Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10372 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24816-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Impiego pubblico
R.G.N. 24816/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 04/03/2025
CC
avverso la sentenza n. 151/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 13/04/2022 R.G.N. 634/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 151 del 2022 ha rigettato l’appello principale proposto dall’INPS avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Aosta, e ha accolto l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME con la conseguente condanna dell’Istituto a pagare allo stesso le spese del giudizio di primo grado.
Il Tribunale ha accolto la domanda del lavoratore di annullamento della sanzione disciplinare pecuniaria di euro 300,00 inflittagli con provvedimento del 19 luglio 2019, nonché la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per mesi uno inflittagli con provvedimento del 24 luglio 2019, con conseguente condanna dell’Istituto alla restituzione della somma trattenuta in relazione alla prima sanzione e al pagamento della retribuzione non versata in relazione alla seconda sanzione.
Il Tribunale ha affermato che la prima sanzione pecuniaria, così come il procedimento disciplinare, erano tardivi in quanto intervenuti oltre un anno dopo la prima notizia dell’illecito.
Con riguardo alla seconda sanzione, il giudice di primo grado ha rilevato che era stata contestata la recidiva tecnica, recidiva che però non sussisteva in ragione dell’annullamento della prima sanzione.
Nel caso in cui la recidiva sia elemento costitutivo della condotta, in tal modo, sanzionabile, il datore di lavoro non può
tener conto di precedente sanzione se la stessa è stata dichiarata nulla o inefficace. Né è possibile derubricare la sanzione inflitta entrando nel merito della vicenda senza tener conto della recidiva. Il Tribunale compensava le spese di giudizio in ragione della peculiarità della vicenda.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’INPS prospettando tre motivi di ricorso.
Resiste il lavoratore con controricorso assistito da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo (sanzione pecuniaria di euro 300,00). Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
È censurata la statuizione che ha ritenuto tardiva la contestazione relativa alla sanzione pecuniaria di euro 300,00.
L’INPS ripercorre i fatti e prospetta che con la lettera di contestazione degli addebiti erano contestati fatti per i quali era stabilita una sanzione più grave di quella poi applicata, di talché era stato rispettato il termine di 40 giorni previsto per la contestazione a decorrere dall’arrivo della segnalazione all’UPD, intervenuta il 12 aprile 2017.
Secondo motivo (sanzione pecuniaria di euro 300,00). Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 6, del regolamento di disciplina del personale INPS con qualifica di dirigente (Determinazione presidenziale n. 27 del 25.1.2011, integrata dalla Determinazione commissariale n. 11 del 13.11.2014), emanato in attuazione dell’art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
L’I NPS richiama il regolamento di disciplina del proprio personale con qualifica dirigenziale e deduce che, nella specie, non trovava applicazione il comma 3 dell’art. 3, ma il comma 6, atteso che la sanzione astrattamente applicabile risultava più grave di quella in concreto applicata.
Il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi sono inammissibili.
C on accertamento di fatto compiuto attraverso un’analitica disamina della scansione temporale delle vicende del procedimento disciplinare, la Corte d’Appello ha rilevato che la notizia di infrazione era pervenuta all’UPD della Direzione generale INPS con la comunicazione del 12 aprile 2017, di talché non erano stati rispettati i termini contrattuali; pertanto la censura si sostanzia nella richiesta a questa Corte di un riesame della valutazione delle risultanze istruttorie rimessa al giudice di merito, e nella specie adeguatamente motivata, che è inammissibile in questa sede.
Quanto all’applicazione dell’art. 3, comma 6 , e non dell’art. 3, comma 3 (indicato dalla Corte d’Appello come 7, comma 3, ma coincidente nel contenuto) del Reg di disciplina 13 novembre 2014, come vigente ratione temporis (riportato tra i documenti del fascicolo di primo grado depositato dal resistente), si osserva che oltre alla novità della questione, di cui non è dedotta la prospettazione nei gradi di merito, la censura è generica atteso che non è riportata la contestazione in relazione alle fattispecie del regolamento di disciplina, con conseguente inammissibilità della censura stessa che risulta priva di decisività.
4. Terzo motivo (sospensione dal servizio e privazione della retribuzione per un mese). Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 8, lett. a) del regolamento di disciplina del personale INPS con qualifica di dirigente (Determinazione presidenziale n. 27 del 25.1.2011, integrata dalla Determinazione commissariale n. 11 del 13.11.2014), emanato in attuazione dell’art. 54, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
Assume l’INPS che le mancanze che si caratterizzano per particolare gravità possono essere tali a prescindere dalla recidiva, come nella specie, per cui erroneamente la Corte d’Appello aveva affermato che il venir meno della recidiva rendeva illegittima la seconda sanzione.
5. Il motivo non è fondato.
La previsione del Regolamento in questione sancisce ‘La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei mesi si applica, graduando l’entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) recidiva nel biennio delle mancanze previste dai commi 4,5,6 e 7, quando sia stata già comminata la sanzione massima oppure quando le mancanze previste dai medesimi commi si caratterizzano per una particolare gravità;
(…)’.
Si osserva che all’interpretazione del Regolamento e dei suoi effetti giuridici, congruamente e logicamente motivata nella sentenza impugnata, parte ricorrente contrappone la propria differente interpretazione, mutuata dalla lettura dell’espressione ‘oppure’ come ‘ovvero’; ciò in contrasto con il
principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Cass. n. 3964/2019), secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra.
Nella specie l’interpretazione della Corte d’Appello è argomentata e non implausibile, atteso che al periodo unitario ‘recidiva nel biennio delle mancanze previste dai commi 4,5,6 e 7’ segue staccato dal segno di interpunzione della virgola altro periodo u nitario ‘quando sia stata già comminata la sanzione massima oppure quando le mancanze previste dai medesimi commi si caratterizzano per una particolare gravità’, in quanto tale riferibile nell’insieme al primo periodo della frase.
E’ parimenti consolidato il principio, secondo cui, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss., c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o
se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 9461/2021; cfr. anche Cass. n. 4460/2020).
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della