Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10015 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
facevano riferimento alle procedure già espletate;
essi quindi escludevano la possibilità di dare corso a procedure per soli interni dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, ma non vietavano lo scorrimento delle graduatorie degli idonei preesistenti, anche tenuto conto del principio generale di irretroattività, quale manifestato dall’art. 11 delle c.d. preleggi;
analogamente, dall’art. 31 del d. lgs. n. 150 del 2009 si evinceva l’esistenza di un obbligo, anche per gli enti locali, di adeguare la propria normativa ai nuovi principi, ma non già la caducazione degli atti già adottati e delle graduatorie preesistenti;
doveva poi trovare applicazione l’art. 91, co. 4, del d. lgs. n. 267 del 2000 secondo cui le graduatorie concorsuali per gli enti locali rimangono in vigore per un termine di tre anni per l’eventuale copertura dei posti resisi successivamente vacanti e disponibili, senza contare che nel caso di specie, con l’art. 6 del Regolamento, l’ente comunale si era vincolato allo scorrimento della graduatoria, cui aveva in parte provveduto nell’anno 2011;
i ricorrenti segnalano poi l’esistenza di successive disposizioni di legge che, per il triennio 2018/2020, consentivano progressioni verticali riservate al solo personale interno, così di fatto confermando la piena legittimità di tale forma di accesso alle aree superiori (art. 22, co. 15, del d. lgs. n. 75 del 2017);
il secondo motivo è rubricato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e con esso si censura l’avere la Corte territoriale trascurato il fatto decisivo consistente nel Regolamento approvato da Roma Capitale con Delibera n. 423 del 22.12.2009, a termini del quale si era stabilito che le graduatorie per le progressioni verticali potessero essere utilizzate per un tempo non superiore a tre anni per la copertura di posti che si rendessero disponibili, così come norma analoga era contenuta nella Delibera n. 424 del 2009;
il terzo motivo assume invece la violazione ed errata applicazione dell’art. 4, co. 6 -quater, del d.l. n. 101 del 2013, convertito in legge n. 125 del 2013, dell’art. 17, co. 19, del d.l. n. 78 del 2009, convertito in legge n. 102 del 2009, dell’art. 1, co. 4, del d. l. n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012, oltre alla violazione e falsa interpretazione dell’art. 35 del d. lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 91, co. 4, del d. lgs. n. 267 del 2000, oltre che di tutte le disposizioni in materia di procedure concorsuali, di equiparazione tra concorsi pubblici e progressioni verticali, di scorrimento delle graduatorie e di proroga delle graduatorie anche in relazione all’art. 97 della Costituzione;
la censura muove dal presupposto che la proroga delle graduatorie disposta dalla normativa non possa essere riferita soltanto ai concorsi aperti al pubblico, ma anche a quelli per interni, in un’ottica di favore verso questa forma di individuazione del personale da assumere e sostiene quindi che anche le norme del d. lgs. n. 150 del 2009 non possano esser interpretate nel senso di determinare l’invalidità delle graduatorie relative alle progressioni verticali;
il quarto motivo è rubricato ancora come omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) ed in esso si assume che dall’art. 35, lett. a) del d. lgs. n. 165 del 2001 dovrebbe trarsi una regola che consente il ricorso a concorsi riservati ai soli interni, a condizione che sia garantito, nella copertura dei posti disponibili, l’accesso dall’esterno;
il quinto motivo, formulato anch’esso come omesso esame di fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), fa leva sull’avere la Corte di merito ritenuto che restasse assorbita ogni altra argomentazione addotta nel giudizio di appello per il caso in cui fosse stata condivisa la tesi degli appellanti in ordine alla perdurante vigenza delle graduatorie per le progressioni verticali e contiene il richiamo integrale dei contenuti dell’atto di appello, trascritto per svariate pagine nel ricorso per cassazione;
2.
i motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione e vanno disattesi;
2.1
l’art. 24 del d. lgs. n. 150 del 2009 ha stabilito che « ai sensi dell’articolo 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni »;
parallelamente, l’art. 62 del medesimo d. lgs. n. 150 ha introdotto il menzionato co. 1-bis, nel cui contesto è previsto che « le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso »;
questa S.C. ha già ritenuto e qui si conferma che « in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la scelta della P.A. di procedere a scorrimento di una graduatoria concorsuale, anche ai fini della selezione interna per l’accesso a posti superiori vacanti, comporta la riattivazione della sequenza concorsuale, ma è soggetta alle condizioni di validità vigenti al momento di tale decisione e, quindi, anche allo ius superveniens costituito dall’art. 24 del d.lgs. n. 150 del 2009 (nel testo ratione temporis applicabile), con la conseguenza che le limitazioni da esso introdotte, a decorrere dal 1° gennaio 2010, ai concorsi riservati al personale interno non consentono più nemmeno lo scorrimento delle graduatorie relative a procedure per le progressioni verticali riservate interamente agli interni » (Cass. 27 maggio 2024, n. 14732);
d’altra parte, l’art. 74 del d.lgs. n. 150 del 2009, afferma che sia l’art. 24 cit., sia l’art. 62, in riferimento ai commi 1 -bis ed 1-ter introdotti nell’art. 52 del d. lgs. n. 165 del 2001 e destinati ad imporre il concorso pubblico (con sola riserva non superiore al 50 % dei posti per gli interni) « recano norme di diretta attuazione dell’articolo 97 della Costituzione e costituiscono principi generali dell’ordinamento ai quali si adeguano le regioni e gli enti locali », sicché è di assoluta evidenza l’immediata cogenza di tali nuove previsioni;
quindi, è indubbio che, in ogni caso, con il sopravvenire della normativa di cui al d. lgs. n. 150 del 2009, lo scorrimento a favore di idonei non vincitori, di graduatorie provenienti da procedure selettive riservate solo agli interni fosse del tutto contra legem e che quindi correttamente Roma Capitale si sia astenuta da darvi corso, pur dovendosi osservare come Cass. S.U., 11 luglio 2022, n. 21838 abbia puntualmente ricostruito la preesistenza, anche per gli enti locali, di un obbligo di impostare le procedure di progressione verticale prevedendo una quota di riserva tale da « garantire “in
misura adeguata l’accesso dall’esterno” (art.36 d.l.vo 29/1993 novellato da d.lvo 89/98, esteso alle amministrazioni comunali per effetto dell’art.88 d.lvo 267/2000 e richiamato anche dall’articolo 4 CCNL Enti Locali del 31 marzo 1999) »;
3.
nulla muta in proposito il fatto -asserito dai ricorrenti -secondo cui con varie Delibere del 2009 Roma Capitale avesse disposto la copertura delle vacanze fruendo (anche) delle graduatorie preesistenti;
una qualsiasi Delibera che consentisse gli scorrimenti sarebbe infatti comunque destinata a cedere di fronte al sopravvenire di una normativa contraria rispetto all’utilizzazione di graduatorie riguardanti procedure riservate al solo personale interno e dunque quelle Delibere non sarebbero comunque idonee a fondare un qualche diritto dei ricorrenti e comunque a resistere rispetto alla forza cogente della normativa sopravvenuta impeditiva del risultato preteso;
3.1
analogamente irrilevante è anche il fatto -menzionato nel ricorso per cassazione -che, nel 2011 (o 2012), vi fosse stata l’utilizzazione della graduatoria mediante scorrimento a favore di interni;
infatti, se anche ciò fosse, un comportamento ipoteticamente non conforme a legge della P.A. non giustifica certamente la pretesa di altri alla reiterazione in loro favore della medesima violazione e tanto basta;
4.
è altresì sterile l’insistenza sul tema della durata delle preesistenti graduatorie o della proroga di essa, ad opera di altre norme; quanto alle norme preesistenti sulla ‘durata’ triennale (art. 35, co. 7-ter del d. lgs. n. 165 del 2001, quale introdotto dalla legge n. 244 del 2007) è evidente come sia del tutto lineare il
coordinamento di esse con il divieto di selezioni riservate solo agli interni, nel senso che quella durata, in ogni caso, a quel punto, di certo non poteva più riguardare graduatorie il cui utilizzo era radicalmente precluso dalla normativa;
ma anche le successive leggi di proroga (art. 17, co. 19, del d.l. n. 78 del 2009, conv. con mod. in legge n. 102 del 2009; art. 1, co. 4 del d.l. n. 216 del 2011, conv. con mod. in legge n. 14 del 2012; art. 4, co. 4 del d.l. n. 101 del 2013, conv. con mod. in legge n. 101 del 2013) -oltre a riguardare concorsi ‘pubblici’ e dunque, tendenzialmente, non riservati agli interni -non si pongono in contrasto con le limitazioni previste per le selezioni destinate alle posizioni superiori;
infatti, le diverse normative vanno collocate su un piano di coerenza -e non di contraddizione -che si evidenzia considerando anche in questo caso che, dopo la disciplina del d. lgs. n. 150 cit., le proroghe di efficacia non potevano che operare rispetto a graduatorie non esclusivamente riservate agli interni, perché per queste ultime vigeva il sopravvenuto divieto sancito con forza di legge;
va dunque escluso il ricorso ad improprie torsioni interpretative volte a favorire una tesi palesemente destinata a contrastare con la volontà della normativa sopravvenuta;
4.1
infine, va esclusa la decisività del richiamo, operato dai ricorrenti, a normative successive ed in particolare all’art. 22, co. 15, del d.lgs. n. 75 del 2017;
quest’ultima disposizione prevede infatti concorsi riservati agli interni, ma nel contesto di una disciplina complessiva di dosaggio di essi rispetto ai complessivi fabbisogni ed alle assunzioni dall’esterno;
a parte quindi la delimitazione temporale, avendo quella normativa coperto due trienni, con proroga al 2023 per alcune figure, la
peculiarità di tale impianto normativo esclude qualsiasi generalizzazione o utilizzo interpretativo rispetto a vicende di superamento di concorsi integralmente riservati ad interni del passato;
5.
quanto detto è esaustivo ed assorbente rispetto ad ogni altra questione agitata nei motivi di ricorso per cassazione e dunque quest’ultimo va integralmente disatteso;
le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro