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Somministrazione di lavoro: limite 24 mesi e conversione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il limite massimo di 24 mesi per la somministrazione di lavoro si applica anche tenendo conto dei contratti stipulati prima del “Decreto Dignità”. Il superamento di tale limite, finalizzato ad eludere la natura temporanea del rapporto, comporta la conversione del contratto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l’azienda utilizzatrice. Questa decisione, basata su un’interpretazione conforme al diritto europeo, sanziona l’uso abusivo della somministrazione di lavoro.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Somministrazione di Lavoro: Superare i 24 Mesi Converte il Contratto in Indeterminato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nella somministrazione di lavoro: le conseguenze del superamento del limite massimo di durata di 24 mesi. La decisione conferma un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: la reiterazione abusiva di contratti a termine tramite agenzia porta alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’azienda utilizzatrice, anche se parte del periodo lavorativo è maturato prima delle nuove norme del “Decreto Dignità”.

Il caso in esame: la successione di contratti a termine

Il caso ha origine dalla domanda di due lavoratori che, impiegati presso la stessa azienda utilizzatrice tramite contratti di somministrazione a tempo determinato, hanno visto il loro rapporto superare la durata complessiva di 24 mesi. I tribunali di primo e secondo grado avevano già dato loro ragione, dichiarando la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l’azienda utilizzatrice a partire dalla data di superamento del limite legale.

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente che il limite di 24 mesi introdotto dal “Decreto Dignità” non potesse applicarsi retroattivamente e che, in ogni caso, la violazione di tale limite non avrebbe dovuto comportare la conversione del rapporto di lavoro.

Limiti alla somministrazione di lavoro e tutela del lavoratore

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, fornendo chiarimenti essenziali sull’applicazione delle norme in materia di somministrazione di lavoro. La Corte ha ribadito che il principio di temporaneità è un elemento intrinseco e fondamentale di questa tipologia contrattuale. Questo principio, già esistente prima delle modifiche legislative più recenti, è imposto dal diritto dell’Unione Europea per prevenire l’abuso di contratti flessibili a danno dei lavoratori.

Il computo dei periodi precedenti

Uno dei punti più importanti della sentenza riguarda il calcolo del limite massimo di 24 mesi. La Corte ha stabilito, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ai fini del computo della durata massima devono essere considerati anche i periodi di lavoro svolti prima dell’entrata in vigore delle nuove normative. Escludere tali periodi vanificherebbe lo scopo della legge, che è quello di impedire che il lavoro tramite agenzia diventi una situazione permanente e precaria per il lavoratore.

La conversione del contratto come sanzione

La Cassazione ha affrontato anche la questione delle conseguenze della violazione del limite di durata. Sebbene la normativa sulla somministrazione irregolare non menzioni esplicitamente il superamento dei 24 mesi come causa di conversione, i giudici hanno colmato questa lacuna attraverso un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata. La Corte ha ritenuto che la reiterazione dei contratti oltre il limite consentito costituisca un’elusione di norme imperative, configurando un’ipotesi di contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.). Tale condotta, finalizzata ad aggirare il requisito della temporaneità, viene sanzionata con la nullità del contratto di somministrazione e la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida base interpretativa che coniuga il diritto interno con i principi del diritto dell’Unione Europea. I giudici hanno sottolineato che l’obbligo di prevenire l’uso abusivo di missioni successive di lavoro interinale è un principio chiaro e incondizionato della Direttiva 2008/104. Sebbene questa non sia direttamente applicabile tra privati, impone ai giudici nazionali di interpretare la normativa interna in modo conforme. La Corte ha individuato nell’istituto della frode alla legge lo strumento idoneo a garantire l’effetto utile della normativa europea, sanzionando le condotte elusive dell’azienda. Inoltre, la sentenza ha evidenziato che la decisione dei giudici di merito si basava non solo sul superamento del limite temporale, ma anche su un accertamento di fatto circa il carattere elusivo della reiterazione dei contratti, volto unicamente ad aggirare i vincoli di legge. Questo rafforza la decisione, ancorandola a una valutazione concreta del comportamento delle parti.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce con forza che la somministrazione di lavoro non può essere utilizzata per creare rapporti di lavoro permanentemente precari. Il limite di 24 mesi è un presidio invalicabile, e il suo calcolo deve includere tutti i periodi di missione presso lo stesso utilizzatore per evitare abusi. La violazione di questo limite, quando rivela un intento elusivo, comporta la più grave delle sanzioni: la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato. Questa pronuncia offre una tutela rafforzata ai lavoratori somministrati e rappresenta un importante monito per le aziende che intendono utilizzare in modo improprio questa forma contrattuale.

Cosa succede se un lavoratore in somministrazione supera i 24 mesi di lavoro presso la stessa azienda?
Quando la durata complessiva delle missioni di un lavoratore presso la stessa azienda utilizzatrice supera il limite di 24 mesi, e tale reiterazione ha carattere elusivo delle norme sulla temporaneità, il contratto di somministrazione è considerato nullo. Di conseguenza, si costituisce un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente tra il lavoratore e l’azienda utilizzatrice, a partire dalla data del superamento del limite.

I contratti stipulati prima del “Decreto Dignità” (2018) contano nel calcolo dei 24 mesi?
Sì. La Corte di Cassazione, interpretando la normativa nazionale in conformità con il diritto dell’Unione Europea, ha stabilito che ai fini del calcolo della durata massima di 24 mesi si deve tener conto anche dei periodi di lavoro svolti in base a contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto. Omettere questi periodi frustrerebbe l’obiettivo della norma, che è impedire l’abuso dei contratti a termine.

Un’azienda può aggirare il limite di durata cambiando l’inquadramento del lavoratore?
No. La sentenza chiarisce che il mero cambio di inquadramento non è sufficiente a interrompere il computo della durata complessiva se le mansioni svolte dal lavoratore rimangono sostanzialmente le stesse. Anzi, un tale comportamento può essere considerato un ulteriore indizio dell’intento elusivo dell’azienda, finalizzato ad aggirare i limiti di legge e a non incorrere nei rigori della nuova disciplina.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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