Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1061 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1061 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17535-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
Oggetto contributi
R.G.N. 17535/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 13/11/2024
CC
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 1303/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 19/12/2019 R.G.N. 1084/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Lecce ha riformato la sentenza del Tribunale di Brindisi ed ha rigettato l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’avviso di addebito con il quale l’Inps le aveva chiesto il pagamento della somma di € 3.007,42 a titolo di contributi IVS relativi al terzo trimestre dell’anno 2006 e di somme aggiuntive e compensi di riscossione.
1.1. Diversamente dal primo giudice la corte territoriale ha ritenuto che la prescrizione quinquennale, decorrente per il trimestre in contestazione dalla data in cui sarebbe dovuto avvenire il pagamento il 16.3.2012, alla data di notifica dell’avviso di addebito, il 21.3.2014, non era maturata essendo stata interrotta il 29.2.2012 con la compiuta giacenza della lettera di richiesta di pagamento dei contributi.
1.2. Nel merito poi ha ritenuto che i contributi fossero dovuti non avendo la ricorrente diritto agli sgravi spettanti nelle zone svantaggiate ed alle agevolazioni previste dalla legge n. 67 del 1988 non avendole mai richieste.
1.3. Quanto alla determinazione della retribuzione sulla base della quale calcolare i contributi, la Corte di merito ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per rideterminare la base retributiva sulla scorta di un orario ridotto.
Per la cassazione della sentenza ricorre NOME COGNOME che articola tre motivi ulteriormente illustrati da memoria. R esiste l’Inps con tempestivo controricorso. Al termine della
camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni .
RITENUTO CHE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 14, d.l. n. 536 del 1987 convertito in legge n. 48 del 1988, in combinato disposto con l’art. 18 d.lgs. n. 241 del 1997 e degli artt. 2943 e 2697 c.c. oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. per avere la Corte di merito disatteso l’eccezione di prescrizione e fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data di scadenza del termine per effettuare il pagamento dei contributi dichiarati, senza considerare che la nota ritenuta interruttiva del termine non conteneva la puntuale indicazione del credito contributivo oggetto dell’avviso di addebito opposto e l’intimazione del pagamento ma una mera espressione di volont à dell’Istituto di avviare una verifica della posizione contributiva ed un invito alla contribuente a partecipare al procedimento amministrativo.
1.1. Ad avviso della ricorrente in mancanza di altra prova, che era onere dell’Istituto offrire, solo con l’avviso di addebito del 21.3.2014 la prescrizione era stata ritualmente interrotta quando, tuttavia, era già maturata.
Il motivo non può essere accolto.
2.1. Va premesso che in tema di contributi agricoli, il termine di prescrizione non decorre dalla data di presentazione delle denunzie periodiche della manodopera da parte del datore di lavoro, ma dalla scadenza del termine fissato per legge per il pagamento degli stessi, dal momento che, per il ” favor debitoris ” costituente la ” ratio ” di tali previsioni, l’INPS non può esigere il pagamento prima della scadenza e, di conseguenza, non può decorrere la prescrizione, secondo il criterio generale di cui all’art. 2935 c.c.(cfr. Cass. n. 2432 del 2019).
2.2. Orbene, nella specie, i termini erano stati rispettati essendo intervenuto il pagamento entro il 16.3.2007 e l’intimazione il 29.2.2012.
2.3. Quanto all’interpretazione dell’atto ritenuto interruttivo della prescrizione, che peraltro viene riprodotto solo in parte, si tratta di attività che è riservata al giudice del merito e avrebbe potuto e dovuto essere censurata sotto il profilo dell’errata interpretazione ai sensi degli artt. 1362 e ss. c.c., ma non lo è stata.
2.4. Neppure è ravvisabile nella specie la prospettata inversione dell’ onere della prova o una violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. che, come è noto, non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione(cfr. tra le tante Cass. n. 1229 del 2019, n. 27000 del 2016).
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 Cost. e degli artt. 1 d.l. n. 2 del 2006, 20 d.lgs. 375 del 1993, 1 l. n 389 del 1989, art. 5 comma 4 d.l. 510 del 1996, art. 28 c.c.n.l. 1.7.2002, 28 c.c.n.l. 6.7.2006, 19 c.l.p. provincia Brindisi del 20.9.2004, delibera CIPE n. 42 del 2000 e art. 115 c.p.c..
3.1. Ad avviso della ricorrente erra la Corte di merito nel ritenere che le agevolazioni siano subordinate alla presentazione di una domanda e non invece all’esistenza dei requisiti oggettivi per beneficiarne.
3.2. Ancora errata, poi, la decisione che àncora i benefici alla erogazione di retribuzioni non inferiori a quelle dovute in base ai c.c.n.l. ignorando la scissione tra rapporto retributivo e contributivo estesa al settore agricolo oggetto di agevolazioni.
3.3. In estrema sintesi la ricorrente ritiene che l’Inps avrebbe dovuto rideterminare la base imponibile e comunque calcolare i contributi con le agevolazioni previste per le zone svantaggiate.
Il quadro normativo va così ricostruito:
-a) L’articolo 01 d.l. 10 gennaio 2006 n.2, conv. convertito, con modif. dalla l. 11 marzo 2006, n. 81, al comma 2, ha confermato per il triennio 2006/2008 le agevolazioni contributive già previste dall’ articolo 9 l. 11 marzo 1988 n. 67 in favore dei datori di lavoro agricolo operanti nelle zone agricole svantaggiate e le ha determinate in una riduzione della contribuzione del 68%;
-b) l’art. 5 del d.l. n. 510 del 1996 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 608 del 1996 -ha introdotto l’istituto del cd . «riallineamento retributivo e contributivo», prevedendo la stipula, nelle zone svantaggiate del territorio nazionale, di accordi provinciali per il progressivo adeguamento delle retribuzioni dei lavoratori agli importi determinati dal C.C.N.L.
c) Il riallineamento contributivo è previsto dal comma 4 del suddetto articolo 5. A tenore della norma, per le imprese che aderiscono agli accordi di riallineamento provinciali la retribuzione di riferimento per il calcolo dei contributi è quella fissata dal contratto di riallineamento (purché non inferiore ad una data percentuale del minimale contributivo); la norma prevede che detta disposizione deve intendersi come interpretazione autentica delle norme «relative alla corresponsione retributiva ed alla determinazione contributiva» di cui al combinato disposto degli articoli 1 -(comma 1) -e 6 -(commi 9 lett. a,b,c ed 11) -d.l. n. 338/1989. Le norme
richiamate sono quelle che stabiliscono la base di calcolo dei contributi (art.1) e le condizioni per ottenere riduzioni contributive (art. 6). In particolare, tra tali condizioni vi è il pagamento di retribuzioni non inferiori a quelle previste dalla cont rattazione collettiva (condizione poi estesa, dall’art. 20, co.2, d.lgs. n. 375/1993, alla fruizione di tutte le agevolazioni contributive per i datori di lavoro agricolo; cfr. Cass. 2 maggio 2024 n. 11762). In sostanza, il comma 4 dell’art. 5 d.l. n. 510/1996 stabilisce che: la base contributiva è la retribuzione di cui all’accordo di riallineamento; il pagamento di tale retribuzione fa ritenere verificata anche la condizione di accesso ai benefici contributivi.
-d) il successivo comma 5 dell’articolo 5 ammette una sola variazione ai programmi di riallineamento contributivo, limitatamente ai tempi e alle percentuali fissate dagli accordi provinciali.
4.1. Questo essendo il quadro normativo, è infondata la tesi della ricorrente secondo cui la eventuale nullità dell’accordo di riallineamento avrebbe rilievo soltanto ai fini della determinazione della base contributiva e non anche ai fini dell’accesso alle riduzioni contributive.
4.2. I due aspetti sono considerati congiuntamente ed in modo inscindibile dal comma 4 dell’articolo 5, che si riferisce sia alla «corresponsione retributiva» che alla «determinazione contributiva»; pertanto, se l’accordo provinciale non è valido ai fini della «determinazione contributiva», egualmente non può operare per la applicazione delle norme che prevedono la «corresponsione retributiva» come condizione di accesso agli sgravi.
4.3. Ne deriva la infondatezza del motivo di ricorso, anche a prescindere dalla necessità della domanda amministrativa al fine del godimento delle riduzioni contributive.
Con il terzo motivo di ricorso, poi, è denunciata la violazione degli artt. 10,14,27,30 40 e 45 c.c.n.l. per gli operai agricoli e florovivaisti 6 luglio 2006, dell’art 3 del C.P.L. per la provincia di Brindisi 29.10.1994, degli artt. 3 e 16 d.lgs. n. 66 del 2003, delle direttive comunitarie n. 93/104/CE e n. 2000/34/CE, d.m.28.12.1995 art. 5, comma 4 del d.l. n. 510 del 1996 e dell’art. 115 c.p.c. nella parte in cui era stato riconosciuto il diritto dell’INPS a calcolare la contribuzione sulla base del salario giornaliero riferito a 6,50 ore piuttosto che a quello effettivamente svolto in azienda (pari a 5 ore giornaliere).
Il motivo, anche a voler tralasciare i profili di inammissibilità connessi al mancato deposito dei documenti elencati in calce al ricorso alle lettere a), b) e c), è comunque infondato.
6.1. Questa Corte nell’esaminare un caso analogo (cfr. Cass 23613 del 2021) ha rammentato che il richiamo all’orario ordinario di lavoro indicato dal contratto collettivo ai fini del calcolo del minimale contributivo costituisce un parametro legale indisponibile e l’orario di lavoro su cui si parametra il minimale contributivo (per quanto sopra detto di 39 ore) e la disciplina dei non tollera decrementi retributivi neanche derivanti da riduzioni di orario di lavoro pattuiti tra le parti del rapporto di lavoro, mentre, nel caso di specie, si pretende, attraverso la riduzione in termini d’orario, di incidere sul calcolo della contribuzione senza neanche allegare la concreta sussistenza di contratti part time e basando l’assunto su di una interpretazione delle previsioni del c.c.n.l. del 6.7.2006 ( riportati ed allegati solo per stralci) che implica l’applicazione di disposizioni transitorie applicabili a concrete e storicamente realizzate situazioni di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata.
6.2. Peraltro, gli accordi erano comunque invalidi. Come ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. 24365 del 2023) ‘l’accertata illegittimità dell’applicazione di un contratto di riallineamento retributivo ai fini del conseguimento di sgravi contributivi integra un’ipotesi di evasione del pagamento dei contributi dovuti, in assenza di una prova della sussistenza del diritto alla fruizione dei suddetti sgravi da parte del soggetto interessato ad avvalersene ‘ e ‘ la rilevata insussistenza del diritto al conseguimento di tali sgravi legittimava la revoca del relativo beneficio indebitamente usufruito ‘ (cfr anche Cass. n. 28292 del 2019).
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo in favore solo dell’INPS, non avendo l’Agenzia delle Entrate Riscossione svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, nei confronti solo dell’INPS, in euro 1.500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 13 novembre