SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ANCONA N. 359 2025 – N. R.G. 00000374 2024 DEPOSITO MINUTA 31 10 2025 PUBBLICAZIONE 31 10 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
la CORTE d’APPELLO di ANCONA sezione RAGIONE_SOCIALE
composta dai magistrati:
dr. NOME COGNOME
Presidente
dr.sa NOME COGNOME
Consigliere
dr.sa NOME COGNOME Consigliere rel.
Riunita in camera di consiglio, all’udienza del 30.10.2025 , fissata ai sensi dell’art.127 -ter; lette le note illustrative, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel procedimento iscritto al n.374/2024 RG Sez. Lav., vertente
TRA
con sede in Ancona, INDIRIZZO
n. 35 (P.I.:
;
pec:
,
rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO.
NOME
COGNOME
(C.F.:
del
Foro
di
Ancona, pec:
appellante
contro
nato in Ancona (AN), il DATA_NASCITA (C.F.:
),
rappresentato
e
difeso
dall’Avv.
NOME
COGNOME
(C.F.:
, PEC:
t) del Foro di Ancona
appellato
P.
Conclusioni come in atti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 15 novembre 2024 ha proposto appello avverso la sentenza n.537/2024, depositata il 16 ottobre 2024, con la quale il Tribunale di Ancona in funzione di Giudice del Lavoro, ha accolto la domanda formulata dal suo dipendente tesa ad ottenere l’annullamento della sanzione disciplinare della censura comunicata dall’azienda in data 29 settembre 2023 ‘per non aver prestato il servizio arbitrariamente assegnatoLe, collocandosi in ferie in assenza di specifica autorizzazione, avendo concordato precedentemente un cambio con un suo collega che al suo posto effettuava il turno, rinunciando di fatto alla fruizione di un giorno di ferie richiesto proprio per la medesima giornata’.
Il Tribunale ha dichiarato illegittima la sanzione disciplinare in quanto ritenuta tardivamente irrogata.
Nel giudizio di appello si è costituito , resistendo al gravame e chiedendone l’integrale rigetto.
La Corte, fissata udienza di trattazione scritta in seguito all’introduzione dell’art. 127 ter c.p.c., sulle conclusioni come in atti, si è riservata di decidere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame l’appellante censura la decisione del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto tardiva la sanzione disciplinare ed evidenzia che nessuna normativa applicabile al caso in esame -ossia l’art. 7 L.300/1970 e l’Allegato A al R.D. 148/31 (norme per il trattamento giuridico ed economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione) -detta un termine per la conclusione del procedimento disciplinare. Contesta inoltre l’applicazione in via analogica operata dal Tribunale dell’art. 55 bis Dlgs 165/01 che fissa, nel pubblico impiego, in 120 giorni il termine perentorio massimo dalla data della contestazione alla data dell’irrogazione della sanzione disciplinare. Ad avviso dell’appellante, infatti, la non rientra nell’alveo dell’impiego pubblico e dunque nel caso in esame può trovare applicazione la sola disciplina di settore, R.D. 148/31, integrata dagli accordi aziendali. Semmai – ritiene – in assenza di un termine così definito, occorrerebbe operare una valutazione di ragionevolezza intesa come rispetto degli obblighi dei criteri di correttezza e buona fede e verificare che la condotta datoriale non abbia determinato un affidamento nel lavoratore circa la mancanza di connotazioni disciplinari del fatto, ipotesi che ricorre nei casi in cui la sanzione sia inflitta con un notevole e ingiustificato ritardo, circostanza che nel caso in esame, a suo avviso, non si sarebbe verificata.
Con il secondo motivo di appello la società RAGIONE_SOCIALE ripropone quindi tutte le questioni di merito sviluppate nel corso del giudizio di primo grado e che, stante la definizione della controversia per ragioni preliminari istruttorie, sono rimaste assorbite dalla decisione impugnata.
Nello specifico, ribadisce la correttezza del proprio agire richiamando l’accordo quadro sull’organizzazione del lavoro del 18/05/2012 in base al quale sarebbe consentito il solo cambio fra turni di lavoro e non fra un turno di lavoro e giorno di ferie. Richiama inoltre l’accordo quadro sull’organizzazione del lavoro del 28/11/2017 in base al quale sarebbe invece consentito il solo cambio fra turni di ferie (e mai fra turno di lavoro e ferie), ferie inoltre da richiedersi con un preavviso di almeno tre giorni. Nel caso di specie il dipendente avrebbe dunque violato la procedura aziendale sotto il duplice aspetto di aver scambiato un turno di lavoro con un giorno di ferie del collega e di non aver richiesto il giorno di ferie con il dovuto preavviso. Ribadisce, infine, la correttezza della decisione in risposta al ricorso gerarchico proposto dal lavoratore ed il pieno potere del rappresentante legale dell’azienda a definire il ricorso.
