Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22011 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22011 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13451-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 33/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/02/2021 R.G.N. 122/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Oggetto
Sanzione disciplinare conservativa
R.NUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 02/07/2024
CC
Rilevato che
La Corte d’appello di Torino ha respinto l’appello della NOME NOME, confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento della illegittimità della sanzione disciplinare (tre giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione) irrogatale l’11 agosto 2017 dalla RAGIONE_SOCIALE.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha premesso che alla NOME NOME, dipendente della società dal 1994 come operaia di terzo livello del RAGIONE_SOCIALE, era stato contestato di avere provveduto a ‘modificare arbitrariamente il layout della postazione di lavoro occupata senza darne informazione né al suo responsabile né agli enti aziendali preposti’; ha ritenuto che la lavoratrice avesse violato, in più punti, l’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008, per non aver rispettato le disposizioni impartite dal datore di lavoro, utilizzando scorrettamente le attrezzature di lavoro e compiendo azioni non di sua competenza, cosi da integrare l’illecito disciplinare previsto dall’art. 9 lettera l) del contratto collettivo, che punisce con la sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a tre giorni il ‘lavoratore che commetta qualsiasi mancanza che porti pregiudizio alla disciplina, alla morale, alla igiene e alla sicurezza dello stabilimento’.
Avverso tale sentenza NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 20, d.lgs. n. 81 del 2008 e dell’art. 9, lett. l) del c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE, per avere la Corte d’appello ravvi sato la colpa della lavoratrice nella violazione dell’art. 20 cit., senza considerare che quella disposizione non era stata portata a conoscenza dei dipendenti né era esigibile la sua conoscenza da parte degli stessi. Si contesta poi che la condotta realizzata potesse integrare l’illecito di cui all’art. 9 del contratto collettivo, in ragione della buona fede della lavoratrice, che ha apportato le modifiche nella convinzione di migliorare il funzionamento della macchina operatrice atteso che non era stata informata del divieto di intervenire sulla stessa, a cui era stata da poco tempo addetta, né le era stata impartita una specifica formazione sul suo funzionamento. Si censura la possibilità di sussumere la condotta a lei addebitata nella previsione di pregiudizio alla morale, all’igiene e alla sicurezza da riferire allo stabilimento.
6. Con il secondo motivo è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di motivazione, di cui all’art. 111 Cost., come attuato dall’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili; in particol are, per avere la Corte d’appello da un lato considerato irrilevante la mancata conoscenza dell’art. 20 cit. da parte della lavoratrice e poi imputato alla medesima la violazione di detta disposizione; inoltre, per avere addebitato alla dipendente la violazione delle disposizioni impartite dal datore di lavoro e al contempo giudicato irrilevante la formazione preventiva sull’uso del macchinario; ancora, per avere i giudici di appello giudicato non significativa, al fine di escludere l’illecito disciplinare, la
circostanza che la dipendente non avesse messo in pericolo la propria incolumità e dall’altro sanzionato la stessa per avere creato pregiudizio addirittura alla sicurezza dello stabilimento.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
L’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008, la cui rubrica è relativa agli ‘obblighi dei lavoratori’, prevede al secondo comma che ‘ I lavoratori devono in particolare:
contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i ((miscele pericolose)), i mezzi di trasporto, nonché i
dispositivi di sicurezza;
utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente ‘.
L’art. 20 cit. costituisce esplicazione del generale obbligo di diligenza posto a carico dei lavoratori dall’art. 2104 c.c. ed esigibile nei confronti dei medesimi in relazione alla ‘natura della prestazione dovuta (e) all’interesse dell’impresa’, doven do peraltro il dipendente, ai sensi del secondo comma dell’articolo citato, ‘osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipendente’.
Premesso che, in linea generale, la mera non conoscenza della legge non ha alcun effetto scriminante, a meno che non si traduca in una condizione di inevitabile ignoranza del precetto normativo, da apprezzarsi alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alle sue qualità professionali e al suo dovere di informazione sulle norme e sulla relativa interpretazione (v. Cass. n. 18471 del 2014 e n. 10621 del 2010 in materia di sanzioni amministrative; v. Cass. n. 13076 del 2015 e n. 32082 del 2019 in matria tributaria), deve richiamarsi l’orientamento di questa S.C. sul contenuto e sui confini in cui si articola il giudizio di diritto che l’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. descrive attraverso le espressioni di violazione o falsa applicazione di legge.
