Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22329 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22329 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2632-2023 proposto da:
FONDAZIONE “RAGIONE_SOCIALE SOFFERENZA RAGIONE_SOCIALE.R.C.C.S. Opera da San Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 2318/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 09/12/2022 R.G.N. 299/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N. 2632/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 15.6.2018 il Tribunale di Foggia aveva accolto la domanda proposta ex art. 1, comma 48 e ss., l. n. 92/2012 da Latina Paola, con cui la ricorrente chiedeva, previa declaratoria di illegittimità della sospensione cautelare dal servizio disposta contestualmente alla contestazione disciplinare del 21.4.2017, l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa che le era stato intimato in data 12.5.2017 dalla Fondazione RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto, aveva ordinato a detta Fondazione l’immediata reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato e con le stesse mansioni; aveva condannato la convenuta al pagamento di un’indennità risarcitoria parametrata all’ultima retribuzione globale di fatto spettante alla ricorrente nel periodo compreso tra la data del licenziamento e la data della reintegrazione di importo non superiore a dodici mensilità di retribuzione globale di fatto; aveva condannato altresì la Fondazione convenuta al pagamento di contributi previdenziali e assistenziali in relazione al periodo suddetto.
Con sentenza del 3.2.2021 lo stesso Tribunale aveva accolto l’opposizione della Fondazione suddetta all’ordinanza resa nella fase sommaria ed aveva rigettato le domande della lavoratrice.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Bari accoglieva per quanto di ragione il reclamo proposto dalla Latina contro la sentenza del Tribunale e, in parziale riforma della stessa, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e, per l ‘effetto, condannava la reclamata al pagamento di un’indennità
risarcitoria onnicomprensiva pari a 12 mensilità, commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
La Corte territoriale dava diffusamente conto: a) dello svolgimento della doppia fase del primo grado del giudizio; b) di quanto considerato e deciso dal Tribunale nella sentenza resa in sede d’opposizione; c) dei motivi di reclamo formulati dalla lavoratrice avverso tale decisione.
La Corte, quindi, premetteva il contenuto testuale della contestazione disciplinare del 21.4.2017, nella quale era stato addebitato alla lavoratrice ‘che in data 19.4.2017, intorno alle ore 17.45 si verificava un’urgenza in chirurgia addominale (appendicite acuta) e Lei, quale anestesista di turno, veniva invitata dal dott. COGNOMEchirurgo addominale), anche a seguito del nulla osta telefonico del Suo responsabile, a partecipare alla seduta operatoria, ma opponeva il Suo rifiuto adducendo una motivazione pretestuosa e infondata, pretendendo, infatti, un ordine scritto, cosa assolutamente non prevista da alcuna procedura per i casi di specie (urgenza) e in violazione delle norme deontologiche’.
Premesso altresì il contenuto saliente della comunicazione del licenziamento per giusta causa del 12.5.2017, la Corte riferiva che la reclamante lamentava che erroneamente il giudice di prime cure avesse ritenuto che l’orario in cui la Latina era stata chiamata dal dott. COGNOME per eseguire l’intervento urgente di appendicite fosse dopo le 17.30, in base alla testimonianza resa dal COGNOME, il quale aveva riferito di essere stato avvisato alle ore 17.30 del predetto intervento dal dott. COGNOME a dire della lavoratrice, invece, ciò
era avvenuto alle ore 16.35, come riferito nel ricorso introduttivo del giudizio e ribadito dal suo procuratore in sede di discussione orale, nonché dallo stesso COGNOME nel corso della testimonianza resa nella fase di opposizione; ma riteneva la Corte che tale circostanza non era comprovata.
6. Quindi, la Corte passava ad esaminare ampiamente le prove orali assunte, sia le dichiarazioni rese dalla lavoratrice in sede d’interrogatorio formale che le deposizioni dei molteplici testimoni sentiti (talvolta riascoltati durante la fase di opposizion e); e riteneva: I) in primo luogo che l’assunto della Latina relativo all’orario (secondo lei, ore 16.30) in cui era stata avvisata dell’intervento di appendicite non risultasse confermato dai testi escussi; II) che la circostanza che l’altra paziente, seguita dalla Latina in quel pomeriggio quale anestesista, era uscita dal blocco operatorio alle 18.25 non significava che l’anestesista stessa avesse vigilato sulla corretta ripresa delle funzioni vitali della paziente suddetta sino a tale momento e, pur avendolo fatto, a nulla rilevava, posto che il turno di servizio della Latina non era terminato né alle ore 18.00 né alle ore 18.25 e che non si trattava -come dalla reclamante lamentato -di un caso di urgenza, né di un turno di reperibilità; III) che, quanto alla circostanza secondo cui la lavoratrice non aveva posto in essere una condotta omissiva, poiché aveva avvisato l’altro anestesista di turno quel pomeriggio, il dott. COGNOME -il quale a suo dire non era impegnato in alcun intervento, diversamen te da quanto da quest’ultimo affermato in sede istruttoria -neppure era dirimente, fermo restando il rifiuto della Latina di adempiere ad un ordine durante il turno di servizio; IV) che nel caso di specie non si erano verificate le circostanze di esonero della lavoratrice soltanto da reperibilità
notturna, guardia notte attiva e rianimazione, previste dall’attestazione dello Spesal del 6.6.2014, considerato che la dott.ssa COGNOME si trovava nel normale turno di lavoro ordinario (dalle ore 14.00 alle ore 20.00).
In definitiva, secondo la Corte, la lavoratrice non aveva ottemperato all’ordine del dott. COGNOME né del dott. COGNOME e neppure del dott. COGNOME rifiutandosi di eseguire l’ordine in ragione dell’esonero certificato dallo Spesal e, tutt’al più, chiedendo un ordine scritto relativo allo svolgimento di una prestazione ordinaria che rientrava nei suoi doveri professionali e contrattuali e non nei turni di reperibilità (questi ultimi caratterizzati dalla richiesta al dipendente di rendersi disponibile, al di fuori del normale orario di lavoro, a rispondere ad un’eventuale chiamata dell’azienda e successiva richiesta di prestazione lavorativa); conseguentemente, non era previsto da alcuna normativa di legge o contrattuale che in caso di intervento non programmato od urgente da effettuarsi durante l’orario ordinario di servizio il medico necessitasse di un ordine scritto, atteso che nel caso in esame non era mai stato chiesto alla Latina di eseguire una prestazione oltre il proprio orario di servizio né diversa e ulteriore rispetto alle proprie mansioni ordinarie.
Pertanto, la Corte, richiamati taluni precedenti di legittimità in tema di esistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento, ed altri precedenti di legittimità, circa la proporzionalità fra addebito e sanzione, riteneva che nel caso in esame la condotta posta in essere dalla Latina, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, non andava sanzionata mediante licenziamento.
8.1. In tal senso: – rilevava che i fatti si inserivano in un particolare contesto lavorativo che vedeva il dott. COGNOME assumere nel corso del tempo nei confronti della lavoratrice atteggiamenti che erano visti dalla Latina come tentativi per impedirle di usufruire di congedi parentali, dei permessi e delle ferie e tale circostanza giustificava la resistenza opposta dalla lavoratrice al COGNOME; – dava atto della circostanza secondo cui la Latina non aveva mai rifiutato di eseguire un intervento prima di quel momento e che in tale occasione non aveva -seppure irragionevolmente -adempiuto a tale ordine soltanto perché pretendeva che fosse dato per iscritto in ragione del fatto che era impegnata in altro intervento; – aggiungeva che l’intervento oggett o di causa doveva tenersi nella stessa sala in cui stava operando la Latina e, quindi, non poteva essere svolto comunque prima della fine del suo intervento; – osservava che la sproporzione tra l’addebito mosso dall’ospedale e la sanzione era altresì motivata dalla elevatissima professionalità della lavoratrice, come confermato dal rammarico per il suo licenziamento mostrato da numerosi pazienti della Latina con lettere rivolte al Direttore Generale dell’Ospedale e con raccolta firme per chiedere il suo reintegro; – considerava che la circostanza secondo cui la paziente affetta da appendicite acuta era stata accertata presso il Pronto Soccorso con il codice verde alle ore 11.58 evidenziava che le condizioni della paziente non presentavano affatto rischio tale da giustificare il licenziamento della lavoratrice (quale il rischio di morte, richiamato nella lettera di contestazione).
8.2. Pertanto, alla luce dei suesposti elementi, la Corte osservava che, stante la sussistenza del fatto contestato e la sproporzione della sanzione applicata ad esso, l’ospedale
resistente
avrebbe dovuto assoggettare la Latina ad una sanzione conservativa, come dedotto dalla stessa ricorrente, e concludeva che il licenziamento intimato dall’ospedale reclamato rientrava nelle altre ipotesi di illegittimità di cui all’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970, come modificato dalla l. n. 92/2012.
Avverso tale decisione la Fondazione RAGIONE_SOCIALE Opera da San Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimata resiste con controricorso, contenente anche ricorso incidentale a mezzo di due motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale ‘denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro ai sensi dell’art. 2106 c.c., dell’art. 2119 c.c., dell’art. 1 e 3, L. n. 604 del 1966 (art. 56 CCNL ARIS ANMIRS) in relazione all’art. 360 c.p.c. co. 1 numero 3 risultando il giudizio di adeguatezza della misura sanzionatoria, adottato nel caso di specie in relazione agli addebiti ascritti alla lavoratrice, viziato in quanto contrario al principi o di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c.’.
Con il secondo motivo del ricorso principale ‘si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. co. 1 numero 5 avendo la Corte di merito ritenuto erroneamente assolto l’onere della prova relativo al particolare contesto lavorativo nonché in
relazione all’art. 360 c.p.c., co. 1, 3 avendo la Corte posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti’.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la lavoratrice denuncia ‘Violazione o, comunque, falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, Legge n. 300/1970 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c.’, ‘per non avere, la Corte Territoriale, applicato il suddetto comma 4, con conseguente reintegrazione della esponente nel posto di lavoro e versamento della correlata indennità risarcitoria’.
Con il secondo motivo dello stesso ricorso si deduce la ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c.’, perché la ‘Corte ha omesso ogni statuizione sulla specifica domanda della esponente diretta ad ottenere la declaratoria d’illegittimità del licenziamento e l’ordine di reintegrazione <>’.
I due motivi del ricorso principale, che possono essere congiuntamente esaminati per connessione, sono inammissibili.
Nel primo motivo del ricorso principale la Fondazione ricorrente addebita alla Corte d’appello che, ‘nel sussumere la condotta della lavoratrice nell’ipotesi disciplinare d’inadempienza professionale soggetta ad una mera sanzione conservativa, non avreb be compiuto un’adeguata valutazione complessiva della proporzionalità del provvedimento sanzionatorio rispetto ad una serie di elementi di fatto, quali ad esempio i reiterati rifiuti della dott.ssa COGNOME a rendere la prestazione lavorativa, ben tre, resi ai suoi colleghi investiti dell’autorità per impartire le disposizioni di servizio, la
pretestuosità dei rifiuti, l’urgenza dell’intervento diagnosticata dal chirurgo addominale, il rischio al quale è stata esposta la paziente; la violazione di norme, oltre che disciplinari, anche penali e deontologiche; la presenza di disposizioni scritte di servizio; gli effetti sull’organizzazione aziendale; sul disvalore e sugli effetti delle condotte nel contesto aziendale’ (così alle pagg. 11-12 del ricorso).
Osserva, allora, il Collegio che detta critica, come risulta chiaramente dall’esteso sviluppo di tale censura (cfr. in particolare pagg. 15-29 del ricorso) si fonda su una completa rilettura delle risultanze processuali, partendo dalla contestazione disciplinare del 21.4.2017 e passando da talune dichiarazioni testimoniali e da diversi documenti.
7.1. Inoltre, la censura neppure risulta aderente all’ampia motivazione resa dalla Corte di merito, la quale, secondo quanto premesso in narrativa, aveva ad esempio, come sostenuto anche dalla ricorrente, senz’altro considerato che i rifiuti all’ordine in questione opposti dalla lavoratrice fossero stati in totale tre (al dott. COGNOME, al dott. COGNOME e al dott. COGNOME), e che non fossero giustificati nei termini sostenuti dalla lavoratrice; ma, sul punto specifico, aveva altresì osservato che la lavora trice ‘non aveva mai rifiutato di eseguire un intervento prima di quel momento e che in tale occasione non aveva -seppure irragionevolmente -adempiuto a tale ordine soltanto perché pretendeva che fosse dato per iscritto in ragione del fatto che era impeg nata in altro intervento’.
Analogamente, la Corte di merito, circa ‘l’urgenza dell’intervento diagnosticata dal chirurgo addominale’, intervento cui la Latina era stata chiamata a prendere parte
quale anestesista, non ha accertato detta urgenza, ed ha piuttosto considerato che: ‘Anche la circostanza secondo cui la paziente affetta da appendicite acuta era stata accettata presso il Pronto Soccorso con il codice verde alle ore 11.58 (v. all. 9 del fascicolo della fase sommaria di parte ricorrente) evidenzia che le condizioni della paziente non presentavano affatto rischio tale da giustificare il licenziamento della lavoratrice (quale il rischio di morte, richiamato nella lettera di contestazione)’, c osì non escludendo in assoluto ‘il rischio al quale è stata esposta la paziente’, cui pure si riferisce la ricorrente principale, bensì sostenendo che tale rischio non fosse elevato (di morte) nei termini invece prospettati dalla datrice di lavoro anche nella nota con cui fu irrogato il licenziamento (cfr. pagg. 10-11 dell’impugnata sentenza dove vengono trascritti i salienti passi testuali sia di tale nota che di quella precedente di contestazione degli addebiti).
