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Socio lavoratore subordinato: quando il rapporto è fittizio

A seguito di un accertamento ispettivo, alcuni soci lavoratori di una cooperativa venivano riclassificati come dipendenti subordinati. La società cooperativa ha impugnato tale decisione, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno confermato la natura subordinata del rapporto, basandosi su indici quali la retribuzione fissa, l’assenza di rischio d’impresa e l’eterorganizzazione delle mansioni. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso finale della cooperativa, ribadendo che la modalità effettiva di svolgimento della prestazione prevale sulla qualificazione formale del contratto, confermando così lo status di socio lavoratore subordinato.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Socio lavoratore subordinato: quando il rapporto è fittizio

La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è uno dei temi più dibattuti nel diritto del lavoro, specialmente nel contesto delle cooperative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti, stabilendo che la qualifica di socio lavoratore subordinato dipende dalla realtà effettiva del rapporto e non dalla sua veste formale. Analizziamo insieme questa decisione cruciale.

I Fatti del Caso: La Cooperativa e l’Accertamento degli Enti

Una società cooperativa ha proposto ricorso contro la decisione degli enti previdenziali (INPS e INAIL) che, a seguito di un’ispezione, avevano riclassificato i rapporti di lavoro di alcuni suoi soci come lavoro subordinato. I soci in questione, assunti con un contratto mutualistico, svolgevano mansioni di pulizia e facchinaggio nell’ambito di un appalto.

La cooperativa sosteneva la natura autonoma del rapporto, in linea con lo status di socio. Tuttavia, gli enti previdenziali avevano riscontrato la presenza di indici tipici della subordinazione, avviando così il contenzioso.

La Decisione dei Giudici di Merito e il concetto di socio lavoratore subordinato

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione agli enti previdenziali, respingendo le difese della cooperativa. I giudici hanno concluso che i rapporti in esame, al di là del nome formale, presentavano tutte le caratteristiche del lavoro dipendente.

In particolare, la Corte d’Appello ha evidenziato diversi elementi cruciali:

* Continuità della prestazione: I soci svolgevano le loro mansioni in modo continuativo.
* Retribuzione fissa: La paga era oraria e prestabilita, non legata ai risultati.
* Assenza di rischio d’impresa: I soci non apportavano attrezzature proprie né erano esposti a rischi imprenditoriali.
* Messa a disposizione delle energie: I lavoratori si limitavano a mettere le proprie energie a disposizione della società.
* Eterorganizzazione: L’assegnazione e l’esecuzione dei compiti, per lo più elementari e ripetitivi, erano organizzate e dirette dalla cooperativa, non dai singoli soci.

Questi fattori, nel loro complesso, delineavano un quadro inequivocabile di subordinazione, rendendo irrilevante la qualificazione formale data dalle parti al contratto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società cooperativa ha presentato ricorso in Cassazione, articolando ben undici motivi di doglianza. Tra questi, contestava la violazione delle norme sulla motivazione della sentenza, un errato esame dei fatti e una falsa applicazione delle norme che definiscono la subordinazione (art. 2094 c.c.). Sostanzialmente, la ricorrente accusava i giudici di merito di aver ignorato la volontà delle parti e le specificità del rapporto di socio di cooperativa, traendo conclusioni errate dalle prove raccolte.

Le Motivazioni della Suprema Corte sul socio lavoratore subordinato

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo i motivi in parte infondati e in parte inammissibili. La Suprema Corte ha innanzitutto chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione.

Nel merito, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: per qualificare un rapporto di lavoro, ciò che conta è la sua concreta modalità di esecuzione. La qualificazione data dalle parti nel contratto (in questo caso, contratto mutualistico di socio lavoratore) non è vincolante se la realtà dei fatti dimostra una natura diversa. Il giudice deve accertare l’esistenza degli indici della subordinazione, come l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro (eterorganizzazione).

La Corte ha inoltre specificato che la legge sulle cooperative (L. 142/2001) non crea una terza categoria di lavoro, ma stabilisce che al rapporto associativo si affianca un ulteriore rapporto di lavoro, che deve essere ricondotto a una delle tipologie previste dalla legge (subordinato, autonomo, ecc.). Nel caso di specie, i fatti dimostravano chiaramente che questo ulteriore rapporto era di natura subordinata.

Infine, la Cassazione ha respinto le censure della cooperativa come un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, attività preclusa in sede di legittimità, soprattutto in presenza di una “doppia conforme”, ovvero due decisioni di merito che hanno raggiunto la medesima conclusione sui fatti.

Le Conclusioni: Prevalenza della Sostanza sulla Forma

L’ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale di estrema importanza: nel diritto del lavoro, la sostanza prevale sempre sulla forma. Non è sufficiente stipulare un contratto da socio di cooperativa per escludere la subordinazione se, nella pratica quotidiana, il lavoratore è soggetto al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un altro soggetto. La qualifica di socio lavoratore subordinato emerge quando gli indici fattuali, come l’eterorganizzazione, l’assenza di rischio e la retribuzione fissa, dimostrano che il rapporto associativo è solo una facciata per mascherare un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente. Questa decisione serve da monito per tutte quelle realtà che utilizzano lo schema cooperativistico in modo elusivo, ribadendo la centralità della tutela del lavoratore.

Quando un socio lavoratore di una cooperativa viene considerato un dipendente subordinato?
Un socio lavoratore è considerato dipendente subordinato quando, al di là del contratto formale, le modalità concrete di svolgimento del lavoro rivelano l’assoggettamento al potere direttivo e organizzativo della cooperativa. Indici rilevanti sono la retribuzione fissa, l’assenza di rischio d’impresa, l’esecuzione di ordini e direttive e l’organizzazione del lavoro da parte di terzi (eterorganizzazione).

Il contratto firmato tra la cooperativa e il socio è sufficiente a escludere la subordinazione?
No, la qualificazione formale data dalle parti nel contratto non è sufficiente. La giurisprudenza costante, confermata da questa ordinanza, stabilisce che il giudice deve basare la sua decisione sulle reali modalità di esecuzione del rapporto lavorativo. Se i fatti dimostrano la subordinazione, questa prevale su quanto scritto nel contratto.

Quali sono gli indici principali che un giudice valuta per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro?
Il giudice valuta un insieme di elementi, tra cui: l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione aziendale, il rispetto di un orario di lavoro, una retribuzione fissa e periodica, l’assenza di rischio economico a carico del lavoratore e, soprattutto, l’assoggettamento al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro. L’eterorganizzazione della prestazione è considerata un indice particolarmente significativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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