Tanto premesso, occorre richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale l’art. 7 Legge 300/1970 impone il rispetto del principio di immediatezza, funzionale alla tutela del lavoratore e alla trasparenza del procedimento disciplinare ( Cass. Civ., Sez. Lav., n. 2013/2012).
La Suprema Corte ha inoltre più volte ribadito che la sanzione disciplinare deve essere irrogata entro un termine ragionevole dalla ricezione delle giustificazioni del dipendente ( Cass. Civ., Sez. Lav., n. 12875/2016).
In particolare, si è affermato (v. Cass. Sez. L – , Sentenza n. 21260 del 13/09/2017) che ‘in tema di procedimento disciplinare, mentre il termine per la contestazione è volto a garantire la tempestività dell’esercizio del potere, in funzione della necessaria tutela del diritto di difesa del lavoratore ed in considerazione del principio del legittimo affidamento sulla irrilevanza disciplinare della condotta, il termine per la conclusione è finalizzato a garantire la certezza delle situazioni giuridiche, che, una volta avviato il procedimento, implica una valutazione tempestiva da parte del datore di lavoro delle giustificazioni fornite dal lavoratore e una decisione, altrettanto tempestiva, sulla rilevanza della condotta e sulla scelta della sanzione da irrogare’ .
In questo senso, la sentenza citata dal primo giudice (meglio identificata in quella n. 20719 del 10/09/2013) ha affermato che ‘ In tema di licenziamento disciplinare, l’immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto alla mancanza addotta a sua giustificazione ovvero a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore, con la precisazione che detto requisito va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo,
quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo’ .
Si deve, dunque, ribadire che il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, che è tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale e che tali circostanze sono oggetto di specifico onore probatorio a carico del datore di lavoro.
Pertanto, nei casi in cui non sia previsto dal CCNL un termine perentorio per la definizione del procedimento disciplinare (come nel presente), occorre verificare l’eventuale presenza di motivazioni oggettive che abbiano causato lo slittamento della decisione aziendale.
Nel caso in esame, le giustificazioni del dipendente sono state prodotte in data 5 giugno 2023, mentre l’irrogazione della sanzione veniva decisa in data 26 settembre e la relativa comunicazione giungeva a conoscenza del lavoratore in data 29 settembre, sicchè tra le giustificazioni e la decisione sono decorsi tre mesi e mezzo. A fronte di tale dato temporale piuttosto esteso, la società RAGIONE_SOCIALE non ha allegato, ancor prima che provato, la sussistenza di ragioni impeditive alla più celere definizione del procedimento. Invero, la circostanza oggetto di addebito era già definita e acclarata al momento stesso della contestazione, né le difese del dipendente hanno apportato una modifica ai presupposti di fatto posti a sostegno della contestazione stessa, attenendosi alla sola interpretazione delle previsioni contrattuali in punto alla liceità dello scambio turno di lavoro/ferie.
Non sono allegate necessità oggettive quali indagini interne complesse, ferie, malattia, né caratteristiche aziendali che abbiano impedito la più rapida definizione del procedimento.
Di conseguenza, al di là dell’improprio ricorso alla analogia compiuto dal primo giudice, il termine di 3 mesi e mezzo appare del tutto incongruo rispetto alla modestia del fatto contestato e alle eventuali necessità di approfondimento, sicché il lavoratore poteva fondatamente porre affidamento sul ripensamento datoriale circa la rilevanza disciplinare del fatto. D’altronde, come detto, al di là delle dimensioni notoriamente consistenti dell’azienda RAGIONE_SOCIALE di lavoro, alcun altro elemento di prova o di valutazione ha offerto la medesima al fine di comprendere la ragione dell’estensione del processo decisionale oltre ragionevole misura.
In forza dei suesposti argomenti, assorbito ogni altro motivo di gravame, l’appello va respinto e la sentenza confermata, pur se con motivazione parzialmente emendata.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo tenendo conto del valore indeterminabile basso al minimo (v. Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 24979 del 10/10/2018:
‘La controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare è di valore indeterminabile, giacché l’applicazione della sanzione può esplicare un’incidenza sullo status del lavoratore implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della sanzione stessa ed involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del lavoratore ‘).
Si deve, poi, dare atto della ricorrenza dei requisiti per l’obbligo di versamento dell’integrazione del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. n. 115/2002, fatti salvi eventuali motivi di esenzione.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, contrariis rejectis, così provvede:
Rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata;
Condanna parte appellante a rifondere alla parte appellata le spese del presente grado di giudizio, che liquida in €. 3.500,00, oltre spese generali nella misura del 15% del compenso totale per la prestazione (art.2 D.M.10.03.2014), I.V.A. e C.A.P. da distrarsi in favore del procuratore antistatario;
Dichiara che a carico della parte appellante sussistono i presupposti per il versamento dell’integrazione del contributo unificato (art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002), fatti salvi eventuali motivi di esenzione.
TABLE
Provvedimento redatto con la collaborazione della dott.ssa NOME COGNOME addetta UPP