Insomma, il giudizio di non proporzionalità della sanzione espulsiva, espresso dalla Corte territoriale, si fonda sull’accertamento di una serie di elementi fattuali (sopra esposti al precedente § 8.1. della narrativa di questa ordinanza).
E la relativa parte di motivazione è attinta dal secondo motivo del ricorso principale.
Orbene, in disparte il rilievo che tale censura è formulata in base a mezzi di ricorso eterogenei (quali quelli, rispettivamente, di cui al n. 3) e al n. 5) dell’art. 360, comma primo, c.p.c.), lo sviluppo della stessa rende chiaro che la ricorrente pr incipale in realtà critica l’accertamento probatorio sotteso alla valutazione di non proporzionalità espressa dai giudici di secondo grado.
Com’è agevole riscontrare, infatti, la Corte distrettuale a pag. 24 della propria motivazione ha, di volta in volta, o specificato le fonti di prova documentale su cui ha formato il proprio convincimento oppure ha fatto riferimento ad aspetti in preced enza appurati nell’ambito del precedente apprezzamento probatorio circa l’episodio oggetto di contestazione disciplinare (essenzialmente in base alle prove orali assunte).
12.1. La ricorrente principale nel suo secondo motivo contrappone a tali valutazioni, riservate ai giudici di merito, proprie considerazioni su talune delle relative risultanze processuali, e, segnatamente, circa il ‘particolare contesto lavorativo’ cui av eva fatto riferimento la Corte territoriale.
Non può, però, questa Corte di legittimità essere chiamata a verificare se, ad es., il doc. 18 del fascicolo di parte attrice, che è richiamato a quest’ultimo proposito dall’attuale ricorrente principale, contenga ‘mere deduzioni della Latina non suffragat e da alcun riscontro probatorio’.
E lo stesso è a dirsi per gli altri profili fattuali sui quali si sofferma criticamente la ricorrente principale.
Il primo motivo del ricorso incidentale della lavoratrice, che presenta profili d’inammissibilità, non è fondato.
Come risulta dalla narrativa sopra esposta e dall’esame già compiuto dei motivi del ricorso principale, la Corte d’appello ha chiaramente espresso un giudizio di non proporzionalità del licenziamento rispetto ai fatti come accertati ed ha, quindi, espl icitamente fatto rientrare il caso ‘nelle altre ipotesi di illegittimità di cui all’art. 18, comma 5, l. n. 300/70’.
Non ha, quindi, concluso che la fattispecie rientrasse in ipotesi in cui non ricorrevano ‘gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro’, ‘perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili’, secondo quanto previsto dal precedente comma quarto dello stesso art. 18.
14.1. Vero è che la stessa Corte aveva considerato: ‘Pertanto, alla luce dei summenzionati elementi, osserva il Collegio che, stante la sussistenza del fatto contestato e la sproporzione della sanzione applicata ad esso, l’Ospedale resistente avrebbe dovuto assoggettare la Latina ad una sanzione conservativa, come dedotto dalla stessa ricorrente’.
Tuttavia, da un lato, l’assoggettamento della lavoratrice a sanzione conservativa era così prospettato soltanto per la ‘sproporzione della sanzione applicata’ rispetto al ‘fatto contestato’, benché ritenuto sussistente, e, dall’altro, la Corte d’appello no n ha ricondotto il fatto come apprezzato in nessuna specifica ipotesi ‘dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili’.
15. Osserva allora il Collegio che la ricorrente incidentale, nell’ambito del primo motivo del suo ricorso, in cui è denunciata esclusivamente la ‘violazione o, comunque, falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, Legge n. 300/1970’, si riferisce attual mente solo nello svolgimento di tale censura all’art. 55 del CCNL A.R.I.S. -A.N.M.I.R.S 1998-2001, CCNL che deduce essere applicato al suo rapporto lavorativo, ma anche al CCNL dell’Area Sanità del triennio 2016 -2018, che assume essere il contratto del settore medico più dettagliato, ed in particolare
all’art. 72 di tale diverso contratto che contiene il ‘Codice disciplinare’ (v. in extenso soprattutto pagg. 26-32 del controricorso).
