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Sanzione disciplinare proporzionalità: obbligo del giudice

Una dirigente pubblica viene sanzionata per plurime irregolarità. In sede giudiziale, alcuni addebiti vengono meno ma la sanzione è confermata. La Corte di Cassazione interviene, stabilendo un principio fondamentale sulla sanzione disciplinare e proporzionalità: se la base accusatoria si riduce, il giudice ha il potere e il dovere di rivalutare e rideterminare la sanzione, anche in assenza di una specifica richiesta, per garantire che sia equa rispetto agli illeciti effettivamente accertati.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Sanzione disciplinare proporzionalità: la Cassazione stabilisce il potere-dovere del giudice

Il tema della sanzione disciplinare e della sua proporzionalità è cruciale nel diritto del lavoro, specialmente nel pubblico impiego. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: cosa accade quando una sanzione è irrogata per una serie di addebiti, ma alcuni di questi vengono poi a cadere in sede giudiziale? La risposta della Suprema Corte è netta: il giudice non solo può, ma deve rivalutare la congruità della sanzione residua.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda la direttrice amministrativa di un’importante Accademia di Belle Arti, a cui era stata inflitta una sanzione disciplinare consistente nella sospensione dal servizio e dalla retribuzione per nove giorni. La contestazione si basava su presunte irregolarità amministrativo-contabili relative a cinque diverse procedure di affidamento.

La dirigente ha impugnato la sanzione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno parzialmente accolto le sue ragioni, annullando una parte degli addebiti. Tuttavia, hanno confermato la sanzione della sospensione, ritenendola legittima sulla base delle infrazioni residue. La Corte d’Appello, in particolare, aveva sostenuto che, una volta accertata anche solo una parte delle condotte, non fosse possibile annullare o modificare la sanzione, anche perché la lavoratrice non aveva formulato una esplicita richiesta di semplice riduzione.

La questione della Sanzione Disciplinare e Proporzionalità in Cassazione

Insoddisfatta della decisione di secondo grado, la dirigente ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diversi motivi. Tra questi, spiccavano la violazione del principio di proporzionalità e il vizio di motivazione della sentenza d’appello.

Il punto centrale era il seguente: è corretto mantenere invariata una sanzione pensata per un insieme di illeciti, quando tale insieme si è ridotto? Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello aveva errato nel non riconsiderare l’adeguatezza della pena alla luce dei soli fatti confermati, violando così un principio cardine del diritto disciplinare.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i motivi relativi alla violazione del principio di proporzionalità, cassando la sentenza impugnata con rinvio.

Il ragionamento dei giudici di legittimità è stato chiaro e lineare. Il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione, sancito dall’art. 2106 del codice civile e richiamato per il pubblico impiego dall’art. 55 del D.Lgs. 165/2001, è espressione dei canoni costituzionali di ragionevolezza ed eguaglianza (Art. 3 Cost.). Esso impone una risposta sanzionatoria ‘graduata’ e ‘adeguata al caso concreto’.

Quando un procedimento disciplinare si basa su una pluralità di addebiti e, in sede giudiziale, alcuni di questi vengono giudicati infondati, la base fattuale su cui l’amministrazione aveva fondato la sua valutazione disciplinare viene modificata. Di conseguenza, il giudice investito della questione ha il dovere di effettuare una nuova valutazione.

La Cassazione ha enunciato il seguente, fondamentale, principio di diritto: qualora nel rapporto di impiego pubblico la sanzione disciplinare venga inflitta in relazione a una pluralità di condotte, il giudice che escluda la sussistenza di parte degli illeciti contestati è tenuto a verificare la proporzionalità della sanzione inflitta rispetto agli addebiti accertati.

Se riscontra un difetto di proporzionalità, il giudice deve rideterminare la sanzione, applicando l’art. 63, comma 2 bis, del D.Lgs. n. 165/2001. Questo potere-dovere, sottolinea la Corte, sussiste a prescindere da una espressa domanda di rideterminazione formulata dalla parte.

La Corte ha inoltre chiarito che il precedente giurisprudenziale citato dalla Corte d’Appello non era pertinente, in quanto relativo al lavoro privato e a un caso in cui la sanzione era stata interamente annullata, non rideterminata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza in modo significativo le tutele per i lavoratori, in particolare nel settore pubblico. Stabilisce che il controllo del giudice sulla legittimità di una sanzione disciplinare non può essere meramente formale. Se i fatti contestati si ridimensionano, anche la sanzione deve essere ricalibrata per rispettare il fondamentale principio di proporzionalità. La decisione attribuisce al giudice un ruolo attivo nel ristabilire l’equità, imponendogli di intervenire per correggere sanzioni divenute sproporzionate, anche d’ufficio. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà attenersi a questo principio per decidere nuovamente il caso.

Cosa succede se una sanzione disciplinare è basata su diversi addebiti, ma un giudice ne dichiara infondati alcuni?
In questo caso, il giudice ha il dovere di rivalutare la proporzionalità della sanzione originaria rispetto ai soli illeciti che sono stati effettivamente accertati. Se la sanzione risulta sproporzionata, deve essere rideterminata.

Il giudice può ridurre una sanzione disciplinare anche se il lavoratore non lo ha chiesto esplicitamente?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice ha il potere-dovere di rideterminare la sanzione che ritiene sproporzionata, a prescindere da una specifica domanda della parte, in applicazione dell’art. 63, comma 2 bis, del D.Lgs. 165/2001 per il pubblico impiego.

Un presunto intento ritorsivo da parte del datore di lavoro è sufficiente per annullare una sanzione disciplinare?
No, non necessariamente. La Corte ha applicato un principio consolidato secondo cui il motivo ritorsivo, per determinare la nullità della sanzione, deve essere l’unica ed esclusiva ragione del provvedimento. Se sussistono anche inadempimenti reali del lavoratore che giustificano la sanzione, l’intento ritorsivo non è sufficiente per l’annullamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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