devono essere rinvenuti aliunde e, cioè, sia nelle norme speciali (che ad esempio prevedono ipotesi di sospensione obbligatoria), sia nella contrattazione collettiva, a cui l’art. 40 del citato d.lgs. rinvia per la disciplina di aspetti non regolati da specifiche norme di legge (v. Cass. 19 novembre 2024, n. 29683).
Se, dunque, la contrattazione collettiva non richiede una specifica motivazione ma solo la sussistenza di determinati presupposti la stessa non può essere automatica, presupponendo appunto la sussistenza delle condizioni richieste per il provvedimento.
Questa Corte ha già affermato (Cass. 10 giugno 2016, n. 11988) anche se con riferimento ad altro c.c.n.l. (e cioè con riguardo all’art. 29 del c.c.n.l. per i Dirigenti del Comparto Regioni ed Autonomie Locali, avente contenuto del tutto analogo alla disposizione che nel nostro caso viene in rilievo) che la sospensione dal servizio ha natura cautelare e non disciplinare, non richiede il previo contraddittorio con l’interessato e trova la sua ratio nella necessità di tutelare la ‘credibilità dell’amministrazione presso il pubblico, cioè il rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, che può rischiare di essere incrinato dall’ombra gravante su di essa a causa dell’accusa da cui è colpita una persona attraverso la quale l’istituzione stessa opera’ (così Corte cost. n. 206/1999). L’esigenza cautelare sorge per la pendenza dell’accusa in quanto tale e prescinde dalla valutazione degli indizi di colpevolezza a carico del dipendente, riservata all’autorità giudiziaria penale, per cui, una volta che il rinvio a giudizio abbia permesso di escludere la pretestuosità e la evidente infondatezza della notitia criminis , la valutazione che la Pubblica Amministrazione è chiamata ad effettuare
riguarda unicamente la gravità dei fatti di reato ascritti e la attinenza degli stessi al rapporto di lavoro.
Il principio è applicabile anche nel caso in esame considerato che l’art. 70 c.c.n.l. Agenzie fiscali 2002 -2005 prevede che: « 1. Il dipendente che sia colpito da misura restrittiva della libertà personale è sospeso d’ufficio dal servizio con privazione della retribuzione per la durata dello stato di detenzione o comunque dello stato restrittivo della libertà. 2. L’Agenzia, ai sensi del presente articolo, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, può prolungare il periodo di sospensione del dipendente, fino alla sentenza definitiva alle medesime condizioni del comma 3. 3. Il dipendente può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della libertà personale quando sia stato rinviato a giudizio per fatti direttamente attinenti al rapporto di lavoro o comunque per fatti tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento ai sensi dell’art. 67, commi 5 e 6 (Codice disciplinare )».
La disposizione, dunque, non diversamente da quella esaminata nel precedente di questa Corte sopra richiamato, pone come unica condizione per l’esercizio del potere discrezionale che il rinvio a giudizio si riferisca ad illeciti penali strettamente connessi allo svolgimento del rapporto di lavoro.
Non si ravvisa, pertanto, la denunciata violazione della norma contrattuale, poiché l’Agenzia ha motivato il provvedimento richiamando il decreto di rinvio a giudizio ed i delitti ivi contestati, precisando che gli stessi apparivano connotati da particolare gravità posto che attenevano al rapporto di lavoro con l’Agenzia ed evidenziando, altresì, il nocumento che, con il progredire del procedimento penale, poteva derivare all’Amministrazione dal rientro in servizio del dipendente, stante l’ampio risalto dato dalla stampa locale e on line ai fatti sottostanti il procedimento penale (v. pagg. 4 e 5 della
sentenza impugnata e doc. all. 6 della produzione allegata al ricorso per cassazione).
D’altro canto anche la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che ‘la valutazione dell’amministrazione, in materia di sospensione cautelare facoltativa del dipendente pubblico, costituisce una tipica manifestazione del suo potere discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo solo ove risulti manifestamente irragionevole e non comporta la necessità di esporre le ragioni per le quali i fatti contestati al dipendente devono considerarsi particolarmente gravi, potendo tale giudizio essere implicito nella gravità del reato a lui imputato, nella posizione d’impiego rivestita dal dipendente, nella commissione del reato in occasione o a causa del servizio, con la conseguente impossibilità di consentirne la prosecuzione’ (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 gennaio 2014, n. 194) ed ancora che: ‘l’ipotesi accusatoria che siano stati commessi reati che costituiscono un’infedele assolvimento dei propri doveri è sufficiente a sorreggere il provvedimento di sospensione dal servizio (avente natura cautelare e non sanzionatoria), avuto riguardo al pregiudizio che la vicenda penale è di per sé idonea ad arrecare al prestigio e corretto svolgimento della funzione pubblica. Laddove l’ipotesi accusatoria si dovesse dimostrare priva di fondamento, il dipendente avrà diritto alla piena reintegrazione giuridica ed economica, con il pagamento di tutte le retribuzioni non corrisposte’ (Consiglio di Stato, Sez. II, 4 settembre 2023, n. 8145).
La sussistenza dei presupposti per la sospensione nel nostro caso è stata sufficientemente esternata nel provvedimento.
Una motivazione conforme alle previsioni della disposizione pattizia c’era, dunque, senz’altro .
Trattandosi di sospensione cautelare (cessata in automatico con l’assoluzione in sede penale) il riferimento al reato ed alle funzioni di ufficio è, dunque, già sufficiente.
Quanto, poi, alla produzione della sentenza penale di assoluzione ne va dichiarata l’inammissibilità.
Ed infatti il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 cod. proc. pen., unicamente al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti, non assumendo in tali casi alcuna valenza enunciativa della ‘ regula iuris ‘ alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto e potendo ravvisarsi la sua astratta rilevanza soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità; ne consegue, in tali ipotesi, l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. 26 settembre 2017, n. 22376; Cass. 13 giugno 2016, n. 12108; Cass. 17 novembre 2011, n. 24135).
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione