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Sgravi contributivi: no se l’azienda resta la stessa

La Cassazione ha negato i sgravi contributivi a un’impresa che aveva assunto lavoratori licenziati da un’altra società, operando però con le stesse strutture e attrezzature. Il beneficio è escluso perché non c’è stato un reale incremento occupazionale, ma solo una continuità aziendale mascherata da un cambio di titolarità, eludendo la ratio della norma.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Sgravi Contributivi: La Cassazione Nega il Beneficio se l’Azienda non Cambia

L’accesso agli sgravi contributivi per l’assunzione di lavoratori da liste di mobilità è un tema cruciale nel diritto del lavoro, finalizzato a incentivare la ricollocazione di personale espulso dal ciclo produttivo. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: il beneficio non spetta se, al di là del cambio formale del datore di lavoro, l’attività aziendale prosegue senza soluzione di continuità. La valutazione non deve essere solo formale, ma sostanziale, per evitare l’elusione della ratio incentivante della normativa.

Il Caso: Sgravi Contributivi per Assunzione da Liste di Mobilità

Una società operante in appalto assumeva un gruppo di lavoratori precedentemente licenziati da un’altra impresa e iscritti nelle liste di mobilità. La nuova azienda svolgeva la medesima attività commerciale della precedente, utilizzando gli stessi locali, macchinari e strumenti, i quali erano di proprietà di una terza società committente. A seguito di un accertamento, l’Ente Previdenziale contestava alla nuova società l’illegittima fruizione degli sgravi contributivi previsti dalla Legge n. 223/91, sostenendo che si trattasse di una mera continuazione della stessa attività aziendale.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dato ragione alla società, ritenendo che non fossero stati provati legami di controllo o collegamento tra la vecchia e la nuova impresa. Inoltre, secondo i giudici di merito, il fatto che i beni aziendali appartenessero a un terzo soggetto e che fosse trascorso un breve periodo di disoccupazione per i lavoratori era sufficiente a escludere un’operazione elusiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’Ente Previdenziale ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione delle norme che regolano gli incentivi all’assunzione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della stessa corte per un nuovo esame.

I giudici di legittimità hanno stabilito che la Corte d’Appello ha errato nel considerare dirimente l’assenza di un collegamento societario formale e la proprietà dei beni in capo a un terzo. Ciò che conta, ai fini della concessione del beneficio, è la sussistenza di un’identità aziendale in senso oggettivo e la finalità reale dell’operazione di assunzione.

Le Motivazioni: Analisi degli Sgravi Contributivi e Identità Aziendale

La Corte di Cassazione ha chiarito che il beneficio contributivo previsto dalla Legge n. 223/1991 non è destinato ai datori di lavoro che, pur assumendo formalmente lavoratori in mobilità, di fatto li mantengono impiegati nella medesima azienda, intesa in senso oggettivo. La norma mira a incentivare un effettivo incremento dell’occupazione, non un mero passaggio di personale per abbattere il costo del lavoro.

La valutazione del giudice non può limitarsi al rispetto formale degli indicatori normativi, ma deve estendersi all’aspetto sostanziale della vicenda. Occorre verificare se l’operazione (licenziamento e successiva riassunzione) abbia avuto come scopo l’elusione della ratio della disciplina incentivante, risultando priva di un impatto positivo e innovativo sul piano occupazionale.

Nel caso specifico, l’errore della Corte d’Appello è stato quello di non dare il giusto peso alla continuità dell’attività. Il fatto che l’immobile, gli strumenti e i macchinari appartenessero a un soggetto terzo (la società committente) e fossero stati utilizzati in sequenza dalle due società appaltatrici non era un’argomentazione a favore della società, ma, al contrario, la prova dell’identità oggettiva dell’azienda. L’imprenditore non deve necessariamente essere proprietario dei beni che compongono l’azienda, essendo sufficiente che ne abbia un titolo giuridico per l’utilizzo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di sgravi contributivi. Le aziende devono essere consapevoli che le operazioni di cambio appalto, cessione di ramo d’azienda o altre forme di successione nella gestione di un’attività economica saranno scrutinate attentamente. Per ottenere legittimamente gli incentivi, è necessario dimostrare che l’assunzione di lavoratori da liste di mobilità corrisponda a una genuina nuova opportunità di lavoro e non a un artificio per perpetuare un rapporto di lavoro preesistente a condizioni economiche più vantaggiose grazie al contributo dello Stato. La sostanza prevale sulla forma: l’identità dell’azienda, intesa come organizzazione produttiva, è l’elemento chiave per determinare la spettanza o meno del beneficio.

Quando non spettano gli sgravi contributivi per l’assunzione di lavoratori in mobilità?
Gli sgravi non spettano quando, nonostante un cambio formale di datore di lavoro, i lavoratori continuano a operare nella medesima azienda, intesa come complesso di beni e strutture. Il beneficio è escluso se l’operazione non genera un reale incremento occupazionale ma mira solo a godere degli incentivi.

È rilevante che i beni aziendali (immobili, macchinari) utilizzati dalla nuova società appartengano a un terzo soggetto?
No, non è dirimente. Secondo la Corte, il fatto che i beni appartengano a un terzo (in questo caso la società committente) e siano stati utilizzati in continuità prima dalla vecchia e poi dalla nuova società appaltatrice dimostra proprio l’identità dell’azienda in senso oggettivo, rafforzando l’idea che non vi sia stata una vera discontinuità.

Qual è lo scopo principale degli incentivi previsti dalla Legge n. 223/1991?
Lo scopo è incentivare la rioccupazione effettiva dei lavoratori, non il semplice passaggio di personale tra datori di lavoro che gestiscono la stessa attività produttiva. La finalità della norma è creare nuova occupazione, non mantenere la stessa con un costo del lavoro inferiore grazie agli incentivi statali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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