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Somministrazione a tempo indeterminato: accordo nullo

La Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità di una somministrazione a tempo indeterminato autorizzata da un accordo aziendale firmato esclusivamente dalla RSU. Secondo la Corte, la legge richiedeva un accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale. Di conseguenza, è stata confermata la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato diretto con l’azienda utilizzatrice e il pieno risarcimento del danno alla lavoratrice, escludendo l’applicazione analogica delle tutele risarcitorie limitate previste per i contratti a termine.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Somministrazione a tempo indeterminato: l’accordo RSU non basta, serve il sindacato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto del lavoro, specificando i requisiti di validità per la somministrazione a tempo indeterminato. La decisione chiarisce che un accordo aziendale siglato esclusivamente dalla Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) non è sufficiente a legittimare questa forma contrattuale, essendo necessaria la stipula da parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Una lavoratrice, assunta da un’agenzia per il lavoro e somministrata presso un’importante azienda utilizzatrice, impugnava il contratto chiedendo che venisse accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente con l’azienda utilizzatrice. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello le davano ragione, dichiarando illegittima la somministrazione. La decisione si fondava sulla constatazione che l’accordo aziendale, posto a base del contratto, era stato sottoscritto unicamente dalla RSU aziendale. Secondo i giudici di merito, la normativa all’epoca vigente (D.Lgs. 276/2003) richiedeva che tali accordi fossero stipulati da associazioni sindacali dotate di una rappresentatività comparativamente maggiore a livello nazionale o territoriale, un requisito che la RSU, per sua natura, non possiede.

I motivi del ricorso e la somministrazione a tempo indeterminato

L’azienda utilizzatrice ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali.

La presunta validità dell’accordo aziendale

In primo luogo, l’azienda sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non riconoscere la validità dell’accordo. A suo dire, il fatto che i membri della RSU fossero anche esponenti delle principali organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) avrebbe dovuto essere sufficiente a soddisfare il requisito di legge. In sostanza, si trattava di una coincidenza sostanziale tra i soggetti firmatari e quelli richiesti dalla normativa.

L’applicazione analogica del risarcimento forfettario

In secondo luogo, e in via subordinata, l’azienda chiedeva che, anche in caso di nullità del contratto, le conseguenze risarcitorie venissero limitate. In particolare, invocava l’applicazione per analogia dell’articolo 32 della legge 183/2010, che prevede un’indennità onnicomprensiva (tra 2,5 e 12 mensilità) per i casi di conversione dei contratti a tempo determinato illegittimi. Secondo la ricorrente, la mancanza di una disciplina specifica per le conseguenze della somministrazione a tempo indeterminato illegittima costituiva una lacuna normativa da colmare in questo modo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello con argomentazioni chiare e precise.

Sulla competenza della RSU

Sul primo motivo, la Cassazione ha affermato che la RSU e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sono soggetti giuridicamente distinti, con ruoli e competenze diverse. La legge (art. 20, D.Lgs. 276/2003) attribuiva chiaramente la facoltà di stipulare accordi sulla somministrazione a tempo indeterminato solo a queste ultime. La Corte ha sottolineato che la competenza della RSU è generalmente limitata alle materie specificamente delegate dalla contrattazione nazionale, delega che in questo caso mancava. Pertanto, l’eventuale appartenenza dei membri della RSU a sigle sindacali nazionali è stata ritenuta irrilevante, poiché essi avevano agito formalmente e giuridicamente in qualità di RSU, e non come rappresentanti delle organizzazioni sindacali nazionali.

Sull’inapplicabilità dell’indennità forfettaria

Anche il secondo motivo è stato respinto. La Corte ha spiegato che non sussiste alcuna “lacuna normativa” da colmare tramite interpretazione analogica. Al contrario, l’ordinamento prevedeva già una specifica conseguenza per la somministrazione illegittima. L’art. 27 del D.Lgs. 276/2003 stabilisce infatti che, in questi casi, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto sin dall’inizio della somministrazione. Da ciò discende non solo il diritto alla riammissione in servizio, ma anche il diritto al risarcimento integrale del danno, calcolato secondo i principi generali della mora accipiendi (cioè, il risarcimento per il rifiuto illegittimo della prestazione lavorativa). La disciplina forfettaria dell’art. 32, legge 183/2010, costituisce una deroga a questi principi generali, applicabile esclusivamente ai contratti a tempo determinato e non estensibile ad altre fattispecie.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito due punti fermi di grande rilevanza pratica. Primo, per la validità di un accordo che estende i casi di somministrazione a tempo indeterminato, è indispensabile la firma delle organizzazioni sindacali territoriali o nazionali comparativamente più rappresentative, non essendo sufficiente la sola firma della RSU aziendale. Secondo, le conseguenze dell’illegittimità di tale contratto sono la costituzione di un rapporto di lavoro diretto con l’utilizzatore e il pieno risarcimento del danno, senza le limitazioni previste per altre tipologie contrattuali. Questa sentenza rafforza il ruolo della contrattazione collettiva nazionale e territoriale come fonte primaria di regolamentazione del mercato del lavoro, ponendo limiti precisi alla contrattazione di livello aziendale.

Un accordo aziendale firmato solo dalla RSU è sufficiente per legittimare la somministrazione a tempo indeterminato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la normativa applicabile (d.lgs. 276/2003) richiedeva che tali accordi fossero stipulati dalle associazioni sindacali dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale. La RSU è un soggetto giuridico distinto e non possiede tale legittimazione, se non per materie ad essa delegate dal contratto nazionale, cosa non avvenuta nel caso di specie.

Perché la Corte ha escluso che i membri della RSU potessero agire anche come rappresentanti dei sindacati nazionali?
La Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che i membri della RSU fossero anche esponenti di sindacati nazionali. Ciò che conta è la veste formale in cui hanno agito e firmato l’accordo, che nel caso specifico era quella di RSU aziendale. La legittimazione a firmare non poteva essere desunta “ex post” dalla composizione dell’organismo.

In caso di somministrazione a tempo indeterminato illegittima, si applica l’indennità risarcitoria limitata prevista per i contratti a termine?
No. La Corte ha stabilito che non vi è una lacuna normativa da colmare con l’analogia. La legge (art. 27, d.lgs. 276/2003) prevede già una sanzione specifica: la costituzione di un rapporto di lavoro diretto con l’utilizzatore. Da ciò deriva l’obbligo di riammissione in servizio e di risarcimento integrale del danno secondo le regole generali della mora accipiendi, e non l’applicazione dell’indennità forfettaria, che è una norma speciale e derogatoria prevista solo per i contratti a tempo determinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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