In parte qua la censura è, però, inammissibile.
16.1. Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente incidentale la Corte d’appello non ‘ha condiviso l’inquadramento della fattispecie nella <>’ (così a pag. 32 del controricorso). Di ‘lieve insubordinazione’, invero, si parla solo in uno dei precedenti di legittimità richiamati dalla Corte di merito (v. all’inizio di pag. 24 della sua sentenza), ma, come più volte detto, il suo ragionamento decisorio direttamente riferito al caso in esame si svolge esclusivamente sul filo dell’ass enza di proporzione tra licenziamento e fatto come accertato in base agli ulteriori aspetti dalla stessa Corte evidenziati e valorizzati.
16.2. Inoltre, i riferimenti della ricorrente incidentale all’art. 72 del CCNL dell’Area Sanità 2016 -2018 sono all’evidenza non pertinenti perché afferiscono a CCNL diverso da quello che la stessa assume applicato al rapporto.
16.3. Ma anche le deduzioni della ricorrente incidentale incentrate su quanto previsto dall’art. 55 del CCNL applicato al rapporto, da un lato, sono nuove non risultando che nella doppia fase del primo grado e nel secondo grado nel merito sia stata mai dis cussa l’eventuale riconduzione dei fatti addebitati a taluna delle ipotesi di sanzioni disciplinari, segnatamente conservative, previste da tale norma collettiva; dall’altro lato, neppure individuano con precisione l’ipotesi dell’art. 55 del CCNL in cui si potrebbero sussumere i fatti a lei addebitati come
accertati dai giudici di secondo grado (cfr. pag. 32 del controricorso).
In parte successiva dello stesso motivo, poi, la ricorrente incidentale richiama l’ormai nota giurisprudenza di questa Corte in tema di clausole generali ed elastiche della contrattazione collettiva circa le condotte rilevanti sul piano disciplinare (v. pagg. 32-35 del controricorso).
Non v’è modo, tuttavia, di applicare al caso in esame tale orientamento di legittimità, perché la sentenza impugnata neppure ha affrontato il problema dell’eventuale riconduzione o meno dei fatti ascritti alla lavoratrice ad una qualche previsione del CCNL applicato al rapporto e tanto, a sua volta, per quello che risulta ex actis ed è dedotto dalla stessa ricorrente incidentale, si spiega sul rilievo che le questioni ora poste non rientravano nel devolutum alla Corte d’appello in base ai motivi di reclamo formulati dalla lavoratrice.
Ed è indiscutibile che tali questioni solleciterebbero, previa certa individuazione della fonte collettiva applicata al rapporto, l’interpretazione delle precipue norme della stessa che contemplino, in via diretta o invece in chiave di clausole generali ed elastiche, sanzioni conservative applicabili al fatto come accertato in sede di merito.
E’ certamente privo di fondamento anche il secondo motivo di ricorso incidentale.
Il vizio di omessa pronuncia denunciato dalla ricorrente incidentale si fonda esclusivamente sulle conclusioni dalla stessa rassegnate anche in secondo grado nel punto in cui sollecitava
in via principale la tutela reintegratoria (anche) ‘perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa’.
Ebbene, premesso che la Corte di merito ha tenuto conto anche di tali conclusioni (cfr. quelle richiamate a pag. 4 della sua sentenza), la stessa Corte si è certamente espressa sul reclamo della lavoratrice nel senso della sua fondatezza ‘per quanto di ragione’ e del suo accoglimento ‘in parte’, laddove l’allora reclamante assumeva che ‘la sanzione del licenziamento senza preavviso’ era illegittima anche perché ‘non proporzionata ai predetti addebiti’ (cfr. pag. 10 dell’impugnata sentenza, oltre che il suo dispositivo).
Inoltre, in base alle considerazioni già svolte per disattendere il primo motivo del medesimo ricorso, e tenendo conto dei motivi di reclamo della lavoratrice (dei quali la Corte d’appello aveva dato estesamente conto: cfr. pagg. 7 -10 della sentenza), resta confermato che alcuna omessa pronuncia è configurabile nella specie.
Invero, l’allora reclamante, pur insistendo nella su richiamata conclusione, neppure aveva dedotto che i fatti a lei addebitati dovessero essere puniti con una individuata sanzione conservativa prevista dal CCNL applicato al rapporto.
Attesa la reciproca soccombenza in questa sede, le spese del giudizio di cassazione possono essere integralmente compensate tra le parti; nondimeno queste ultime sono tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, ove dovuto.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del