11. Si è al riguardo precisato (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del
2016) che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. 12. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha accertato che la dipendente ‘operaia di terzo livello con anzianità di servizio ultraventennale nella stessa azienda’ avesse ‘arbitrariamente e senza consultare nessuno, modificato in maniera sostanziale l’asset to del macchinario al quale doveva lavorare (pacificamente, ha ricollegato in posizione diversa il pedale della macchina operatrice, girato il carrello di 180 gradi e posizionato il quadro di comando davanti a sé) nell’ambito di una linea di produzione a ciclo continuo -omologata in tutte le sue caratteristichee quindi non modificabile’ (sentenza, p. 6, ultimo cpv.). Ha ritenuto che la condotta posta in essere dalla lavoratrice integrasse, in più punti, violazione degli obblighi di cui all’art. 20 del d.l gs. n. 81 del 2008 (sentenza, p. 10, primo cpv.) ed ha giudicato irrilevante, ai fini della illegittimità della condotta (colposa) contestata, la conoscenza della citata disposizione così come anche la specifica formazione sull’uso della macchina, sul rilievo che rientrasse nella basilare diligenza esigibile da una lavoratrice, tanto più esperta come la NOME, la consapevolezza di non poter ‘modificare a proprio piacimento l’assetto di un macchinario inserito nel ciclo produttivo,
soprattutto senza darne preventiva informazione ai superiori né, tantomeno, chiedere e ottenere la loro autorizzazione (sentenza, p. 4, ultimo cpv. e p. 5, primo alinea e p. 6, ultimo cpv.).
Poste tali premesse, deve escludersi l’esistenza del vizio di violazione di legge denunciato nel motivo in esame atteso che la Corte d’appello ha correttamente interpretato ed applicato l’art. 20 cit., dovendosi peraltro rilevare come la censura mossa dalla ricorrente faccia leva, in via pressoché esclusiva, sulla ignoranza del precetto normativo e sulla inesigibilità della relativa conoscenza (su cui v . supra § 10) e si ponga per tale ragione all’esterno del vizio riconducibile all’art. 360 n. 3 c.p.c. , come ricostruito in base ai precedenti di legittimità.
Parimenti infondata è la censura di violazione dell’art. 9, lett. l, del c.c.n.l. applicato, poiché la Corte di merito ha correttamente interpretato la norma contrattuale e sussunto la condotta contestata alla dipendente in quella punibile con una sanzione conservativa sul presupposto che qualsiasi modifica e alterazione delle attrezzature aziendali omologate nelle loro caratteristiche strutturali, eseguita senza autorizzazione e controllo da parte datoriale, fosse idonea a causare un pregiudizio alla ‘disciplina (alla morale, all’igiene) e alla ‘sicurezza’ dello stabilimento, che include la sicurezza anche dei dipendenti singolarmente considerati.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
È sufficiente ripercorrere le ragioni del rigetto del primo motivo per constatare l’assenza di contrasti logici insuperabili tra le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, astrattamente rilevanti ai fini del vizio motivazione costituente violazione di legge ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (v. Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014).
L’addebito alla dipendente di violazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008 non è in contrasto, ma è perfettamente coerente, con l’assunto di irrilevanza della ignoranza da parte della stessa del citato precetto normativo, sia per essere tale ignoranza non incolpevole e sia per essere la mancanza addebitata contraria ai basilari canoni di diligenza, certamente esigibile da una operaia esperta come la Orazi. Per le stesse considerazioni, è stato giudicato irrilevante e non pertinente l’assunto di man cata formazione sull’uso del macchinario atteso che tale omissione, ove pure dimostrata, non sarebbe stata idonea a giustificare la alterazione e la modifica apportata al macchinario su iniziativa della dipendente e senza autorizzazione alcuna.
18. Allo stesso modo, il pregiudizio alla ‘disciplina’ e alla ‘sicurezza’, nella specie ravvisato nella alterazione di un macchinario omologato, è sinonimo di danno alla regolarità dello svolgimento dell’attività organizzata secondo le direttive datoriali in conformità alle norme di prevenzione e protezione.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo, dovendosi sottolineare che la controversia concernente la legittimità di una sanzione disciplinare conservativa è di valore indeterminabile, giacché l’applicazione della sanzione può incidere sullo status del dipendente, implicando un giudizio negativo che va oltre il valore strettamente economico della misura adottata e involge la correttezza, la diligenza e la capacità professionale del medesimo (Cass. n. 24979 del 2018; n. 17417 del 2024).
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma
1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 2 luglio 2024